3° INCONTRO - 18/10/2017 - PROF. VINCENZO GUGLIELMUCCI
" Analisi di documenti storici sul brigantaggio relativi al nostro
territorio"
Il nostro socio Franco Scarfiello ha presentato il relatore della serata il
Prof. Vincenzo Guglielmucci lodandone la meticolosità nelle ricerche d'archivio
per i libri che scrive, come nel caso dell'ultimo suo lavoro "
Ingiongiolo"
Ha preso quindi la parola il Prof. Guglielmucci ribadendo quanto ha sempre
sostenuto anche in precedenti incontri che i briganti non vanno considerati
eroi: erano dei fuorilegge, autori di delitti spesso efferati ai quali, in
alcuni casi possono essere riconosciute attenuanti, ma mai potranno
completamente essere assolti.
Ha ricordato poi come Carmine Crocco, il più famoso dei briganti lucani,
già pregiudicato, fu arruolato nelle truppe partecipanti all'insurrezione
antiborbonica dell'agosto 1860 con la promessa che, alla costituzione del
nuovo stato, gli sarebbe stata condonata la condanna. Promessa non mantenuta
che spinse Crocco a darsi alla macchia e al brigantaggio.
Si è soffermato a lungo sull'arrivo a Oppido nel dicembre 1860 di tre
strani personaggi che si spacciavano per ricchi mercanti di bestiame. Presero
alloggio presso la taverna tenuta dall'aviglianese Vito Masi e risultarono poi
essere: Crocco, Ninco-Nanco e Amati, con i quali a detta del taverniere fu visto
pure Ingiongiolo. Questi briganti furono gli autori del sequestro del giovane
massaro Rocco Mancuso di Domenico, avvenuto il 27 dicembre 1860, condotto in
una masseria in contrada Serra della Battaglia a Genzano e liberato il 6
gennaio successivo dopo il pagamento di 1.700 ducati per il riscatto. Seguì un
lungo processo durante il quale furono incriminati, oltre gli autori del
sequestro, anche componenti di famiglie benestanti del posto: La Sala, Caronna,
Alicchio, De Lorenzo ed altri, come manutengoli.
Gerardo De Felice detto Ingiongiolo si dette al brigantaggio nel luglio
1862: fu un brigante astuto, intelligente, coraggioso. Manteneva buoni rapporti
con i proprietari di masserie ed i contadini che lo proteggevano ed a cui
assicurava protezione. Pur autore di molti delitti non era particolarmente
feroce e sanguinario ma non tollerava e puniva con la morte i delatori e
i traditori.
E purtroppo fu vittima di un inaspettato tradimento da parte del vaccaro
Michele Caprio di Genzano legato a lui da comparaggio, coadiuvato da 4
giumentari di Spinazzola, tutti custodi di bestiame per conto di ricchi
proprietari di Spinazzola e di Genzano, nel bosco La Piana in territorio di
Vaglio.
Nella notte tra il 20 e il 21 ottobre 1866, Ingiongiolo e il suo compagno
Viuncenzo Saponara, sfiniti e affamati, si diressero verso la pagliaia in cui
dormivano Caprio ed i 4 giumentari ritenendoli fidati e disponibili.
Riconosciuti, vennero invece accolti a fucilate e finiti poi in modo atroce con
pugnali, colpi di scure e calci di fucile.
Gli uccisori corsero subito a Vaglio per notificare la morte dei due
banditi e rivendicare il loro diritto alla riscossione della cospicua taglia e
degli altri benefici posti dalle autorità sulla testa dei due briganti.
Il barbaro assassinio ed il tradimento che ne fu la causa, anche se a danno
di due briganti, lasciò sgomenta ed indignata gran parte della popolazione di
Palmira e dei paesi vicini, tanto che il Caprio, compare di Ingiongiolo,
additato come traditore e ritenendosi fatto segno ad eventuale vendetta, fu
costretto ad allontanarsi dal suo paese.
Al termine della seguitissima relazione del Prof. Guglielmucci è
intervenuto il socio novantacinquenne Donato Mancuso, nipote del rapito Rocco
Mancuso ad opera dei banditi ed ha fornito ulteriori dettagli sull'episodio
riguardante la sua famiglia al quale si ritiene non fosse del tutto estraneo lo
stesso Ingiongiolo.