11° incontro - 10/01/2018 – prof. francesco s. lioi
“Un grido lungo
duecento anni: terra ai contadini” 1a parte
Il Prof. Lioi ha tenuto
una interessante conferenza sulle vicissitudini che hanno caratterizzato oltre
due secoli di lotte da parte dei contadini finalizzate all’ottenimento dei
terreni che, dopo la feudalità, dovevano essere assegnati ai contadini. Ma,
come vedremo nel corso della relazione, le cose non andarono proprio come
sperato.
Così inizia la
relazione del prof. Lioi.:
“Terra ai
contadini, un grido che viene dal 1810, da molto lontano nel tempo, da quando
le leggi murattiane sancirono l’eversione della feudalità e la quotizzazione
delle terre demaniali. Fu dopo queste leggi che i contadini innalzarono questo
grido verso il cielo.
Mezzo secolo dopo
fu la seconda volta che il grido si innalzò verso il cielo, dopo l’Unità
d’Italia nel 1860, quando le richieste dei contadini meridionali furono
inattese dal nuovo stato, il quale ebbe l’appoggio dei galantuomini a
condizione che non fosse mutato lo status quo. La rivolta dei contadini contro
questo stato di cose fu una delle cause del brigantaggio, specie dalle nostre
parti: il brigantaggio è soprattutto una ribellione alla miseria, al latifondo
e alle terre incolte tenute dai galantuomini, gestori di un nuovo feudalesimo
più deleterio del primo, quello che le leggi murattiane tentarono di
sopprimere. Tutta la seconda metà del secolo XIX è stata segnata dal grido
terra ai contadini, grido sempre inatteso dalla classe dirigente. Il nuovo
parlamento condusse un’inchiesta sulle condizioni del contadino lucano, ma
questa venne affidata ad Ascanio Branca, che pure era lucano, ma grosso
proprietario terriero. Ebbene, Ascanio Branca si preoccupò soprattutto di non
ledere i diritti dei suoi elettori, che erano soltanto i ricchi proprietari di
terra interessati a non provocare interventi che avrebbero modificato le
strutture socio-economiche della Basilicata di fine secolo.
La terza volta fu nel primo dopoguerra, quello della Grande
Guerra del 1915-1918. Gli anni a cavallo del 1920 si connotano ancora una volta
col grido terra ai contadini, ma il regime fascista, al potere dal 1922,
eludendo il grido del popolo, fu dalla parte degli agrari, i quali continuarono
a spadroneggiare negando ancora una volta la terra ai contadini ed aprendo loro
la via dell’emigrazione. I contadini hanno perso la impari guerra e hanno preso
la via dell’emigrazione verso le Americhe, verso il Nord Europa, verso il Nord
Italia.
Arriviamo così al quarto grido: terra ai contadini, quello del
secondo dopo guerra, quello della Seconda Guerra mondiale, quello che molti di
noi hanno vissuto e che l’hanno visto scritto anche sui muri con la vernice
nera. Il terzo e quarto grido Terra ai contadini proveniva da coloro che
avevano dato parte della loro vita alla patria combattendo nelle trincee, nei
deserti dell’Africa o nelle steppe ghiacciate della Russia: anche il grido di
costoro fu inascoltato e la terra rimase dei soliti galantuomini che continuarono la loro vita parassitaria.
Ad ogni tentativo da parte del potere costituito, sia esso
monarchico che repubblicano, i ricchi feudatari prima e i ricchi galantuomini
dopo hanno sempre ritenuto che essi erano al di fuori e al di sopra di ogni
legge. La classe dirigente, quale essi dicevano di essere, secondo loro doveva
sempre mantenere le antiche e consolidate posizioni acquisite nel tempo ed
impedire che altri potessero essere alla pari con loro.
La società lucana fino alla seconda metà del XX secolo è rimasta
immutata nelle sue strutture e nella sua economia, è stata priva di una
borghesia imprenditoriale e di una classe dirigente che si adoperasse per un
miglioramento. L’economia agraria ha attraversato un lungo periodo di stasi per
il disinteresse dei grossi padroni. Si
sperava che l’eversione della feudalità e la soppressione degli enti
ecclesiastici cambiassero la situazione, ma tutto è andato a vantaggio degli ex
feudatari e della ricca borghesia, i terreni venduti dallo stato ancora una
volta sono diventati di loro proprietà.
Lo stato, nel meridione il regno di Napoli, con l’eversione
della feudalità, acquisì le terre degli ex feudatari, che poste in vendita,
furono facilmente comperate dagli antichi proprietari e dalla ricca borghesia,
o prese da costoro in enfiteusi. Ed ecco il grido
della richiesta di terra da parte dei contadini che si prolunga nel tempo. E se
costoro dal grido passavano ai fatti, occupando direttamente le terre
demaniali, intervenivano le autorità costituite, che restituendo la terra agli
usurpatori, dicevano di fare giustizia e che la terra altrui non andava
toccata.
I terreni demaniali venivano concessi in enfiteusi ai soliti
baroni o gentiluomini, i quali. nel
tempo, li alienavano e diventavano i veri proprietari, impedendo ai
contadini i più elementari diritti di sussistenza. Quello che succedeva nel
Decennio Francese continua sotto i Borboni: anche l’enfiteusi della terra degli
enti religiosi soppressi è sempre appannaggio di coloro che già sono
proprietari di grossi latifondi.
In Basilicata, ove regnava il latifondo, sia esso di media o
grande estensione, dopo le prime quotizzazioni demaniali le condizioni dei
contadini sono peggiorate, non è stato adottato alcun provvedimento per
affrontare le conseguenze derivate dall’esercizio degli usi civici e per
mantenere i quotisti assegnatari nelle condizioni di coltivare le loro terre
assegnate, si sono consentiti gli abusi dei ricchi galantuomini, i quali
ricorrendo ad ogni mezzo continuano con prepotenza ad accrescere i loro beni
fondiari.
Tutto questo si ripete dopo il 1864, con l’Unità d’Italia e la
creazione del Regno d’Italia. Incuranti delle promesse fatte al popolo che
aveva chiesto al nuovo sovrano la spartizione delle terre che i comuni avevano
incamerato dopo il 1864 per la soppressione degli ordini religiosi e
l’incameramento dei beni di questi da parte dei comuni, gli agrari si
schierarono dalla parte del nuovo stato non solo per conservare i loro
latifondi, ma anche per accrescerli usurpando le quote demaniali che sarebbero
dovute andare ai contadini. Contro queste appropriazioni indebite le
amministrazioni comunali iniziano lunghe e costose vertenze contro gli
usurpatori dei terreni: il possesso rimane sempre ai più forti, in questo caso
gli agrari, sempre protetti da una legislazione a loro favore. Scompaiono così
gli usi civici nei terreni migliori, dalle nostre parti dai terreni migliori
che si trovano nelle pianure che costeggiano il fiume Bradano. Ai contadini
vengono assegnati i terreni più scarsi e meno produttivi, per il pascolo ed il
legnatico. Cosi i contadini e la povera
gente rimangono sempre fuori; si ribellano, si rivoltano non contro lo stato,
ma contro i grandi agrari, contro i latifondisti, dai quali si ritengono
affamati e sfruttati. Nasce così il brigantaggio, e si sviluppa un potente urto
tra la classe possidente e la classe
proletaria, ma la distribuzione della terra ai contadini non ci sarà mai La legislazione borbonica prima e italiana dopo per tutto l’800
si informa allo spirito delle leggi eversive promulgate a Napoli durante il
Decennio Francese. Pur non avendo mai accantonato il Parlamento del nuovo Regno
Italiano il problema dei contadini e delle loro condizioni, nulla è cambiato. Nel censimento del 1881 il
65.5% dei lavoratori della terra non è proprietaria del fondo che coltiva ed è
costretto a legame di subordinazione nei confronti dei proprietari terrieri e
dei nobili del luogo.
Il nuovo Stato Italiano, per esso il Parlamento, commissionava
studi ed inchieste sullo stato dell’agricoltura. Studiosi e ricercatori erano i
parlamentari, i quali erano anche grandi agricoltori latifondisti che a parole
erano riformisti, nei fatti concreti conservatori. Infatti indagarono,
studiarono, sperimentarono, relazionarono, ma la proprietà era sempre di pochi,
di quella borghesia agraria alla quale interessava la proprietà della terra non
le condizioni dei contadini”.
Sintesi a cura di D.M.