mercoledì 30 novembre 2022

Durante, detto Dante.

VIII° incontro - 30.11.2022

 Durante, detto DANTE    -  Prof.  Francesco Saverio Lioi

Serata culturale sulla personalità e la vita di Dante Alighieri.

1265     Nasce Dante a Firenze, nel mese di maggio nella casa di famiglia, nel sestiere di San Pier Maggiore. Il padre Alighiero Alighieri, appartenente a una famiglia di parte guelfa, è impegnato in piccole attività finanziarie, la madre è Bella di Durante degli Abati. Viene battezzato con il nome di Durante, che il poeta non userà mai, ma si servirà sempre del diminutivo Dante. Boccaccio delinea un ritratto fisico di Dante: volto lungo, naso aquilino, occhi grandi e mascelle sporgenti in un accentuato prognatismo ( sporgenza in avanti della mascella dal labro di sotto era quel di sopra avanzato). Ha modo di studiare il latino, lingua che in seguito approfondirà sotto la guida di Brunetto Latini, letterato e uomo politico fiorentino.  Dell’origine della sua famiglia Dante parla più volte nella Divina Commedia  (il trisavolo Cacciaguida) e per bocca di Brunetto Latini dice che i suoi avi discendono dagli antichi romani, ( la pianta in cui riviva la semenza santa di quei Romani ) ma queste erano d’altra parte le ambizioni della città di Firenze.

1270   Muore  la madre Bella (un ricordo di lei in Inferno. VIII, 43; XXIII, 37-42, e Pd. XXIII, 1-3)  Dante aveva appena 5 anni.  Di Gabriella, detta  Monna Bella degli Abati, si hanno scarse notizie. Presumibilmente apparteneva al casato fiorentino degli Abati. Il padre di Monna Bella doveva essere il giudice fiorentino Durante degli Abati, da cui il poeta avrebbe preso il nome. Sposata con Alighiero Alighieri morì quando il figlio Dante aveva cinque anni. 

Boccaccio nella Vita di Dante Alighieri racconta che Monna Bella prima di partorire il poeta, in sogno,  ebbe la visione profetica del figlio nato sotto un alloro nei pressi di una fonte. Quando il bambino nacque si nutrì delle foglie che cadevano dall’albero e si dissetò dell’acqua della fonte fino a trasformarsi in pavone. Il sogno venne interpretato come preannunzio della gloria poetica del bambino.

1272     Il padre Alighiero Alighieri sposa in seconde nozze  Lapa Cialuffi, figlia di un ricco mercante e finanziere, la spietata e perfida noverca, madre dei fratellastri del poeta Francesco e Tana. Lapa è ipocoristico  (da hypokorìzomai, chiamo con voce  carezzevole), diminutivo di Giacoma o Iacopa.

1274   Primo incontro con Beatrice, figlia di Folco Portinari, esponente di una famiglia di spicco, dedita al commercio e alla finanza. Beatrice qualche anno dopo andrà  sposa a Simone dei Bardi. 

1277   Un atto prematrimoniale (secondo le usanze del tempo) lega Dante  a Gemma Donati, bambina di una influente famiglia aristocratica. Il matrimonio avverrà tra il 1283 e il 1285. Dall’unione nasceranno i figli Pietro, Iacopo, Antonia e, forse, Giovanni.

1281  Muore il padre, Dante diventa capofamiglia. Il padre di Dante era stato un uomo di affari che aveva cercato di far prosperare i suoi interessi e aveva fatto in modo di non   provocare contrasti con il mondo circostante.

1282  Dante ottiene la carica di Capitano del popolo, capo cioè del movimento di reazione al governo tirannico dei ghibellini in città, naturale rappresentante delle forze popolari.

1283   Secondo incontro con Beatrice in una Via di Firenze. (Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia) Inizia a scrivere poesie  a tema amoroso, che lo faranno conoscere nell’ambiente letterario fiorentino e toscano. Per lei Dante scrive la Vita Nova. un prosimetro composto di prosa e poesie.


1283   Diviene responsabile della sua famiglia non piccola. Il padre non aveva lasciato un patrimonio considerevole, ma debiti. Non segue l’attività del padre Alighiero, cioè mercante e cambiavalute (mestiere esercitato con mezzi leciti ed illeciti),  mostra totale disinteresse per il civil negozio.

1285   A 20 anni fa parte dell’esercito fiorentino, in aiuto dei senesi contro Arezzo, come feditore (feritore), cioè come componente del plotone di assalto a cavallo. Era d’obbligo  per i giovani della buona società fiorentina, alla quale apparteneva, di far parte dell’esercito cittadino (Vita Nova IX 1 – 4)

1287 Breve soggiorno a Bologna, documentato dal  sonetto sulla Torre Garisenda, seguendo la poetica del periodo dello  stilnovismo bolognese, scrive poesie. Durante il viaggio per Bologna chiede ospitalità agli Alberti presso la rocca di Cerbaia, ma fu respinto.

Dante, istruito nell’arte della guerra, è sul campo di battaglia e partecipa all’assedio di Arezzo. E’ feditore nella battaglia di Campaldino dell’11 giugno del1287, battaglia che sancì nella piana la supremazia dei Guelfi fiorentini sui Ghibellini di Arezzo e di Caprona il 16 agosto.

1289  L’11 giugno partecipa alla battaglia di Campaldino, in cui i Guelfi fiorentini sconfiggono i Ghibellini di Arezzo

1290   Muore Beatrice. Nasce il progetto della Vita Nova, opera composta in liriche e commenti in prosa, (Prosimetro) terminata intorno al 1295, in cui celebra l’amore per la donna, La concezione  della figura femminile in Dante nella Vita Nova è completamente diversa dalla donna oggetto del piacere. Dante concepisce l’amore come strumento per avvicinarsi a Dio, critica la libertà dei rapporti sessuali, simbolo di degenerazione morale. La donna non deve essere oggetto di piacere terreno, ma tramite fra uomo e Dio, deve essere colei che attraverso un amore sublimato permette agli uomini di poter entrare nella grazia divina e ricevere la salvezza eterna.

1290   Ritratto di Dante di Cimabue  nella Cappella del Bargello. E’ il più bel ritratto e il più veritiero.  I due si conoscevano (alcuni critici oggi parlano di stretta amicizia) e Dante frequenta la Bottega di Cimabue, dove impara l’arte del disegno, come dice nella Vita Nova. Il profilo di Dante è bello e nobile, il naso è aquilino, ma ben proporzionato. I pittori successivi hanno accentuato questo elemento spesso in modo eccessivo.

1395   Dante Guelfo bianco, ostile all’influenza del Papa nella politica fiorentina. Inizia il suo impegno in politica e si iscrive all’Arte dei Medici e degli Speziali. L’iscrizione ad un’arte era necessaria per ricoprire cariche politiche. La vita politica fiorentina in quegli’anni si polarizzava nel confronto fra le famiglie dei Cerchi, guelfi bianchi, ostili all’influenza papale in città, parte cui aderisce Dante, e dei Donati, guelfi neri, filo-papali, che chiedevano l’aiuto del Papa per il loro potere in Firenze.

1300   Guido Cavalcanti, su consiglio di Dante, che in quel periodo (fra giugno e agosto) era Priore,  viene riammesso fra i cittadini di Firenze. Cavalcanti, guelfo di parte bianca, chiamato da Dante nella Vita Nova «primo amico», era stato confinato a Sarzana, (in provincia di La Spezia, dove contrasse la malaria) per la sua azione politica contro i Guelfi Neri, il cui capo era Corso Donato, durante il conflitto fra Bianchi e Neri. Dante è forse a Roma in occasione del primo Giubileo indetto da Bonifacio VIII.

1300    Fra giugno e agosto ricopre e Firenze  la carica di Priore. I Priori erano rappresentanti delle Arti, chiamati in numero di sei, a guidare il comune per due mesi. Al potere in quel periodo era il partito dei Bianchi.

1301    In ottobre è inviato a Roma tra gli ambasciatori di Firenze  presso papa Bonifacio VIII, per sbrogliare   la questione delle lotte tra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri. Due dei tre ambasciatori fiorentini sono congedati per riferire a Firenze le volontà del Papa, Dante è trattenuto a Roma per impedire che possa adoperarsi per far fallire il piano affidato a Carlo di Valois, che entra a Firenze il 1-11 e favorisce l’ascesa dei Guelfi Neri al potere, avversari di Dante che faceva parte dei Guelfi Bianchi..  A  novembre, mentre lui è lontano da Firenze, i Guelfi Neri prendono il potere a Firenze. La sua contrarietà alla politica papale verso Firenze sarà un motivo della condanna all’esilio. I Guelfi Neri, infatti, condannano all’esilio i loro avversari Guelfi Bianchi, fra cui Dante, che si trovava ancora a Roma. Nei primi tempi dell’esilio Egli scrive lettere più volte implorando il suo ritorno a Firenze, non solo ai detentori del potere, ma anche al popolo tutto. Un’epistola assai lunga inizia in questo modo: Popule mee, quid feci tibi? 

Inizia a studiare i dialetti d’Italia.

Dante durante le sue missioni politiche nelle città italiane in cui era inviato, era sempre un attento indagatore e studioso del dialetto che in quel luogo si parlava. A Roma non si comportò in modo diverso. A Roma, dove affluiva gente da tutta l’Italia per  il Giubileo, ebbe modo di conoscere la gente  che vi affluiva non parlava allo stesso modo, aveva cadenza e pronunzia diversa pur parlando dialetti che derivavano dal latina. Così Dante comincia a rendersi conto della varietà dei volgari che si parlavano in Italia, e giudica il volgare romano un tristiloquium e tra i peggiori che lui conosca  (De V.E. I,XI).

Dante aveva lottato, per una patria repubblicana ed ora si trova a dover peregrinare per tutta l’Italia ghibellina, postulando la protezione e l’ospitalità dei Principi. I primi anni dell’esilio vedono Dante impegnato con gli altri fuoriusciti fiorentini esiliati dai Guelfi Neri, costituiti dai Guelfi Bianchi e Ghibellini, i quali  fanno causa comune nel progetto di rientrare a Firenze con le armi, ma furono sconfitti ogni volta, definitivamente a Lastra di Firenze il 20 luglio 1304. Dante non tornerà mai a Firenze. La collaborazione di Dante con i Ghibellini per il ritorno in patria farà definire il poeta Ghibellin fuggiasco da Ugo Foscolo.

1302   Il 27 gennaio il  nuovo governo dei Guelfi Neri fiorentini emana la sentenza che lo condanna in contumacia ad una multa per baratteria (corruzione e appropriazione indebita di denaro pubblico) inique pratiche estorsive ed illeciti profitti derivati da altri incarichi pubblici. Il reato politico imputato a Dante fu l’abuso di potere nelle sue funzioni istituzionali per aver avvantaggiato i Guelfi Bianchi a danno dei Neri. Dante non si presenta al processo e rifiuta a pagare la multa di 5000 fiorini e di addossarsi reati mai commessi. A Firenze se per l’imputato, nonostante fosse stato avvisato in tutti i modi possibili, che non compariva al processo, vigeva una regola ferrea: anche se contumace, veniva equiparato a un reo confesso,  Il 10 marzo una nuova sentenza lo condanna alla pena di morte sul rogo e la famiglia viene bandita da Firenze. La moglie Gemma e la figlia rimasero a Firenze, le donne non erano coinvolte nella condanna, ma non è escluso che Gemma, dopo qualche tempo, seguisse il marito. 

 ( Dante Allegherii de sextu Sancti Petri Maioris, commisit per se vel alium baractrerias, lucra illicita, iniquas extorsiones in pecunia vel in rebus, igne comburatur sic quod moriatur, in hiis scriptis sententialiter condemnamus). 

Nel 1302 a Firenze furono pronunciate 557  condanne a morte in piccola parte eseguite, perché i condannati erano fuggiti dalla città, fra i quali Dante in ambasceria a Roma, da dove gli si impedì il ritorno a Firenze. Dante apprende la notizia della condanna durante il ritorno, a Siena. Non rivedrà mai più Firenze. Dante fu condannato il 18-1-1302 per baratteria, illeciti arricchimenti ed estorsioni perché ex Priore e per aver approvato stanziamenti per azioni contro papa Bonifacio VIII.  Il 10 marzo fu  condannato come reo confesso per non essersi presentato al processo e non aver pagato la multa di 5000 fiorini. 

Tu proverai  sì come sa di sale    //   lo pane altrui, e come è duro calle                             lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale. (Cacciaguida, Pd. XVII, 58 – 60)

Il pane e le scale altrui pur essendo elementi fisici della sofferenza che accompagnerà Dante durante l’esilio, diventano i termini fortemente allusivi di un profondo dramma psichico-morale che tormenterà sempre il poeta per venti anni .

1303. Il partito dei Bianchi fuoriusciti presso cui Dante ricopriva un ruolo direttivo trova ospitalità ad Arezzo e Forlì. Alla ricerca di protezione, frequenta anche i castelli dei conti Guidi nel Casentino. L’8 giugno 1302 partecipa alla riunione dei Guelfi bianchi e Ghibellini che si tiene a San Godenzo in Mugello, per organizzare azioni militari contro i Neri per rientrare in Firenze. Fallito il tentativo, Dante, è costretto a chiudersi a più riprese nelle terre dei Conti Guidi prima di proseguire per Verona. Uno dei, primi luoghi in cui si rifugiò fu il castello di Romena nel Casentino, dove ebbe ospitalità dai conti Guidi. 

1303-04    E’ inviato dai Bianchi in missione diplomatica a Verona, presso Bartolomeo della Scala, dove resta una diecina di mesi, per il fascino della Biblioteca Capitolare di  Verona, nella quale ebbe modo di sfogliare quei libri che non avrebbe trovato in nessuna altra città. Si trattiene presso gli Scaligeri per dieci mesi  e unisce  conoscenze letterarie e lavoro intellettuale al lavoro diplomatico per il quale era stato mandato.  In modo tale gli studi veronesi non furono  fine a se stessi: nasce qui l’idea del Convivio, non è neppure inverosimile che egli abbia cominciato a scriverlo a Verona. Gli incarichi diplomatici affidatogli da Bartolomeo portati a termine nelle città venete (Padova, Venezia, Treviso) ebbero il loro peso e una diretta conoscenza  della varietà dei dialetti dei popoli veneti italiani, ma  in nessuno  di essi trovava la caratteristica di illustre. Nell’estate del 1304  si stabilisce a Bologna e lavora al Convivio e al De vulgari eloquentia.: opere nate dalla, preoccupazione di farsi conoscere come uomo di sapere e non solo come poeta d’amore dai suoi protettori che di volta in volta lo ospitavano. Il latino nel De vulgari  si manifesta la volontà di farsi apprezzare come scrittore erudita e «grammaticale.»

1305 – 06.  Separatosi dai compagni d’esilio di parte bianca si rifugia a Bologna, dove per vivere impartisce lezioni private di latino agli studenti di grammatica e di eloquenza. Trovò anche a Bologna un regime amico per i Bianchi. Nel 1306 però anche a Bologna si impose la fazione più radicale del guelfismo nero, ostile a Dante, che fuggì da Bologna nel mese di  ottobre e si rifugiò in Lunigiana presso Moroello Malaspina, anche per un tentativo di far ritornare Gemma a Firenze. Qui  si trattiene per non modicum tempus. Diventa così un exul immeritus. Invia a Firenze epistole in cui chiede il perdono dei suoi concittadini nella speranza di  poter rientrare in città. Triste condizione di esule e desiderio di porvi fine, quindi, con un pentimento insincero  inoltra domanda di perdono, ma dai Guelfi Neri  fiorentini arrivano segnali negativi, che non accettano la domanda di perdono. La sua richiesta non viene accolta e rimane in Lunigiana con Firenze nei desideri.  Tra il 1306 e 1307 alla corte dei Malaspina Dante si sente finalmente un intellettuale e un poeta e qui comincia a scrivere la Divina Commedia. Stretto rapporto tra  creatività e tra vita vissuta  nella Divina Ccommedia. 

1906   A Sarzana sottoscrive come procuratore del Marchese Franceschino Malaspina la pace col vescovo di Luni, per dirimere annose controversie per il possesso di alcuni castelli della Lunigiana. Dante si recò nel palazzo vescovile e concluse la pace fra i contendenti.

1307   Lascia la Lunigiana per il Casentino, dove soggiorna presso i conti      Guidi

1308  Vive a Lucca, finisce l’Inferno che sarà pubblicato bel 1314 ed inizia il Purgatorio.  Il 31 marzo 1309 è costretto a lasciare Lucca per un editto emanato dal comune della città, anche questa volta dai Guelfi Neri. A Lucca vi era una biblioteca utile  ai suoi studi

Dante è bandito  da  Firenze nel 1302  Bologna nel 1306  Lucca  nel 1309,     sempre perseguitato dai Guelfi Neri, suoi acerrimi nemici politici..

1309   A Lucca ha un’amicizia con una tal Gentucca, forse nome allegorico per indicare la parte bianca di Firenze. Va  forse nella Riviera Ligure e in Alto Adige. Probabile soggiorno in Francia, forse ad Avignone, sede papale, meno probabilmente a Parigi,

1310  A luglio è a Forlì (Fori Livii tunc agens, dice Flavio Biondi), dove si riunisce ai vecchi compagni di lotta, Guelfi bianchi e Ghibellini. Trascorre forse la seconda metà dell’anno nel Casentino presso i conti Guidi , in autunno Enrico VII di Lussemburgo, re di Germania, scende in Italia accendendo le speranze di Dante nella rinascita di un impero in grado di porre fine alle accese lotte politiche nella Penisola. Scrive un’epistola , quasi un manifesto filo imperiale a tutti e ai singoli, al re d’Italia (Enrico VII)  il titolo di re d’Italia era onorifico per l’Imperatore, e all’intera classe dirigente della penisola invitando tutti a una pacificazione generale resa possibile da quel sole che stava spuntando, cioè dell’Imperatore.

1311   Dante fu ospite nel castello di Poppi, presso il conte guido da Battifolle e della sua sposa Gherardesca, figlia del conte Ugolino. Sempre nel 1311 Dante scrisse una lettera ai fiorentini, chiamandoli scelleratissimi per spingerli a sottomettersi all’imperatore Enrico VII, estremo tentativo di veder riabilitato il suo ideale politico.

1311 il Comune di Firenze vara un’amnistia per i fuorusciti, esclusi i Ghibellini e una parte dei Guelfi Bianchi. Dante  guelfo bianco, fu escluso perché condannato per motivi politici

1311 Probabile soggiorno a Genova, dove è in contrasto con i Doria, ghibellini signori della città.  I servitori di Branca Doria bastonano Dante per vendicare l’ingiurioso trattamento riservato al loro signore nell’Inferno XXXIII 141. Branca Doria è condannato da Dante all’Inferno, nella Tolomea, zona dei traditori degli ospiti quando il Doria era ancora vivo, (e mangia e bee e dorme e veste panni) per aver ucciso il suocero a tradimento durante un banchetto.  Per questo Dante viene bastonato in pubblico dai servi del Doria.

1311 – 1312  Enrico di Lussemburgo viene incoronato re d’Italia a Milano il 6 gennaio 1311, forse è presente Dante e si incontra con Enrico. Tra marzo e maggio Dante è nel Casentino. Nell’inverno 1311-1312 è a Genova  dove Enrico ha posto la sua corte; nella primavera del 1312 si sposta a Pisa e si dedica alla scrittura del De Monarchia. Il 29 giugno 1312 Enrico a Roma viene incoronato Imperatore. Dante in tutte le sue opere si prefigge di essere nuovo ed originale non solo in quelle in versi, ma anche in quelle in prosa. Infatti in Monarchia I,1,3 dice: desidero intemptatas ab aliis ostendare veritates.


1313   Muore Enrico a Buonconvento presso Siena, per Dante è la fine del sogno della stabilizzazione della politica italiana ed europea. Resta a Pisa presso la corte imperiale fino a settembre.

1314  Epistola veemente ai cardinali italiani riuniti in conclave a Carpentras  Avignone perché lottino per riportare a Roma la sede papale.  Dante è forse a Verona presso Can Grande della Scala. I figli maschi lasciano Firenze e lo seguono a Verona. Ha sussidi da parte della famiglia e dai nipoti di Gemma  Donati  

1315  Firenze emana un provvedimento di amnistia con revoca del bando. L’amnistiato doveva pagare una tassa di 12 denari, presentarsi in San Giovanni vestito con un sacco, una candela in mano e chiedere perdono, stare in carcere per un certo periodo  e portare per un certo tempo un particolare copricapo per essere individuati come amnistiati. Dante fu invitato ad aderire. Rifiuta di entrare in Firenze come reo confesso, perché ritiene vergognoso pagare per essere amnistiato e il sottoporsi a quella cerimonia. I ribelli condannati a morte dovevano presentarsi davanti al vicario e pagare e chiedere perdono. Dante non si presentò, e per non aver ottemperato alle disposizioni del Comune, venne condannato per la seconda volta  a morte per decapitazione compresi  i figli. La sentenza dice:  caput spatulis amputetur. Chiunque poteva fargli  del male impunemente, non solo, ma anche ucciderlo. Questa condanna espone lui e i figli maschi a nuovi pericoli. Di questo si lamenta con l’amico fiorentino  in una lettera, ma dice che comunque il pane non gli sarebbe mancato, nonostante il completo distacco da Firenze.  Avrebbe potuto trovare sicurezza in Lombardia presso i ghibellini di Matteo Visconti a Milano o presso Can Grande della Scala a Verona. Non conosceva Milano, a Verona era stato ai tempi di Bartolomeo. Dante continua a professarsi innocente e nel De  Monarchia I,1,3 dice: desidero intemptatas ab aliis ostendare veritates.

 1315        Finisce il Purgatorio, iniziato a Lucca tra il 1308 e 1309.

1316 - 1319    Dante a Verona ospite di Can Grande  della Scala scrive il Paradiso, che terminerà a Ravenna.

1319 – 1321  A Ravenna Dante dispone di una casa e ricompone la famiglia , anche per la tranquillità economica, in quanto il figlio Pietro ottiene il rettorato di due chiese, cosa che lui non poteva avere perché schierato contro il partito  del papa. A Ravenna è circondato dai figli Pietro e Antonio e dalla moglie Gemma.

Corrispondenza con Giovanni del Virgilio con un’epistola di forma oraziana,e di ispirazione virgiliana (Le quattro Egloghe) in cui lo studioso bolognese ed umanista esprime il rincrescimento perché la Commedia non fosse scritta in latino, ma in lingua volgare (nec margaritas pròfliga prodigus apris), non gettare prodigamente le perle ai cinghiali, gli dice Del Virgilio, che apprezzava molto Dante e lo invitava a Bologna per avere la corona di poeta. Dante risponde, chiamandosi Titiro, che sua gloria sarebbe stata cingere l’alloro poetico nella sua città natale, nel suo bel San Giovanni, per il suo poema  in volgare. Nel XXV, 1 ss.  del Paradiso Dante non solo pensa a un suo ritorno a Firenze, ma anche al riconoscimento come poeta:

Se mai continga che ‘l poema sacro  // al quale ha posto mano e cielo e terra                 sì che m’ha fatto per più anni macro  //      vinca la crudeltà che fuor mi serra              del bello ovile ov’io dormii agnello,  //      nimico ai lupi che li danno guerra                 con altra voce omai, con altro vello    //       ritornerò poeta ; ed in sul fonte                    del mio battesmo prenderò ‘l cappello

E’ l’esordio del canto che riporta il lettore dal cielo alla terra,  sposta l’obiettivo da Dante personaggio del poema a Dante poeta nella umana speranza della incoronazione poetica e del conseguente ritorno in patria con la caduta dei Neri . Forte è il rilievo psicologico-autobiografico  con  la nostalgia elegiaca di Firenze, del bell’ovile.  L’insistenza su San Giovanni mostra come una persona esule da molti anni possa restare legata a molti e simboli che nel frattempo, per coloro che in città hanno continuato a vivere, hanno perso di valore. Dante è stato tolto a Firenze, ma Firenze non è stata tolta a Dante: l’ha portata sempre con sé.

Nel 1321 viene mandato da Guido Novello  in una missione diplomatica per risolvere problemi di confine a Venezia, e per evitare una guerra. Venezia era alleata di Forlì e Rimini, la guerra sarebbe stata fatale per Ravenna. Durante il ritorno, attraversando le paludi di Comacchio, si ammala di malaria, Muore a Ravenna    dopo il tramonto,  viene seppellito nella chiesa dei francescani, nella quale ebbe funerali solenni, voluti da Guido Novello. Il Paradiso è concluso, ma divulgato solo a livello locale. Saranno i figli Pietro e Jacopo i primi a farlo conoscere.

 

I manoscritti dell’Accademia della Crusca 

Una traduzione della Divina Commedia

L’Accademia della Crusca possiede il manoscritto della prima traduzione integrale della Divina Commedia, presentata nel corso della Tornata accademica  su Dante del 26 – 10 – 202. L’autore della traduzione, il toscano Agostino Biagi (1882 – 1957) fu frate francescano missionario in Cina  agli inizi del 900. Uscito dai frati è stato pastore protestante  evangelico a Avellino e a Genova .antifascista e insegnante  e di cinese ed altre ,lingue i9n Italia. ha donato la traduzione e una serie di altre opere r documenti ( molte dei quali traduzioni dal e in cinese) in tal numero che l’Accademia ha potuto istituire il Fondo Biagi. La traduzione della Divina Commedia  non è opera di un cinese, ma di un italiano, e già questo è un qualcosa di straordinario. Missionario in Cina, torna in Italia ed esce dall’Ordine francescano e diventa pastore evangelico. Biagi ha dedicato buona parte della sua vita alla straordinaria traduzione in cinese della Divina Commedia, da lui mai pubblicata. E’ stata scoperta fra le carte di famiglia dalla sua pronipote l’on. Genovese Mara Carocci. Già, parlamentare del Partito democratico. L’on. Carocci ne ha fatto dono all’Accademia della Crusca insieme ad altre carte e  traduzioni in cinese e dal cinese che lo zio Agostino Biagi aveva fatto.  Il tutto è a disposizione di dantisti e sinologi. E’ stata la novità più singolare dell’anno dantesco . Quella che sembra essere la prima traduzione integrale in cinese ed in versi del poema è l’opera di un italiano Agostino Biagi, rinvenuta fra le carte di famiglia alla morte della madre dell’on. Mara Carocci. Nella normalità si traduce nella propria lingua madre. Biagi è partito dalla lingua madre ed è arrivato nella sua seconda lingua. Rgli in Cina ha imparato il cinese e conseguito il titolo per insegnarlo. Antifascista della prima ora, tenuto d’occhio per le sue idee filocomuniste , è sempre vissuto stentatamente insegnando cinese ed altre lingue. Biagi ha portato Dante in Cina prima di ogni altro.  

                                                                                                              F.S.Lioi

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