XII° incontro - 17 gennaio 2024 - Ins. Mimmo Maglione
SISSI, LA PRINCIPESSA TRISTE
Biblioteca comunale - ore 18.30
Elisabetta di Baviera, meglio conosciuta come la principessa Sissi, è una delle donne della Storia più amate dal grande e piccolo schermo. Numerosi i film sulla sua vita, che hanno descritto al grande pubblico un'immagine edulcorata e romantica, con qualche inesattezza storica.
Ma qual è la vera storia della principessa Sissi? Scopriamo la sua difficile e tormentata vita con questo ritratto storico fatto da Mimmo Maglione, socio di lunga data della nostra Associazione, sempre attivo e collaborativo.
Segue relazione di Mimmo Maglione
Sissi, la principessa triste
Mimmo
Maglione
Unitre
Oppido Lucano, 17 gennaio 2024
Elisabetta Amalia Eugenia
di Wittelsbach detta “Sissi”, nacque a Monaco di Baviera 24-12-1837 da
Massimiliano Giuseppe duca in Baviera e da Ludovica di Baviera, figlia
di Massimiliano di Wittelsbach, che in seguito divenne re come Massimiliano I
Giuseppe di Baviera.
Elisabetta era la quarta
di dieci figli e trascorreva la sua infanzia nel palazzo di famiglia a Monaco,
mentre, nei mesi estivi, si trasferiva nel castello di Possenhofen, una
residenza a cui la giovane duchessa, amante della natura, rimarrà legata per
tutta la vita.
Entrambi i genitori
appartenevano alla famiglia Wittelsbach, ma mentre il padre discendeva da un
ramo collaterale dei duchi "in Baviera", la madre apparteneva al ramo
principale della famiglia reale. Perciò il titolo spettante ad Elisabetta alla
nascita fu quello di "Sua altezza la
duchessa Elisabetta in Baviera“ ereditato dal padre.
La vita matrimoniale dei suoi genitori non fu felice: suo padre non si
dedicò molto alla vita familiare, anzi, al contrario, ebbe numerose amanti e
figli illegittimi, mentre la madre, duchessa Ludovica, non partecipava alla
vita di corte, ma preferiva dedicarsi personalmente dell'educazione dei figli,
cosa abbastanza strana per quei tempi.
Elisabetta Amalia, prima
bambina e poi adolescente, di animo sensibile, crebbe con molta semplicità, in
modo da non sviluppare un carattere aristocratico; sin da piccola fu educata a
trascurare i formalismi e a occuparsi dei indigenti e degli ammalati.
Ma ben presto la sua
giovane e spensierata vita sarà totalmente stravolta.
Mentre Elisabetta
trascorreva spensierata le sue giornate tra Monaco e il castello di
Possenhofen, alla corte di Vienna si progettava il futuro di suo cugino, Francesco
Giuseppe, figlio della sorella di Ludovica, l’arciduchessa Sofia. È un giovane
alto, bello, biondo e per lui la madre ha in mente un grande avvenire.
Alla morte di Francesco
I, il 2 marzo 1835, salì al trono imperiale il figlio Ferdinando
I, (zio di Francesco Giuseppe). Essendo un
soggetto malaticcio, mostrò subito la sua inadeguatezza alla carica, per cui il
padre, ancora in vita, aveva costituito un gabinetto di governo noto come
“Conferenza di stato segreta” di cui facevano parte quelli che poi furono i suoi
consiglieri più fidati: suo fratello Francesco Carlo (padre del
futuro imperatore Francesco Giuseppe), il ministro Metternich e il
conte Franz Anton von Kolowrat-Liebsteinsky, oltre all'arciduca Luigi
d'Asburgo-Lorena, suo zio.
Il giovane imperatore,
colpito da malattia mentale, non riuscì a dare un figlio all’Impero Austriaco.
In seguito
all’insurrezione viennese del marzo 1848, Ferdinando e la sua corte
lasciarono la capitale austriaca diretti a Innsbruck dove il sovrano contava di
prendere del tempo in attesa che i moti rivoluzionari si calmassero. Quando
l'imperatore, a metà agosto del 1848, dopo la riconquista armata della
capitale, ritenendo che il pericolo fosse ormai passato, vi fece ritorno, fu
costretto ad abbandonarla nuovamente per lo scoppio di alcune rivolte che lo
costrinsero, anche su consiglio del Metternich, a formalizzare la sua
abdicazione in favore del nipote Francesco
Giuseppe, figlio di suo fratello Francesco
Carlo che, manovrato dall’ambiziosa moglie Sofia, fu indotto a
rifiutare il trono a beneficio del figlio Francesco Giuseppe, giovane di appena
5 anni, che venne cresciuto dalla madre, l’arciduchessa Sofia, con l'intento di
farne un giorno l’erede al trono austriaco.
Per lui la madre ha in mente anche la
compagna ideale da mettergli al fianco e, dopo due falliti progetti con
principesse prussiane e sassoni, la scelta cade sulla maggiore delle sorelle di
casa Wittelsbach, Elena, chiamata affettuosamente Nenè.
Sofia confabula con la
sorella Ludovica, trama in silenzio cercando di costruire il futuro del figlio
e dell’impero, ma…..imprevisto.
Nell'inverno del 1853
erano in corso, dunque, queste trattative tra le due sorelle. Ludovica e Sofia
decisero di far incontrare i figli a Bad Ischl, residenza estiva
dell'imperatore, durante la festa di compleanno di quest'ultimo e annunciare
pubblicamente il loro fidanzamento. Ludovica, per l’occasione, decise di
portare con sé anche Elisabetta, nella speranza di strapparla alla malinconia
nella quale era sprofondata e con l'intenzione di vagliare un suo possibile
fidanzamento con il fratello minore di Francesco Giuseppe, Carlo Ludovico. DIA 13
Il fidanzamento e le nozze con Francesco Giuseppe.
Il 16 agosto 1853 la
duchessa Ludovica, Nenè e Sissi, quest’ultima ignara del progetto, arrivarono a
Bad Ischl. Vi fu un primo incontro con Sofia, Francesco Giuseppe ed Elisabetta
di Prussia, un’altra sorella di Ludovica.
Ma, come spesso accade,
il destino si intromette nella vita dei mortali e sconvolge i loro disegni.
Già nel primo incontro,
Francesco Giuseppe, rimase colpito non da Elena, ma dalla più giovane e acerba
sorella Elisabetta. Aveva occhi ed attenzioni solo per lei, per quella
ragazzina non ancora sedicenne, un po’ impacciata, per niente regale, ma con un
volto sereno, un sorriso luminoso e due occhioni vivaci e bellissimi dai quali
il giovane monarca rimase affascinato. La sua naturalezza e la sua
inconsapevolezza l’hanno resa ancora più innocente e spontanea agli occhi di lui,
mentre Nenè se ne stava tutta rigida e composta, consapevole del ruolo di
prescelta.
L’Imperatore, il giorno
successivo, comunicò alla madre che avrebbe sposato Elisabetta e non Elena,
nonostante i diversi disegni dell'arciduchessa sua madre.
Questa inattesa scelta
rischiava di mandare all’aria il progetto. L’arciduchessa Sofia, conoscendo il
figlio, comprese che nulla gli avrebbe fatto cambiare idea. Non vi erano
alternative, bisognava acconsentire al matrimonio, poi ci avrebbe pensato lei,
a domare quella “selvaggia” e a darle le sembianze di futura imperatrice: dovrà
imparare a muoversi con passo fiero, con atteggiamento adeguato al suo ruolo,
dovrà apprendere le lingue ed essere diversa da quella che è.
L’arciduchessa Sofia
comunicò alla sorella Ludovica la decisione dell’Imperatore. Bisognava
mascherare la delusione e l’amarezza che avrebbero preso Elena, ma soprattutto
parlare con Elisabetta (Sissi) e convincerla ad accettare. La piccola ed
ingenua Elisabetta, non aveva la minima idea dell'impressione da lei destata in
Franz. Nel ricevimento dato quella sera, l'imperatore ballò il cotillon con Elisabetta, un chiaro
segno per tutti, ma non per la futura sposa, ignara di quanto stava per accadere.
Il giorno seguente
Ludovica, per conto dell'imperatore, chiese alla figlia Elisabetta se era
condiscendente alle nozze.
Elisabetta rimase stupita
e sconcertata, confusa; non aveva immaginato minimamente che potesse succedere
una cosa così inattesa, non lo aveva mai pensato. Come? L’imperatore voleva
sposare lei? Perché proprio lei? Perché proprio lei avrebbe dovuto abbandonare
la sua casa a Monaco, forse anche il castello di Possenhofen, la residenza a
cui lei, amante della natura, fu molto legata per tutta la vita? Perché
l’imperatore aveva scelto proprio lei fra tante dame, perché non sua sorella
Elena? Forse tentò anche di convincere la madre ad insistere affinché Francesco
Giuseppe scegliesse la sorella Elena, cosa cambiava? Era della stessa famiglia,
stesso rango. (Non era a conoscenza di quelli che erano i piani preparati da
sua madre e dalla zia e che erano saltati). Era frastornata, insicura, indecisa
su cosa fare, non avrebbe mai voluto trovarsi in quella situazione, d'altronde
non aveva ancora sedici anni. Scoppiò a piangere e si rifugiò nelle braccia della
madre.
La duchessa Ludovica,
madre di Sissi, riuscì in qualche modo a convincerla ad accettare la richiesta
di matrimonio, anche per ragioni politiche; inoltre, rifiutare sarebbe stato
un’offesa nei confronti di sua zia Sofia e di suo cugino l’Imperatore Francesco
Giuseppe.
A malincuore Sissi
accettò e la madre lo comunicò per iscritto alla sorella Sofia.
Da quel momento fino al
31 agosto, la coppia di fidanzati trascorse molto tempo insieme e si mostrò
pubblicamente.
Si racconta che in uno
dei primi incontri tra i due promessi sposi, Francesco Giuseppe abbia chiesto a
Sissi come mai ella fosse sempre così triste e Sissi abbia risposto: “Oh,
Franz, se solo tu non fossi imperatore, come sarebbe tutto più facile!!”
Intanto incominciarono i
preparativi per le nozze e le trattative con la Santa Sede per ottenere la
necessaria dispensa papale, poiché gli sposi erano primi cugini.
PERCHE’ “SISSI”?
Il soprannome corretto
dell’imperatrice è “Sisi” con una sola esse. Alcuni sostengono che il nomignolo
originale fosse “Lisi” (classico diminutivo di Elisabeth), diventato ”Sisi” in
seguito a un errore di Francesco Giuseppe. La versione “Sissi” è dovuta ai
famosi film degli anni cinquanta, anche se in Austria si preferisce la versione
tradizionale “Sisi”, utilizzata nel nome del museo dedicato alla principessa. (“Sisi Museum” all’Hofburg Palace di Vienna.
Dal giorno del
fidanzamento Elisabetta fu sottoposta a un corso di studio per colmare le
numerose lacune della sua scarsa istruzione. Dovette imparare il francese,
studiò il greco, il latino, l'italiano e soprattutto la storia dell'Austria. Fu
allestito il corredo della sposa e nel marzo 1854 fu ufficialmente firmato il
contratto nuziale.
La dote fu fissata in
50.000 fiorini pagati dal duca Massimiliano, padre di Sissi, e 100.000 fiorini
pagati dall'imperatore suo sposo.
Il 20 aprile 1854 Sissi
lasciò la sua casa paterna di Monaco e, dopo tre giorni di viaggio, il 23
aprile, la futura imperatrice fece il suo ingresso ufficiale a Vienna, dove
ricevette una calorosa accoglienza.
Le nozze furono celebrate
con grande sfarzo la sera del 24 aprile e, dopo i numerosi festeggiamenti, la coppia fu
condotta nella camera da letto soltanto dalle rispettive madri, contrariamente
alle usanze del tempo che prevedevano la presenza di numerose persone.
Le nozze furono consumate
la terza notte.
SECONDA
PARTE
Primi anni alla corte di Vienna
Sissi non amava molto la
vita di corte e fin dal suo primo ingresso al palazzo reale, dovette accorgersi
delle difficoltà che l'attendevano. Nata e cresciuta in una famiglia di costumi
semplici, sebbene nobile, si trovò al centro della rigida corte di Vienna,
ancora legata a un severo "cerimoniale spagnolo", cui inizialmente la
giovane imperatrice dovette sottostare.
Privata dei suoi affetti
e delle sue abitudini, Elisabetta ben presto si ammalò, accusando per molti
mesi una tosse continua, febbre e stati di ansia, dovuti a turbamenti di
origine psichica.
L’imperatore trascorreva
le sue giornate dedicandosi a mantenere costantemente vivi i rapporti con
l’alta borghesia e, settimanalmente, riceveva i sudditi che chiedevano udienza,
di qualunque estrazione sociale essi fossero. Sissi, invece, sempre più
estranea a queste attività, occupava il suo tempo dedicandolo alla cura della
sua persona.
L'arciduchessa Sofia si
assunse l'onere di trasformare la nuora in una perfetta imperatrice, ma
nell'agire in tal senso e restando fermamente attaccata all'etichetta finì per
inimicarsi Elisabetta e ad apparire ai suoi occhi una donna malvagia. Solo successivamente
la ragazza si renderà conto che la suocera, nonché zia, aveva agito sempre a
fin di bene, pur in maniera imperiosa e imponendo sacrifici. A differenza di
Sofia, che era rispettata da tutta la corte, Elisabetta veniva criticata per la
sua scarsa istruzione e per la sua inesistente attitudine alla vita di società.
Non molto tempo dopo le
nozze Elisabetta rimase incinta, e il 5 marzo 1855 partorì la sua prima figlia,
chiamata Sofia in onore della nonna paterna. Il nome fu deciso, all’insaputa di
Sissi, da Francesco Giuseppe e dalla madre Sofia, cosa che contrariò non poco
la principessa, al punto da lasciare che ad occuparsi della figlia fosse la
suocera. L'arciduchessa si occupò personalmente della bimba, alla quale fu
legatissima. Le stanze della bambina furono allestite accanto alle sue e fu lei
a scegliere l'aia per la bambina.
Poco più di un anno dopo,
il 12 luglio 1856, Elisabetta partorì un'altra bambina, Gisella, anch’ella
allevata dalla nonna. In
seguito Elisabetta si rammaricherà per non essersi potuta occupare
dell’educazione dei figli.
Il culto della bellezza)
Questa situazione
esasperò ulteriormente i già critici rapporti tra Sissi e Sofia, per cui sollevata
dagli impegni di madre e di regnante, autoesclusasi dalla vita di corte, anche per
non alimentare ulteriormente i contrasti con la zia e suocera Sofia,
Elisabetta, ossessionata dal culto della propria bellezza, concentrava tutte le
energie nel tentativo di conservarsi giovane, bella e magra. Collezionava immagini di donne che gli ambasciatori
reali, sparsi in tutto il mondo, le inviavano su sua richiesta. C’è chi è
arrivato a sospettare anche tendenze omosessuali in questo. Era più
probabilmente solo un’esteta, ossessionata dalla ricerca della perfezione
fisica in sé e negli altri.
Secondo le cronache,
Elisabetta era alta 1 metro e 73 cm e pesava intorno ai 48 kg. Indossava un
corpetto strettissimo per ridurre il punto vita a meno di 50 cm., utile a ottenere il suo famoso “vitino da vespa”. L’operazione con le
stringhe e le stecche poteva richiedere anche un’ora. Quasi tre ore occorrevano
quotidianamente per vestirsi, poiché gli abiti le venivano di solito cuciti
addosso per far risaltare al massimo la snellezza del corpo.
- Aveva capelli castani
folti e lunghissimi, che sciolti le arrivavano alle caviglie. La massa dei suoi
capelli di 5 kg. le provocava frequenti emicranie.
Per la loro cura si
impiegavano circa tre ore al giorno. Venivano intrecciati da Fanny Angerer, ex
parrucchiera del Burgtheater di Vienna, richiesta espressamente
dall'Imperatrice dopo aver ammirato le chiome di alcune attrici in una
rappresentazione teatrale.
Il lavaggio della chioma
era eseguito ogni tre settimane. Lo “shampoo” era costituito da 30 tuorli
d’uovo ed una bottiglia di cognac lasciato in posa per un’ora. Tutta
l’operazione richiedeva una giornata intera. Durante questi trattamenti non
doveva essere disturbata per nessun motivo.
La parrucchiera e
confidente ha anche il compito di controllarle i centimetri del girovita,
fianchi e polpacci e di annotarli insieme al peso su un diario. Talvolta questa
operazione è ripetuta anche tre volte al giorno.
Per preservare la
giovinezza della pelle, Elisabetta faceva uso di maschere notturne per il viso
a base di carne di vitello cruda o di fragole schiacciate. Era solita fare il
bagno nella vasca da bagno riempita con il latte delle sue capre con l’aggiunta
del miele, o con olio di oliva caldo. Sempre con olio di oliva le venivano
praticati impacchi per tutto il corpo.
Per conservare la
snellezza dormiva con i fianchi avvolti in panni bagnati e beveva misture di
albume d'uovo e sale.
Impegnava il resto della
giornata con la scherma, l'equitazione e la ginnastica (aveva fatto allestire
in tutti i palazzi in cui soggiornava delle palestre attrezzate con pesi,
sbarra e anelli, e per un certo periodo aveva mantenuto una scuderia.)
Costringeva la propria dama di corte a seguirla durante interminabili
passeggiate quotidiane che duravano anche sette o otto ore. la stragrande maggioranza delle dame
di compagnia non riusciva a sostenere il ritmo e che era pertanto costretta a
terminare in carrozza.
Dopo la nascita della
figlia Gisella, nel settembre del 1856, Elisabetta cominciò ad esercitare i
suoi diritti di madre e durante un viaggio in Stiria e in Carinzia si
riavvicinò molto al marito. L'imperatrice comprese che i viaggi di Stato
potevano essere un'occasione preziosa per stare da sola col lui e far valere la
sua posizione di sposa e madre.
Elisabetta riuscì a
ottenere che la figlia Sofia accompagnasse lei e il marito durante il loro
viaggio in Italia nell'inverno tra il 1856 e il 1857. Per la prima volta,
l'imperatrice, sempre acclamata da folle festanti austriache, si rese conto che
l'impero non aveva il consenso di tutte le sue popolazioni.
Il regime militaristico
austriaco aveva portato come conseguenza il disprezzo e l'odio degli italiani
nei confronti degli Asburgo. Elisabetta, solitamente pronta ad assentarsi dagli
impegni ufficiali a Vienna, rimase tuttavia accanto al marito in difficoltà per
l'intero programma di viaggio nel Lombardo-Veneto. A Milano, al ricevimento
indetto per la nobiltà, gli aristocratici lombardi, in segno di disprezzo,
mandarono al loro posto i propri servi; al concerto al Teatro alla Scala fu
intonato il "Va, pensiero" di Giuseppe Verdi, che allora era l'inno
dei patrioti italiani. A Venezia, poi, la famiglia imperiale attraversò Piazza
San Marco acclamata soltanto dai soldati austriaci, mentre la folla di italiani
rimase in silenzio.
Il console inglese, lì
presente, riferì a Londra: «Il popolo era
animato da un unico sentimento, dalla curiosità di vedere l'imperatrice la cui
fama di donna meravigliosamente bella è arrivata anche qui».
Dopo il rientro
dall'Italia, si prospettava un viaggio di Stato in Ungheria verso la quale l’imperatrice nutriva un profondo interesse per la cultura, grazie
alle lezioni datele dal conte Mailáth, e i magiari speravano che influenzasse
positivamente il marito. Elisabetta si scontrò di nuovo con la suocera, ma
riuscì a ottenere la presenza delle sue bambine per il viaggio. Come nel
Lombardo-Veneto, anche in Ungheria la coppia imperiale fu accolta con
freddezza, sebbene la bellezza dell'imperatrice avesse avuto il suo solito
successo. Durante il viaggio la piccola Sofia si ammalò. L’imperatrice vegliò
per molto tempo sulla figlia morente, che spirò il 19 maggio 1857, alla tenera
età di due anni e due mesi.
Tornati a Vienna,
Elisabetta si chiuse in se stessa, rifiutando di mangiare e di apparire in
pubblico, e, ritenendosi colpevole della morte della figlia, rinunciò anche al
suo ruolo di madre, affidando alla nonna l'educazione di Gisella.
La nascita del principe ereditario
Nel dicembre del 1857
Elisabetta manifestò i sintomi di un’altra gravidanza e il 21 agosto 1858
nacque l'arciduca Rodolfo. Fu un parto difficoltoso: Elisabetta si ammalò con
la febbre che andava e le tornava. Non migliorando le sue condizioni, fu
convocata la madre Ludovica e il medico di famiglia dei Wittelsbach. La
diagnosi di quest'ultimo non è nota, e nei diari dell'arciduchessa Sofia ci sono
solo accenni a sintomi: febbre,
debolezza, mancanza di appetito.
Elisabetta migliorava
soltanto se era con qualcuno della famiglia bavarese e nel gennaio 1859
trascorse un periodo in compagnia di una delle sue sorelle minori, Maria Sofia
che aveva sposato il principe ereditario di Napoli, il futuro Francesco II
delle Due Sicilie. Elisabetta, nonostante la salute cagionevole, accompagnò la
sorella sino a Trieste, dove si imbarcò alla volta del Regno delle Due Sicilie.
Il 1859 fu un anno particolarmente difficile
per l'Austria. Scoppiò la seconda guerra d’Indipendenza e nel giro di pochi
giorni i deposti Leopoldo II di
Toscana e Francesco V di
Modena, con tutti i
loro familiari rientrarono a Vienna.
Dopo la sconfitta nella
battaglia di Magenta (4 giugno 1859), Francesco Giuseppe decise di lasciare
Vienna e di prendere il comando dell'esercito. Elisabetta, allora, accompagnò
il marito sino a Mürzzuschlag, nella Stiria e al momento del commiato rivolse
al conte Grünne, generale austriaco, queste parole: «Lei manterrà certamente
ciò che ha promesso e starà molto attento all'imperatore; la mia unica
consolazione in questi tempi terribili è che lei lo farà sempre e in ogni
circostanza. Se non ne fossi convinta, morirei per l'angoscia».
Rientrata a Vienna,
Elisabetta cadde in un profondo stato di disperazione, continuamente in preda
al pianto, al punto da chiedere all'imperatore di poterlo raggiungere in
Italia, ottenendo però un netto rifiuto.
TERZA PARTE
Il declino. La malattia e le fughe da Vienna
L'imperatrice
allora si dedicò a drastiche cure dimagranti e a sfiancanti cavalcate; disertò
tutti gli impegni sociali organizzati dall'arciduchessa Sofia, attirandosi le
critiche della corte. Francesco Giuseppe le scrisse, chiedendole di mostrarsi
a Vienna e di visitare gli istituti per sollevare il morale della popolazione e
ottenere l'appoggio dell'opinione pubblica.
Il 24 giugno nella
Battaglia di Solferino, gli austriaci furono definitivamente sconfitti e la
guerra fu ufficialmente conclusa con l'armistizio di Villafranca, che
costringeva l'Austria a rinunciare alla Lombardia, una delle più ricche
province dell'impero.
Le conseguenze della
disfatta ricaddero sull'imperatore Francesco Giuseppe, che mai era stato mal
visto dal popolo come in quei mesi.
Contemporaneamente alla
crisi politica del 1859-60, si sviluppò anche una crisi privata della coppia
imperiale, dovuta ai soliti contrasti con l'arciduchessa Sofia e al dilagare,
di notizie riguardanti le infedeltà di Francesco Giuseppe. Elisabetta, memore
dell'infelicità della madre, temeva di subire lo stesso destino di donna
tradita e messa da parte, per cui reagì allora con un atteggiamento di sfida,
insultando la corte: organizzò, infatti, numerosi balli a cui erano invitati i
rampolli dell'alta società viennese, ma non i loro genitori (una cosa contraria
all'usanza e all'etichetta).
In aggiunta alla delicata
situazione, politica e familiare, nel maggio 1860 giunse anche la notizia dell'imminente
crollo del Regno delle Due Sicilie, assediato dai garibaldini. Il rifiuto di un
intervento in favore dei Borbone a causa delle disastrate condizioni
economiche, accrebbe la preoccupazione per l'amata sorella Maria Sofia ed ebbe
su Elisabetta un'influenza negativa, deteriorando anche i suoi rapporti col
marito. A luglio Elisabetta prese con sé Gisella, lasciò improvvisamente la
corte di Vienna e si diresse nella residenza di Possenhofen in Baviera.
Tuttavia, per evitare uno scandalo, dovette tornare a Vienna per il compleanno
del marito, il 18 agosto.
Nell'ottobre del 1860 la
salute dell'imperatrice subì un tracollo, dovuto a numerose crisi nervose e
cure dimagranti. Il dottor Škoda, specialista in malattie polmonari, consigliò
una cura presso un paese dal clima caldo: a suo parere la sovrana non sarebbe
riuscita a superare l'inverno a Vienna. Fu consigliata Madeira, su richiesta
della stessa Elisabetta: un luogo non rinomato per la cura di malattie
polmonari.
Molto probabilmente
l'imperatrice scelse un luogo così lontano per evitare troppi contatti con
Vienna e l'imperatore. Sebbene la diagnosi ufficiale di Škoda fosse quella di
una gravissima malattia polmonare, esistono ancora molti dubbi sulla vera
natura del male di Elisabetta. Nei diari dell'arciduchessa Sofia non ci sono
indizi sulla malattia misteriosa della nuora, così come nelle lettere della
duchessa Ludovica sua madre. Con tutta probabilità i
disturbi fisici di Elisabetta erano dovuti a un disturbo psichico: la storica
Brigitte Hamann ipotizza che l'imperatrice d'Austria soffrisse di una forma di
anoressia nervosa, la quale comporta irrequietezza, rifiuto del cibo e del
sesso. Ciò potrebbe anche spiegare il fatto che Elisabetta sembrava riprendersi
subito non appena si allontanava da Vienna e dall'imperatore.
In quegli anni ebbe una lunga
amicizia con il cugino Ludwig II di Baviera, che quando salì al trono convinse
a fidanzarsi con la sorella minore Sofia.
- La corte viennese si indignò per la partenza della
sovrana e nel resto del mondo fu grande
la preoccupazione per l'imperatrice "in
fin di vita" . (La regina Vittoria mise a disposizione per Elisabetta
il suo panfilo privato Victoria and Albert).
Regina d'Ungheria
L'8 giugno 1867 a Buda,
al tempo capitale dell'Ungheria, l’imperatrice Elisabetta viene incoronata
regina d'Ungheria.
In seguito la coppia si
trasferisce nella residenza di Gödöllő, una città di 34 396 abitanti situata
nella contea di Pest, nell'Ungheria settentrionale, dove Elisabetta visse la
maggior parte del tempo. L'ultima figlia, Maria Valeria, la prediletta da
Elisabetta, nacque nel 1868 e fu volutamente fatta nascere a Budapest, un
omaggio della regina d'Ungheria ai suoi sudditi favoriti. Inoltre Elisabetta si
occupò personalmente della sua educazione, cosa che non aveva fatto con gli
altri tre figli.
La fine – La tragedia di Mayerling – L’attentato e la morte
Nonostante fosse
cresciuta relativamente libera da vincoli sociali e di comportamento
normalmente imposti alla nobiltà europea del XIX secolo e generalmente insofferente
alla disciplina di corte a Vienna, nonché alle politiche imperiali e alle
condizioni di vita dei popoli sottoposti alle autorità dell’Impero
austro-ungarico, Sissi rimase comunque un simbolo della monarchia asburgica,
cosa, questa, che le sarà fatale.
Il 24 aprile 1879
Elisabetta e Francesco Giuseppe festeggiarono le nozze d'argento, ma
successivamente una serie di lutti si abbatté su Elisabetta.
Nel 1886 in circostanze
misteriose muore il cugino re Ludwig di Baviera e nel 1888 muore il padre, il
duca Max.
Ma la vera tragedia
avvenne il 30 gennaio 1889 a Mayerling, un piccolo paese nella
Bassa Austria, dove il figlio Arciduca Rodolfo d'Asburgo-Lorena, l'erede al
trono, morì suicida insieme con l'amante, la baronessa diciassettenne Maria
Vetsera, forse uccisa dallo stesso Rodolfo.
Nel 1889 era risaputo a
corte che Rodolfo e la Vetsera avessero una relazione (ne erano a conoscenza
persino l'imperatore Francesco Giuseppe, padre di Rodolfo, e la moglie stessa
di Rodolfo, la principessa Stefania del Belgio). Il matrimonio di Rodolfo e di
Stefania aveva portato alla nascita di una figlia, l'arciduchessa Elisabetta
Maria, Si vociferò che Stefania fosse impossibilitata ad avere ancora figli
perché Rodolfo l'aveva infettata con una malattia venerea, precisamente
gonorrea, contratta da una delle sue innumerevoli amanti.
Inizialmente la versione
ufficiale dei fatti fu che un attacco di cuore aveva stroncato Rodolfo; la
Vetsera non venne neppure menzionata, e il suo corpo completamente vestito,
munito di cappello e legato ad un manico di scopa che le teneva diritta la
schiena, fu trasportato in carrozza e seppellito segretamente ad Heiligenkreuz.
Questa versione non sembrò, tuttavia, reggere e in breve si dovette ammettere
che l'arciduca si era suicidato.
Tra le tante versioni
popolari che subito si diffusero, la più verosimile sembrava quella secondo cui
tra l'arciduca e l'amante si fosse raggiunto il lugubre accordo di morire
insieme, alla luce della richiesta avanzata da Francesco Giuseppe che i due si
separassero. Rodolfo avrebbe sparato alla tempia della Vetsera, pienamente
consenziente, per sedere, poi, accanto a lei diverse ore e infine togliersi
egli stesso la vita.
Da quell'anno Elisabetta
decise di vestirsi solo di nero.
Per superare la
depressione dell'ambiente di corte, l'imperatrice riprese i suoi viaggi,
visitando Madonna di Campiglio, poi Castel Roncolo a Bolzano, Riva e Arco sul
lago di Garda e infine Merano, dove le raggiunse l'imperatore.
Nel 1896 fu celebrato il
millenario della fondazione dell'Ungheria ed Elisabetta vi partecipò a fianco
dell'imperatore come ultima apparizione ufficiale.
Nel 1998 è stato
pubblicato il diario poetico dell'Imperatrice e dai suoi scritti emerge
chiaramente la sua disapprovazione delle condizioni sociali in cui versava la
popolazione austriaca e ungherese, tanto da considerare i giovani a lei
contemporanei come "oppressi dall'ordine stabilito". Si sentiva a
disagio e rattristata per la disparità socio-economica fra lei e la gente
comune, al punto da detestare le ricchezze e i viaggi di piacere per l'Europa.
Nella biografia dedicata
all'Imperatrice, Brigitte Hamann descrive Elisabetta come una forte
anti-clericale, libertaria e pre-comunista, insofferente alla vita e
all'etichetta di corte, tanto da desiderare che Francesco Giuseppe abdicasse e
andasse a vivere con lei sulle rive del lago di Ginevra.
Nel diario è altresì
evidente come Elisabetta non amasse affatto la sua condizione aristocratica né
condividesse la politica degli Asburgo, anzi arriva anche a maledire, nelle sue
poesie, la dinastia asburgica al punto da augurarsi di morire "improvvisamente, rapidamente e se
possibile all'estero".
Nel settembre del 1898 si
recò in incognito a Ginevra prendendo alloggio all'Hotel Beau-Rivage, sul
lungolago ginevrino, registrandosi con un titolo fittizio.
Alle 13 del 9 settembre
del 1898, si recò in carrozza privata direttamente al castello di Pregny, dove
l'attendeva una sua amica, la baronessa Rothschild, e tornò all'albergo Beau
Rivage solo alle 18 di sera. Dopo cena, fece una passeggiata a piedi per le vie
della città, accompagnata dalla sola contessa Sztáray, sino alla pasticceria
Désarnod, sita nei pressi del Grand Théâtre.
L'indomani mattina andò
di nuovo in città. Alle ore 13 del 10 settembre, doveva imbarcarsi per la
frazione di Montreux-Territet, quando s’imbatté nell’anarchico italiano Luigi
Luchéni che aveva maturato la decisione di compiere un regicidio per rendere
imperituro il suo nome.
Chi era Luchéni ?
Era figlio di Luigia Lucchini, una bracciante alle dipendenze di
un'agiata famiglia parmense, presso l'odierna Albareto. Rimasta incinta a
seguito d'un rapporto clandestino con il figlio di un grosso proprietario
terriero del luogo, si recò in Francia per poter partorire in segreto. Luigi
nacque dunque a Parigi, dove la madre l'abbandonò presso l'Hospice des enfants
assistés. Per un errore di trascrizione all'anagrafe, il cognome fu
francesizzato in Luchéni. Luigia Lucchini emigrò poi negli Stati Uniti e non
rivide mai più né ebbe più alcun contatto con suo figlio.
Luchéni trascorse la sua infanzia presso l'orfanotrofio Enfants
Trouvés di Parigi; Tornato ad Albareto, a soli quattordici anni d'età vi fuggì
ed iniziò a vagabondare per l'Europa. Dopo aver persino pensato di emigrare
negli Stati Uniti, si trasferì in Svizzera, a Losanna, dove ebbe modo di
avvicinarsi ad alcuni gruppi anarchici, allora impegnati nel dibattito
sull'opportunità di un regicidio. In tale ambito, Luchéni maturò il vago
progetto di rendere imperituro il suo nome, compiendo un atto irreparabile.”
Si recò in battello ad Évian-les-Bains, dove villeggiava l'alta aristocrazia
europea del tempo, e comperò un catalogo degli ospiti illustri (l'Evian
Programme, ritrovato nelle sue tasche al momento dell'arresto e conservato
agli archivi di Stato di Ginevra). Non trovando nessuno da poter assassinare,
decise di approfittare del passaggio a Ginevra del pretendente al trono di Francia
il Duca d'Orléans ma, prima ancora che potesse fare alcunché, questi era già
ripartito per Parigi.
Girovagando per le strade
di Ginevra, in cerca di qualcuno da assassinare, s'imbatté in Giuseppe Abis
della Clara che aveva svolto con lui il servizio militare nella cavalleria a
Napoli, appartenente ad una nobile famiglia che aveva fedelmente servito
l'impero austro-ungarico, che gli rivelò la presenza a Ginevra,
dell'imperatrice Elisabetta d'Austria, probabilmente riconosciuta da un
cocchiere nei pressi dell'Hôtel Beau Rivage. "Ecco chi puoi assassinare!”,
gli disse.
………e il 10 settembre del
1898 decise di mettere in atto i suoi propositi. Non avendo abbastanza soldi
per acquistare un'arma da fuoco o un semplice pugnale, comprò una lima
triangolare, che fece affilare da un arrotino di Losanna.
Luchéni, informato
sull'indirizzo dell'imperatrice e sulle sue sembianze dall'amico Abis della
Clara, si appostò sul quai du Mont-Blanc, nascosto dietro un ippocastano ed
armato della sua lima, sapientemente occultata in un mazzo di fiori, ed attese
l’arrivo dell’imperatrice.
Al passaggio di Sissi,
sbucò dal suo nascondiglio e la pugnalò al petto, con un unico e preciso colpo
letale, tentando poi la fuga lungo la Rue des Alpes, dopo aver gettato l'arma
del delitto dinnanzi l'ingresso del civico n. 3.
L'imperatrice, che
correva verso il battello (la sirena della partenza aveva già suonato) si
accasciò per effetto dell'urto, ma si rialzò e riprese la corsa, non sentendo
apparentemente nessun dolore. Fu solo una volta arrivata sul battello che
impallidì e svenne nelle braccia della contessa Sztáray. Il battello fece
retromarcia e l'Imperatrice, riportata nella sua camera d'albergo, spirò un'ora
dopo, senza aver mai ripreso conoscenza.
Era il 10 settembre del
1898. Aveva 60 anni.
La sua tomba si trova a Vienna,
nella Cripta Imperiale, accanto a quelle del marito e del figlio.
Nel suo diario SISSI si
augurava di morire "improvvisamente,
rapidamente e se possibile all'estero"
In un certo senso,
dunque, si può dire che il suo intimo desiderio del come e dove abbandonare la
vita sia stato esaudito.
E Lucheni?
L’attentatore fu bloccato
da quattro passanti, non molto lontano dal luogo dell'attentato, in attesa del
sopraggiungere della polizia. Al commissario che lo interrogava, chiedendogli
il motivo del suo gesto, pare abbia risposto: «Perché sono anarchico. Perché
sono povero. Perché amo gli operai e voglio la morte dei ricchi».
Luchéni venne processato
e condannato all'ergastolo.
Al giudice, il quale gli
rinfacciava di avere ucciso una donna sola e disperata, Luchéni rispose di non
averlo saputo e di avere, invece, sempre creduto che Elisabetta fosse una donna
realizzata, ricca e felice.
Morì in prigione nel
1910, molto probabilmente suicida, anche se vi è il sospetto che possa essere
stato strangolato con la cintura alla quale fu trovato appeso nella sua cella
CURIOSITA’
La sua testa fu recisa e
poi conservata in un contenitore di formalina e mostrata agli ospiti illustri
dell'Hôtel Métropole quali i rivoluzionari ed uomini politici Lenin, Vjačeslav
Michajlovič Molotov e Georgij Maksimilianovič Malenkov.
Nel 1998, nel centenario
dell'assassinio, fu regalata dal Governo svizzero all'Istituto di patologia di
Vienna.