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INCONTRO 30 marzo 2016 Sig. VITO MARONE
“Felicia:
cronaca di un viaggio straordinario”
L’incontro di questa sera è dedicato alla meravigliosa avventura di una
donna di Oppido, Felicia Muscio, che, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento,
insieme alla figlioletta Rosa, quattro
anni e poco più, offre una prova di attaccamento alla famiglia
affrontando un avventuroso viaggio da Oppido fino in Cile, per raggiungere il
marito, che era emigrato in quella terra circa quattro anni prima.
La Storia ce la racconta Vito Marone che ha studiato il fatto, ricercato
notizie e visitati i luoghi della vicenda. Felicia Muscio è una lucana di Oppido che alla fine del
XIX secolo lasciò il paese per un indicibile viaggio in Sud America, per nave e
poi attraverso le Ande con mezzi di fortuna su muli e carretti, e ancora per mare
verso il lunghissimo nord del Cile, per raggiungere il marito nella lontana
Iquique. Avvolta in un’ampia coperta, su un
sentiero stretto e ripido, Rosa è a dorso di una mula. Fa freddo, benché sia
estate. Intorno a lei, la roccia dell’arido paesaggio andino mostra qua e là le
chiazze abbaglianti di nevi perenni. Rosa è un fagotto in braccio alla mamma, e
si lascia trasportare con l’indolenza di una precoce rassegnazione alle vicende
della vita. Non ha ancora cinque anni. Va a raggiungere il papà che l’aspetta
in un paese dal nome strano, così diverso dai nomi dei paesi che ha lasciato da
ormai più di un mese. Iquique. Chissà quanti giorni ci vorranno ancora per
quella meta lontana.
Sembrava già tanto lungo il viaggio da Oppido a Napoli. Ma
il mare! Quel mare sembrava non voler finire mai. Quanti giorni, settimane,
prima di poter ridiscendere dalla nave!
Più di un mese per Mar del Plata, e non era che una tappa di
questo percorso interminabile. Poi con mezzi di fortuna fino a San Martín de
los Andes, il confine andino dove finisce la ferrovia e l’Argentina. Là, un
mulattiere propone alla mamma di accompagnarle di là dalle Ande, a Los Andes
del Cile. Sono già tre giorni almeno che, insieme alla mamma, la bimba viaggia sul
dorso di una mula che ora la culla ora la fa sobbalzare lungo la Cruce
de los Andes, sentieri tortuosi, ripidi, polverosi, ponti
stretti che passano su baratri e precipizi da far paura anche alle bestie e non
sa che, dopo questo viaggio, non sarà ancora finita: dal confine a Santiago e
Valparaíso, le attende non meno di due settimane di carretto e poi, dal porto,
mamma e figlia dovranno prendere ancora una nave per il lungo nord cileno: altre
mille miglia fino a Iquique.
Una storia che potrebbe chiamarsi Dagli Appennini alle Ande… Perché dagli
appennini lucani parte questa vicenda, dai monti di Oppido che allora – siamo
alla fine dell’Ottocento – si chiamava Palmira (il nome che il paese ebbe per
pochi decenni, dal 1863 al 1933).
Nonna Felicia Muscio
e la piccola Rosa impiegarono due mesi per arrivare a
Iquique.
Poi l’incontro con il marito e le altre vicende che portarono
quest’ultimo ad Oppido, nella speranza di trovare migliori condizioni di vita
rispetto a quelle che aveva lasciato alla sua partenza. E invece qui trovò la morte.
A Felicia Muscio, alla sua avventura, il sindaco della
città di Iquique, Jorge Soria, volle che si dedicasse un simbolo concreto, che
fosse, oltre che l’emblema dell’emigrazione lucana, un riconoscimento del
contributo dato dai nostri corregionali allo sviluppo e all’economia della
città: un grande monumento realizzato dal maestro Antonio Masini, “Felicia de los
Andes, che oggi si staglia a Iquique, di fronte all’oceano.
Il pubblico presente ha seguito con vivo interesse ed attenzione la
narrazione, tributando al relatore un caloroso applauso.
D.M.