lunedì 29 gennaio 2024

Il sistema immunitario: cos'è e come funziona

XIV° incontro - 31 gennaio 2024 - Dott. Nicola CORBO

Il sistema immunitario: cos'è e come funziona


Ringrazio il Dott. Nicola Corbo, Medico Chirurgo, per aver accettato il nostro invito a parlare di un argomento che in questo momento è di particolare interesse per tutti noi.

Quello che sta succedendo negli ultimi anni indica chiaramente che per conservare la salute è molto importante mantenere attivo e ben funzionante il Sistema Immunitario, perchè solo se il nostro sistema immunitario è efficiente può proteggerci dalle infezioni.

Ma cos'è, come funziona, cosa possiamo fare per mantenere alta la risposta immunitaria del nostro organismo? A queste e ad altre questioni, sollecitate dagli interventi dei partecipanti, ha risposto il dott. Corbo con una relazione chiara ed esauriente di cui si allega copia.

Immunità e vaccinazioni, presentazione (clicca qui)


domenica 21 gennaio 2024

Poetesse e pregiudizi: Saffo

 XIII° incontro - 24.01.2024 - prof. Franco Scarfiello

Poetesse e pregiudizi: Saffo

 

Il prof. Scarfiello, Socio fondatore e primo Presidente dell' UNITRE di Oppido Lucano, ha tenuto una interessante lezione su Saffo, l’unica donna che gli antichi greci inclusero tra i grandi poeti della loro civiltà. 

Il filosofo Platone arrivò a considerarla addirittura pari alle Muse.

Saffo è da considerarsi come una delle più grandi poetesse della storia, perché capace di cantare l’amore come pochi faranno dopo di lei.

Sorprendentemente si sa molto poco di Saffo di Mitilene, vissuta tra il 630 a.C. e il 570 a.C.

La storia della sua esistenza è avvolta nel mistero. Le poche informazioni certe che ci sono giunte riguardano la sua nascita ad Ereso, nell’isola di Lesbo, intorno al VII secolo a.C., ed il fatto che fosse di famiglia aristocratica e che fosse stata costretta a sposarsi, così come era richiesto alle donne dell’Antica Grecia.

La donna nell'antica Grecia aveva un ruolo alquanto marginale nella società; era giuridicamente libera, ma non godeva di diritti politici.

 La vita della donna era incentrata sull'òikos, dal greco famiglia, casa. Alle donne era assegnata solo una parte della casa, ossia il gineceo. Lì la donna svolgeva le funzioni domestiche che la società le assegnava: filare, tessere, organizzare il lavoro delle schiave e crescere i propri figli. Le uscite in pubblico erano molto rare, in quanto le donne uscivano solo in caso di festività religiose, e sempre in compagnia di un'ancella; era vietata la partecipazione delle donne ai banchetti.
Saffo è stata la prima poetessa del mondo greco, un mondo tutto al maschile, in cui le donne non potevano accedere alla cultura e a volte neanche all’alfabetizzazione.

 Ciò che ha permesso a Saffo di esprimersi sono state le condizioni particolari del luogo e del tempo in cui è vissuta. Infatti, nell’isola di Lesbo tra il VII e il V secolo a.C., il mondo femminile trovava il suo spazio, in maniera autonoma rispetto agli uomini, in forme di associazione come il tìaso, che oltre al culto religioso aveva anche una funzione pedagogica per le giovani donne.

Il tìaso (in greco antico: θίασος, thíasos) era un'associazione di carattere prevalentemente religioso che nell'Antica Grecia celebrava le divinità con processioni, canti e danze.

 Saffo fu sacerdotessa del tìaso volto alla venerazione della dea Afrodite

Saffo, quindi, è in primo luogo sacerdotessa di Afrodite (Venere), dea dell’Amore e protettrice delle fanciulle. Nel Tìaso, in onore della dea, venivano svolti riti e cerimonie sacre, ed a lei erano dedicati canti e danze,   descritti  egregiamente da Saffo nelle sue poesie.

 Nel tìaso le donne erano iniziate all’età adulta e preparate alla vita matrimoniale e coniugale. Qui le ragazze venivano istruite su tutto ciò che riguardava il matrimonio, compresa la sessualità.
Spesso i rapporti tra le giovani donne assumevano una connotazione romantica o a volte anche sessuale; la poetessa è stata una delle prime a raccontare nelle proprie opere di un amore non eterosessuale. Saffo  nelle proprie liriche, canta questo amore, insieme alla tristezza dovuta al fatto di dover lasciar andare le ragazze una volta compiuta la formazione; tristezza lenita però dalla memoria, aspetto  fondamentale nella poetica di Saffo.

Oggi  si potrebbe guardare a Saffo come una femminista ante litteram, non solo per essersi occupata dell’educazione e della cultura delle giovani donne di Lesbo o per essere stata una delle prime poetesse della storia, ma anche perché  in alcuni frammenti  rinvenuti ed attribuiti alla poetessa, Saffo si mostra particolarmente critica rispetto al vincolo matrimoniale imposto alle donne da una società fondata sul patriarcato.

La poetica di Saffo ha continuato nel corso dei secoli a influenzare la poetica e il pensiero di uomini di epoche posteriori: i concetti da lei espressi nel descrivere la pene che Amore infligge all’innamorato verranno ripresi prima da Catullo, poi da Dante e Petrarca,  fino ad arrivare a Leopardi, che in una poesia a lei dedicata “ Ultimo canto di Saffo”, scritta nel 1882,  empatizza con la poetessa per via della cattiva  sorte  che li ha creati di brutto aspetto, condannandoli a una vita infelice; entrambi vissero l’esperienza di un amore non ricambiato e per questo considerava entrambi destinati all’infelicità.

Alcune fonti sostengono che la poetessa fosse di bell’aspetto, altre invece che non fosse dotata di una bellezza particolarmente ammirabile, tant’è che la delusione per l’amore non corrisposto da Faone, un pescatore mitologico, l’avrebbe portata al suicidio.

Nonostante la società maschilista e patriarcale, Saffo, con la sua capacità di cantare l’amore in tutte le sue forme, si è affermata nel tempo come la dea di questo sentimento.  

Prima di chiudere la serata  il prof. Scarfiello ha letto alcuni frammenti particolarmente significativi che ci hanno emozionato. Grazie, Franco,  per la brillante trattazione!

 

 

 

 

 



sabato 13 gennaio 2024

SISSI, LA PRINCIPESSA TRISTE

 XII° incontro - 17 gennaio 2024 - Ins. Mimmo Maglione

SISSI, LA PRINCIPESSA TRISTE

Biblioteca comunale - ore 18.30

Elisabetta di Baviera, meglio conosciuta come la principessa Sissi, è una delle donne della Storia più amate dal grande e piccolo schermo. Numerosi i film sulla sua vita, che hanno descritto al grande pubblico un'immagine edulcorata e romantica, con qualche inesattezza storica.
 Ma qual è la vera storia della principessa Sissi? Scopriamo la sua difficile e tormentata vita con questo ritratto storico fatto da Mimmo Maglione, socio di lunga data della nostra Associazione, sempre attivo e collaborativo.


Segue relazione di Mimmo Maglione


Sissi, la principessa triste

Mimmo Maglione

Unitre Oppido Lucano, 17 gennaio 2024

 

Elisabetta Amalia Eugenia di Wittelsbach detta “Sissi”, nacque a Monaco di Baviera  24-12-1837 da  Massimiliano Giuseppe duca in Baviera e da Ludovica di Baviera, figlia di Massimiliano di Wittelsbach, che in seguito divenne re come Massimiliano I Giuseppe di Baviera.

Elisabetta era la quarta di dieci figli e trascorreva la sua infanzia nel palazzo di famiglia a Monaco, mentre, nei mesi estivi, si trasferiva nel castello di Possenhofen, una residenza a cui la giovane duchessa, amante della natura, rimarrà legata per tutta la vita.

Entrambi i genitori appartenevano alla famiglia Wittelsbach, ma mentre il padre discendeva da un ramo collaterale dei duchi "in Baviera", la madre apparteneva al ramo principale della famiglia reale. Perciò il titolo spettante ad Elisabetta alla nascita fu quello di "Sua altezza la duchessa Elisabetta in Baviera“ ereditato dal padre.

La vita matrimoniale dei suoi genitori non fu felice: suo padre non si dedicò molto alla vita familiare, anzi, al contrario, ebbe numerose amanti e figli illegittimi, mentre la madre, duchessa Ludovica, non partecipava alla vita di corte, ma preferiva dedicarsi personalmente dell'educazione dei figli, cosa abbastanza strana per quei tempi.

Elisabetta Amalia, prima bambina e poi adolescente, di animo sensibile, crebbe con molta semplicità, in modo da non sviluppare un carattere aristocratico; sin da piccola fu educata a trascurare i formalismi e a occuparsi dei indigenti e degli ammalati.

Ma ben presto la sua giovane e spensierata vita sarà totalmente stravolta.

Mentre Elisabetta trascorreva spensierata le sue giornate tra Monaco e il castello di Possenhofen, alla corte di Vienna si progettava il futuro di suo cugino, Francesco Giuseppe, figlio della sorella di Ludovica, l’arciduchessa Sofia. È un giovane alto, bello, biondo e per lui la madre ha in mente un grande avvenire.

Alla morte di Francesco I, il 2 marzo 1835, salì al trono imperiale il figlio Ferdinando I, (zio di Francesco Giuseppe). Essendo un soggetto malaticcio, mostrò subito la sua inadeguatezza alla carica, per cui il padre, ancora in vita, aveva costituito un gabinetto di governo noto come “Conferenza di stato segreta” di cui facevano parte quelli che poi furono i suoi consiglieri più fidati: suo fratello Francesco Carlo (padre del futuro imperatore Francesco Giuseppe), il ministro Metternich e il conte Franz Anton von Kolowrat-Liebsteinsky, oltre all'arciduca Luigi d'Asburgo-Lorena, suo zio.  

Il giovane imperatore, colpito da malattia mentale, non riuscì a dare un figlio all’Impero Austriaco.

In seguito all’insurrezione viennese del marzo 1848, Ferdinando e la sua corte lasciarono la capitale austriaca diretti a Innsbruck dove il sovrano contava di prendere del tempo in attesa che i moti rivoluzionari si calmassero.  Quando l'imperatore, a metà agosto del 1848, dopo la riconquista armata della capitale, ritenendo che il pericolo fosse ormai passato, vi fece ritorno, fu costretto ad abbandonarla nuovamente per lo scoppio di alcune rivolte che lo costrinsero, anche su consiglio del Metternich, a formalizzare la sua abdicazione in favore del nipote Francesco Giuseppe, figlio di suo fratello Francesco Carlo che, manovrato dall’ambiziosa moglie Sofia, fu indotto a rifiutare il trono a beneficio del figlio Francesco Giuseppe, giovane di appena 5 anni, che venne cresciuto dalla madre, l’arciduchessa Sofia, con l'intento di farne un giorno l’erede al trono austriaco.

 Per lui la madre ha in mente anche la compagna ideale da mettergli al fianco e, dopo due falliti progetti con principesse prussiane e sassoni, la scelta cade sulla maggiore delle sorelle di casa Wittelsbach, Elena, chiamata affettuosamente Nenè.

Sofia confabula con la sorella Ludovica, trama in silenzio cercando di costruire il futuro del figlio e dell’impero, ma…..imprevisto.

Nell'inverno del 1853 erano in corso, dunque, queste trattative tra le due sorelle. Ludovica e Sofia decisero di far incontrare i figli a Bad Ischl, residenza estiva dell'imperatore, durante la festa di compleanno di quest'ultimo e annunciare pubblicamente il loro fidanzamento. Ludovica, per l’occasione, decise di portare con sé anche Elisabetta, nella speranza di strapparla alla malinconia nella quale era sprofondata e con l'intenzione di vagliare un suo possibile fidanzamento con il fratello minore di Francesco Giuseppe, Carlo Ludovico. DIA 13

Il fidanzamento e le nozze con Francesco Giuseppe.

Il 16 agosto 1853 la duchessa Ludovica, Nenè e Sissi, quest’ultima ignara del progetto, arrivarono a Bad Ischl. Vi fu un primo incontro con Sofia, Francesco Giuseppe ed Elisabetta di Prussia, un’altra sorella di Ludovica.

Ma, come spesso accade, il destino si intromette nella vita dei mortali e sconvolge i loro disegni.

Già nel primo incontro, Francesco Giuseppe, rimase colpito non da Elena, ma dalla più giovane e acerba sorella Elisabetta. Aveva occhi ed attenzioni solo per lei, per quella ragazzina non ancora sedicenne, un po’ impacciata, per niente regale, ma con un volto sereno, un sorriso luminoso e due occhioni vivaci e bellissimi dai quali il giovane monarca rimase affascinato. La sua naturalezza e la sua inconsapevolezza l’hanno resa ancora più innocente e spontanea agli occhi di lui, mentre Nenè se ne stava tutta rigida e composta, consapevole del ruolo di prescelta.

L’Imperatore, il giorno successivo, comunicò alla madre che avrebbe sposato Elisabetta e non Elena, nonostante i diversi disegni dell'arciduchessa sua madre.

Questa inattesa scelta rischiava di mandare all’aria il progetto. L’arciduchessa Sofia, conoscendo il figlio, comprese che nulla gli avrebbe fatto cambiare idea. Non vi erano alternative, bisognava acconsentire al matrimonio, poi ci avrebbe pensato lei, a domare quella “selvaggia” e a darle le sembianze di futura imperatrice: dovrà imparare a muoversi con passo fiero, con atteggiamento adeguato al suo ruolo, dovrà apprendere le lingue ed essere diversa da quella che è.

L’arciduchessa Sofia comunicò alla sorella Ludovica la decisione dell’Imperatore. Bisognava mascherare la delusione e l’amarezza che avrebbero preso Elena, ma soprattutto parlare con Elisabetta (Sissi) e convincerla ad accettare. La piccola ed ingenua Elisabetta, non aveva la minima idea dell'impressione da lei destata in Franz. Nel ricevimento dato quella sera, l'imperatore ballò il cotillon con Elisabetta, un chiaro segno per tutti, ma non per la futura sposa, ignara di quanto stava per accadere.

Il giorno seguente Ludovica, per conto dell'imperatore, chiese alla figlia Elisabetta se era condiscendente alle nozze.

Elisabetta rimase stupita e sconcertata, confusa; non aveva immaginato minimamente che potesse succedere una cosa così inattesa, non lo aveva mai pensato. Come? L’imperatore voleva sposare lei? Perché proprio lei? Perché proprio lei avrebbe dovuto abbandonare la sua casa a Monaco, forse anche il castello di Possenhofen, la residenza a cui lei, amante della natura, fu molto legata per tutta la vita? Perché l’imperatore aveva scelto proprio lei fra tante dame, perché non sua sorella Elena? Forse tentò anche di convincere la madre ad insistere affinché Francesco Giuseppe scegliesse la sorella Elena, cosa cambiava? Era della stessa famiglia, stesso rango. (Non era a conoscenza di quelli che erano i piani preparati da sua madre e dalla zia e che erano saltati). Era frastornata, insicura, indecisa su cosa fare, non avrebbe mai voluto trovarsi in quella situazione, d'altronde non aveva ancora sedici anni. Scoppiò a piangere e si rifugiò nelle braccia della madre.

La duchessa Ludovica, madre di Sissi, riuscì in qualche modo a convincerla ad accettare la richiesta di matrimonio, anche per ragioni politiche; inoltre, rifiutare sarebbe stato un’offesa nei confronti di sua zia Sofia e di suo cugino l’Imperatore Francesco Giuseppe.

A malincuore Sissi accettò e la madre lo comunicò per iscritto alla sorella Sofia.

Da quel momento fino al 31 agosto, la coppia di fidanzati trascorse molto tempo insieme e si mostrò pubblicamente.

Si racconta che in uno dei primi incontri tra i due promessi sposi, Francesco Giuseppe abbia chiesto a Sissi come mai ella fosse sempre così triste e Sissi abbia risposto: “Oh, Franz, se solo tu non fossi imperatore, come sarebbe tutto più facile!!”

Intanto incominciarono i preparativi per le nozze e le trattative con la Santa Sede per ottenere la necessaria dispensa papale, poiché gli sposi erano primi cugini.

 

PERCHE’  “SISSI”? 

Il soprannome corretto dell’imperatrice è “Sisi” con una sola esse. Alcuni sostengono che il nomignolo originale fosse “Lisi” (classico diminutivo di Elisabeth), diventato ”Sisi” in seguito a un errore di Francesco Giuseppe. La versione “Sissi” è dovuta ai famosi film degli anni cinquanta, anche se in Austria si preferisce la versione tradizionale “Sisi”, utilizzata nel nome del museo dedicato alla principessa. (“Sisi Museum” all’Hofburg Palace di Vienna.

 

Dal giorno del fidanzamento Elisabetta fu sottoposta a un corso di studio per colmare le numerose lacune della sua scarsa istruzione. Dovette imparare il francese, studiò il greco, il latino, l'italiano e soprattutto la storia dell'Austria. Fu allestito il corredo della sposa e nel marzo 1854 fu ufficialmente firmato il contratto nuziale.

La dote fu fissata in 50.000 fiorini pagati dal duca Massimiliano, padre di Sissi, e 100.000 fiorini pagati dall'imperatore suo sposo.

Il 20 aprile 1854 Sissi lasciò la sua casa paterna di Monaco e, dopo tre giorni di viaggio, il 23 aprile, la futura imperatrice fece il suo ingresso ufficiale a Vienna, dove ricevette una calorosa accoglienza.

Le nozze furono celebrate con grande sfarzo la sera del 24 aprile e, dopo i numerosi festeggiamenti, la coppia fu condotta nella camera da letto soltanto dalle rispettive madri, contrariamente alle usanze del tempo che prevedevano la presenza di numerose persone.

Le nozze furono consumate la terza notte.

SECONDA PARTE   

Primi anni alla corte di Vienna

Sissi non amava molto la vita di corte e fin dal suo primo ingresso al palazzo reale, dovette accorgersi delle difficoltà che l'attendevano. Nata e cresciuta in una famiglia di costumi semplici, sebbene nobile, si trovò al centro della rigida corte di Vienna, ancora legata a un severo "cerimoniale spagnolo", cui inizialmente la giovane imperatrice dovette sottostare.

Privata dei suoi affetti e delle sue abitudini, Elisabetta ben presto si ammalò, accusando per molti mesi una tosse continua, febbre e stati di ansia, dovuti a turbamenti di origine psichica.

L’imperatore trascorreva le sue giornate dedicandosi a mantenere costantemente vivi i rapporti con l’alta borghesia e, settimanalmente, riceveva i sudditi che chiedevano udienza, di qualunque estrazione sociale essi fossero. Sissi, invece, sempre più estranea a queste attività, occupava il suo tempo dedicandolo alla cura della sua persona.

L'arciduchessa Sofia si assunse l'onere di trasformare la nuora in una perfetta imperatrice, ma nell'agire in tal senso e restando fermamente attaccata all'etichetta finì per inimicarsi Elisabetta e ad apparire ai suoi occhi una donna malvagia. Solo successivamente la ragazza si renderà conto che la suocera, nonché zia, aveva agito sempre a fin di bene, pur in maniera imperiosa e imponendo sacrifici. A differenza di Sofia, che era rispettata da tutta la corte, Elisabetta veniva criticata per la sua scarsa istruzione e per la sua inesistente attitudine alla vita di società.

Non molto tempo dopo le nozze Elisabetta rimase incinta, e il 5 marzo 1855 partorì la sua prima figlia, chiamata Sofia in onore della nonna paterna. Il nome fu deciso, all’insaputa di Sissi, da Francesco Giuseppe e dalla madre Sofia, cosa che contrariò non poco la principessa, al punto da lasciare che ad occuparsi della figlia fosse la suocera. L'arciduchessa si occupò personalmente della bimba, alla quale fu legatissima. Le stanze della bambina furono allestite accanto alle sue e fu lei a scegliere l'aia per la bambina.

Poco più di un anno dopo, il 12 luglio 1856, Elisabetta partorì un'altra bambina, Gisella, anch’ella allevata dalla nonna. In seguito Elisabetta si rammaricherà per non essersi potuta occupare dell’educazione dei figli.

 

Il culto della bellezza)

Questa situazione esasperò ulteriormente i già critici rapporti tra Sissi e Sofia, per cui sollevata dagli impegni di madre e di regnante, autoesclusasi dalla vita di corte, anche per non alimentare ulteriormente i contrasti con la zia e suocera Sofia, Elisabetta, ossessionata dal culto della propria bellezza, concentrava tutte le energie nel tentativo di conservarsi giovane, bella e magra. Collezionava immagini di donne che gli ambasciatori reali, sparsi in tutto il mondo, le inviavano su sua richiesta. C’è chi è arrivato a sospettare anche tendenze omosessuali in questo. Era più probabilmente solo un’esteta, ossessionata dalla ricerca della perfezione fisica in sé e negli altri.

 

Secondo le cronache, Elisabetta era alta 1 metro e 73 cm e pesava intorno ai 48 kg. Indossava un corpetto strettissimo per ridurre il punto vita a meno di 50 cm., utile a ottenere il suo famoso “vitino da vespa”. L’operazione con le stringhe e le stecche poteva richiedere anche un’ora. Quasi tre ore occorrevano quotidianamente per vestirsi, poiché gli abiti le venivano di solito cuciti addosso per far risaltare al massimo la snellezza del corpo.

- Aveva capelli castani folti e lunghissimi, che sciolti le arrivavano alle caviglie. La massa dei suoi capelli di 5 kg. le provocava frequenti emicranie.

Per la loro cura si impiegavano circa tre ore al giorno. Venivano intrecciati da Fanny Angerer, ex parrucchiera del Burgtheater di Vienna, richiesta espressamente dall'Imperatrice dopo aver ammirato le chiome di alcune attrici in una rappresentazione teatrale.

Il lavaggio della chioma era eseguito ogni tre settimane. Lo “shampoo” era costituito da 30 tuorli d’uovo ed una bottiglia di cognac lasciato in posa per un’ora. Tutta l’operazione richiedeva una giornata intera. Durante questi trattamenti non doveva essere disturbata per nessun motivo.

La parrucchiera e confidente ha anche il compito di controllarle i centimetri del girovita, fianchi e polpacci e di annotarli insieme al peso su un diario. Talvolta questa operazione è ripetuta anche tre volte al giorno.

Per preservare la giovinezza della pelle, Elisabetta faceva uso di maschere notturne per il viso a base di carne di vitello cruda o di fragole schiacciate. Era solita fare il bagno nella vasca da bagno riempita con il latte delle sue capre con l’aggiunta del miele, o con olio di oliva caldo. Sempre con olio di oliva le venivano praticati impacchi per tutto il corpo.

Per conservare la snellezza dormiva con i fianchi avvolti in panni bagnati e beveva misture di albume d'uovo e sale.

Impegnava il resto della giornata con la scherma, l'equitazione e la ginnastica (aveva fatto allestire in tutti i palazzi in cui soggiornava delle palestre attrezzate con pesi, sbarra e anelli, e per un certo periodo aveva mantenuto una scuderia.) Costringeva la propria dama di corte a seguirla durante interminabili passeggiate quotidiane che duravano anche sette o otto ore. la stragrande maggioranza delle dame di compagnia non riusciva a sostenere il ritmo e che era pertanto costretta a terminare in carrozza.

 

Dopo la nascita della figlia Gisella, nel settembre del 1856, Elisabetta cominciò ad esercitare i suoi diritti di madre e durante un viaggio in Stiria e in Carinzia si riavvicinò molto al marito. L'imperatrice comprese che i viaggi di Stato potevano essere un'occasione preziosa per stare da sola col lui e far valere la sua posizione di sposa e madre.

Elisabetta riuscì a ottenere che la figlia Sofia accompagnasse lei e il marito durante il loro viaggio in Italia nell'inverno tra il 1856 e il 1857. Per la prima volta, l'imperatrice, sempre acclamata da folle festanti austriache, si rese conto che l'impero non aveva il consenso di tutte le sue popolazioni.

Il regime militaristico austriaco aveva portato come conseguenza il disprezzo e l'odio degli italiani nei confronti degli Asburgo. Elisabetta, solitamente pronta ad assentarsi dagli impegni ufficiali a Vienna, rimase tuttavia accanto al marito in difficoltà per l'intero programma di viaggio nel Lombardo-Veneto. A Milano, al ricevimento indetto per la nobiltà, gli aristocratici lombardi, in segno di disprezzo, mandarono al loro posto i propri servi; al concerto al Teatro alla Scala fu intonato il "Va, pensiero" di Giuseppe Verdi, che allora era l'inno dei patrioti italiani. A Venezia, poi, la famiglia imperiale attraversò Piazza San Marco acclamata soltanto dai soldati austriaci, mentre la folla di italiani rimase in silenzio.

Il console inglese, lì presente, riferì a Londra: «Il popolo era animato da un unico sentimento, dalla curiosità di vedere l'imperatrice la cui fama di donna meravigliosamente bella è arrivata anche qui».

Dopo il rientro dall'Italia, si prospettava un viaggio di Stato in Ungheria verso la quale l’imperatrice nutriva un profondo interesse per la cultura, grazie alle lezioni datele dal conte Mailáth, e i magiari speravano che influenzasse positivamente il marito. Elisabetta si scontrò di nuovo con la suocera, ma riuscì a ottenere la presenza delle sue bambine per il viaggio. Come nel Lombardo-Veneto, anche in Ungheria la coppia imperiale fu accolta con freddezza, sebbene la bellezza dell'imperatrice avesse avuto il suo solito successo. Durante il viaggio la piccola Sofia si ammalò. L’imperatrice vegliò per molto tempo sulla figlia morente, che spirò il 19 maggio 1857, alla tenera età di due anni e due mesi.

Tornati a Vienna, Elisabetta si chiuse in se stessa, rifiutando di mangiare e di apparire in pubblico, e, ritenendosi colpevole della morte della figlia, rinunciò anche al suo ruolo di madre, affidando alla nonna l'educazione di Gisella.

 

La nascita del principe ereditario

Nel dicembre del 1857 Elisabetta manifestò i sintomi di un’altra gravidanza e il 21 agosto 1858 nacque l'arciduca Rodolfo. Fu un parto difficoltoso: Elisabetta si ammalò con la febbre che andava e le tornava. Non migliorando le sue condizioni, fu convocata la madre Ludovica e il medico di famiglia dei Wittelsbach. La diagnosi di quest'ultimo non è nota, e nei diari dell'arciduchessa Sofia ci sono solo accenni a sintomi: febbre, debolezza, mancanza di appetito.

Elisabetta migliorava soltanto se era con qualcuno della famiglia bavarese e nel gennaio 1859 trascorse un periodo in compagnia di una delle sue sorelle minori, Maria Sofia che aveva sposato il principe ereditario di Napoli, il futuro Francesco II delle Due Sicilie. Elisabetta, nonostante la salute cagionevole, accompagnò la sorella sino a Trieste, dove si imbarcò alla volta del Regno delle Due Sicilie.

Il 1859 fu un anno particolarmente difficile per l'Austria. Scoppiò la seconda guerra d’Indipendenza e nel giro di pochi giorni i deposti Leopoldo II di Toscana e Francesco V di Modena, con tutti i loro familiari rientrarono a Vienna.

 

Dopo la sconfitta nella battaglia di Magenta (4 giugno 1859), Francesco Giuseppe decise di lasciare Vienna e di prendere il comando dell'esercito. Elisabetta, allora, accompagnò il marito sino a Mürzzuschlag, nella Stiria e al momento del commiato rivolse al conte Grünne, generale austriaco, queste parole: «Lei manterrà certamente ciò che ha promesso e starà molto attento all'imperatore; la mia unica consolazione in questi tempi terribili è che lei lo farà sempre e in ogni circostanza. Se non ne fossi convinta, morirei per l'angoscia».

Rientrata a Vienna, Elisabetta cadde in un profondo stato di disperazione, continuamente in preda al pianto, al punto da chiedere all'imperatore di poterlo raggiungere in Italia, ottenendo però un netto rifiuto.

TERZA PARTE

Il declino. La malattia e le fughe da Vienna

L'imperatrice allora si dedicò a drastiche cure dimagranti e a sfiancanti cavalcate; disertò tutti gli impegni sociali organizzati dall'arciduchessa Sofia, attirandosi le critiche della corte. Francesco Giuseppe le scrisse, chiedendole di mostrarsi a Vienna e di visitare gli istituti per sollevare il morale della popolazione e ottenere l'appoggio dell'opinione pubblica.

 

Il 24 giugno nella Battaglia di Solferino, gli austriaci furono definitivamente sconfitti e la guerra fu ufficialmente conclusa con l'armistizio di Villafranca, che costringeva l'Austria a rinunciare alla Lombardia, una delle più ricche province dell'impero.

Le conseguenze della disfatta ricaddero sull'imperatore Francesco Giuseppe, che mai era stato mal visto dal popolo come in quei mesi.

Contemporaneamente alla crisi politica del 1859-60, si sviluppò anche una crisi privata della coppia imperiale, dovuta ai soliti contrasti con l'arciduchessa Sofia e al dilagare, di notizie riguardanti le infedeltà di Francesco Giuseppe. Elisabetta, memore dell'infelicità della madre, temeva di subire lo stesso destino di donna tradita e messa da parte, per cui reagì allora con un atteggiamento di sfida, insultando la corte: organizzò, infatti, numerosi balli a cui erano invitati i rampolli dell'alta società viennese, ma non i loro genitori (una cosa contraria all'usanza e all'etichetta).

 

In aggiunta alla delicata situazione, politica e familiare, nel maggio 1860 giunse anche la notizia dell'imminente crollo del Regno delle Due Sicilie, assediato dai garibaldini. Il rifiuto di un intervento in favore dei Borbone a causa delle disastrate condizioni economiche, accrebbe la preoccupazione per l'amata sorella Maria Sofia ed ebbe su Elisabetta un'influenza negativa, deteriorando anche i suoi rapporti col marito. A luglio Elisabetta prese con sé Gisella, lasciò improvvisamente la corte di Vienna e si diresse nella residenza di Possenhofen in Baviera. Tuttavia, per evitare uno scandalo, dovette tornare a Vienna per il compleanno del marito, il 18 agosto.

Nell'ottobre del 1860 la salute dell'imperatrice subì un tracollo, dovuto a numerose crisi nervose e cure dimagranti. Il dottor Škoda, specialista in malattie polmonari, consigliò una cura presso un paese dal clima caldo: a suo parere la sovrana non sarebbe riuscita a superare l'inverno a Vienna. Fu consigliata Madeira, su richiesta della stessa Elisabetta: un luogo non rinomato per la cura di malattie polmonari.

Molto probabilmente l'imperatrice scelse un luogo così lontano per evitare troppi contatti con Vienna e l'imperatore. Sebbene la diagnosi ufficiale di Škoda fosse quella di una gravissima malattia polmonare, esistono ancora molti dubbi sulla vera natura del male di Elisabetta. Nei diari dell'arciduchessa Sofia non ci sono indizi sulla malattia misteriosa della nuora, così come nelle lettere della duchessa Ludovica sua madre. Con tutta probabilità i disturbi fisici di Elisabetta erano dovuti a un disturbo psichico: la storica Brigitte Hamann ipotizza che l'imperatrice d'Austria soffrisse di una forma di anoressia nervosa, la quale comporta irrequietezza, rifiuto del cibo e del sesso. Ciò potrebbe anche spiegare il fatto che Elisabetta sembrava riprendersi subito non appena si allontanava da Vienna e dall'imperatore.

In quegli anni ebbe una lunga amicizia con il cugino Ludwig II di Baviera, che quando salì al trono convinse a fidanzarsi con la sorella minore Sofia.

 

- La corte viennese si indignò per la partenza della sovrana e nel resto del mondo fu grande  la preoccupazione per l'imperatrice "in fin di vita" . (La regina Vittoria mise a disposizione per Elisabetta il suo panfilo privato Victoria and Albert).

 

Regina d'Ungheria

L'8 giugno 1867 a Buda, al tempo capitale dell'Ungheria, l’imperatrice Elisabetta viene incoronata regina d'Ungheria.

In seguito la coppia si trasferisce nella residenza di Gödöllő, una città di 34 396 abitanti situata nella contea di Pest, nell'Ungheria settentrionale, dove Elisabetta visse la maggior parte del tempo. L'ultima figlia, Maria Valeria, la prediletta da Elisabetta, nacque nel 1868 e fu volutamente fatta nascere a Budapest, un omaggio della regina d'Ungheria ai suoi sudditi favoriti. Inoltre Elisabetta si occupò personalmente della sua educazione, cosa che non aveva fatto con gli altri tre figli.

 

La fine – La tragedia di Mayerling – L’attentato e la morte

Nonostante fosse cresciuta relativamente libera da vincoli sociali e di comportamento normalmente imposti alla nobiltà europea del XIX secolo e generalmente insofferente alla disciplina di corte a Vienna, nonché alle politiche imperiali e alle condizioni di vita dei popoli sottoposti alle autorità dell’Impero austro-ungarico, Sissi rimase comunque un simbolo della monarchia asburgica, cosa, questa, che le sarà fatale.

 

Il 24 aprile 1879 Elisabetta e Francesco Giuseppe festeggiarono le nozze d'argento, ma successivamente una serie di lutti si abbatté su Elisabetta.

Nel 1886 in circostanze misteriose muore il cugino re Ludwig di Baviera e nel 1888 muore il padre, il duca Max.

Ma la vera tragedia avvenne il 30 gennaio 1889 a Mayerling, un piccolo paese nella Bassa Austria, dove il figlio Arciduca Rodolfo d'Asburgo-Lorena, l'erede al trono, morì suicida insieme con l'amante, la baronessa diciassettenne Maria Vetsera, forse uccisa dallo stesso Rodolfo.

Nel 1889 era risaputo a corte che Rodolfo e la Vetsera avessero una relazione (ne erano a conoscenza persino l'imperatore Francesco Giuseppe, padre di Rodolfo, e la moglie stessa di Rodolfo, la principessa Stefania del Belgio). Il matrimonio di Rodolfo e di Stefania aveva portato alla nascita di una figlia, l'arciduchessa Elisabetta Maria, Si vociferò che Stefania fosse impossibilitata ad avere ancora figli perché Rodolfo l'aveva infettata con una malattia venerea, precisamente gonorrea, contratta da una delle sue innumerevoli amanti.

Inizialmente la versione ufficiale dei fatti fu che un attacco di cuore aveva stroncato Rodolfo; la Vetsera non venne neppure menzionata, e il suo corpo completamente vestito, munito di cappello e legato ad un manico di scopa che le teneva diritta la schiena, fu trasportato in carrozza e seppellito segretamente ad Heiligenkreuz. Questa versione non sembrò, tuttavia, reggere e in breve si dovette ammettere che l'arciduca si era suicidato.

Tra le tante versioni popolari che subito si diffusero, la più verosimile sembrava quella secondo cui tra l'arciduca e l'amante si fosse raggiunto il lugubre accordo di morire insieme, alla luce della richiesta avanzata da Francesco Giuseppe che i due si separassero. Rodolfo avrebbe sparato alla tempia della Vetsera, pienamente consenziente, per sedere, poi, accanto a lei diverse ore e infine togliersi egli stesso la vita.

Da quell'anno Elisabetta decise di vestirsi solo di nero.

Per superare la depressione dell'ambiente di corte, l'imperatrice riprese i suoi viaggi, visitando Madonna di Campiglio, poi Castel Roncolo a Bolzano, Riva e Arco sul lago di Garda e infine Merano, dove le raggiunse l'imperatore.

Nel 1896 fu celebrato il millenario della fondazione dell'Ungheria ed Elisabetta vi partecipò a fianco dell'imperatore come ultima apparizione ufficiale.

 

Nel 1998 è stato pubblicato il diario poetico dell'Imperatrice e dai suoi scritti emerge chiaramente la sua disapprovazione delle condizioni sociali in cui versava la popolazione austriaca e ungherese, tanto da considerare i giovani a lei contemporanei come "oppressi dall'ordine stabilito". Si sentiva a disagio e rattristata per la disparità socio-economica fra lei e la gente comune, al punto da detestare le ricchezze e i viaggi di piacere per l'Europa.

Nella biografia dedicata all'Imperatrice, Brigitte Hamann descrive Elisabetta come una forte anti-clericale, libertaria e pre-comunista, insofferente alla vita e all'etichetta di corte, tanto da desiderare che Francesco Giuseppe abdicasse e andasse a vivere con lei sulle rive del lago di Ginevra.

Nel diario è altresì evidente come Elisabetta non amasse affatto la sua condizione aristocratica né condividesse la politica degli Asburgo, anzi arriva anche a maledire, nelle sue poesie, la dinastia asburgica al punto da augurarsi di morire "improvvisamente, rapidamente e se possibile all'estero".

Nel settembre del 1898 si recò in incognito a Ginevra prendendo alloggio all'Hotel Beau-Rivage, sul lungolago ginevrino, registrandosi con un titolo fittizio.

Alle 13 del 9 settembre del 1898, si recò in carrozza privata direttamente al castello di Pregny, dove l'attendeva una sua amica, la baronessa Rothschild, e tornò all'albergo Beau Rivage solo alle 18 di sera. Dopo cena, fece una passeggiata a piedi per le vie della città, accompagnata dalla sola contessa Sztáray, sino alla pasticceria Désarnod, sita nei pressi del Grand Théâtre.

L'indomani mattina andò di nuovo in città. Alle ore 13 del 10 settembre, doveva imbarcarsi per la frazione di Montreux-Territet, quando s’imbatté nell’anarchico italiano Luigi Luchéni che aveva maturato la decisione di compiere un regicidio per rendere imperituro il suo nome.

Chi era Luchéni ?

Era figlio di Luigia Lucchini, una bracciante alle dipendenze di un'agiata famiglia parmense, presso l'odierna Albareto. Rimasta incinta a seguito d'un rapporto clandestino con il figlio di un grosso proprietario terriero del luogo, si recò in Francia per poter partorire in segreto. Luigi nacque dunque a Parigi, dove la madre l'abbandonò presso l'Hospice des enfants assistés. Per un errore di trascrizione all'anagrafe, il cognome fu francesizzato in Luchéni. Luigia Lucchini emigrò poi negli Stati Uniti e non rivide mai più né ebbe più alcun contatto con suo figlio.

Luchéni trascorse la sua infanzia presso l'orfanotrofio Enfants Trouvés di Parigi; Tornato ad Albareto, a soli quattordici anni d'età vi fuggì ed iniziò a vagabondare per l'Europa. Dopo aver persino pensato di emigrare negli Stati Uniti, si trasferì in Svizzera, a Losanna, dove ebbe modo di avvicinarsi ad alcuni gruppi anarchici, allora impegnati nel dibattito sull'opportunità di un regicidio. In tale ambito, Luchéni maturò il vago progetto di rendere imperituro il suo nome, compiendo un atto irreparabile.”

Si recò in battello ad Évian-les-Bains, dove villeggiava l'alta aristocrazia europea del tempo, e comperò un catalogo degli ospiti illustri (l'Evian Programme, ritrovato nelle sue tasche al momento dell'arresto e conservato agli archivi di Stato di Ginevra). Non trovando nessuno da poter assassinare, decise di approfittare del passaggio a Ginevra del pretendente al trono di Francia il Duca d'Orléans ma, prima ancora che potesse fare alcunché, questi era già ripartito per Parigi.

Girovagando per le strade di Ginevra, in cerca di qualcuno da assassinare, s'imbatté in Giuseppe Abis della Clara che aveva svolto con lui il servizio militare nella cavalleria a Napoli, appartenente ad una nobile famiglia che aveva fedelmente servito l'impero austro-ungarico, che gli rivelò la presenza a Ginevra, dell'imperatrice Elisabetta d'Austria, probabilmente riconosciuta da un cocchiere nei pressi dell'Hôtel Beau Rivage. "Ecco chi puoi assassinare!”, gli disse.

………e il 10 settembre del 1898 decise di mettere in atto i suoi propositi. Non avendo abbastanza soldi per acquistare un'arma da fuoco o un semplice pugnale, comprò una lima triangolare, che fece affilare da un arrotino di Losanna.

Luchéni, informato sull'indirizzo dell'imperatrice e sulle sue sembianze dall'amico Abis della Clara, si appostò sul quai du Mont-Blanc, nascosto dietro un ippocastano ed armato della sua lima, sapientemente occultata in un mazzo di fiori, ed attese l’arrivo dell’imperatrice.

Al passaggio di Sissi, sbucò dal suo nascondiglio e la pugnalò al petto, con un unico e preciso colpo letale, tentando poi la fuga lungo la Rue des Alpes, dopo aver gettato l'arma del delitto dinnanzi l'ingresso del civico n. 3.

L'imperatrice, che correva verso il battello (la sirena della partenza aveva già suonato) si accasciò per effetto dell'urto, ma si rialzò e riprese la corsa, non sentendo apparentemente nessun dolore. Fu solo una volta arrivata sul battello che impallidì e svenne nelle braccia della contessa Sztáray. Il battello fece retromarcia e l'Imperatrice, riportata nella sua camera d'albergo, spirò un'ora dopo, senza aver mai ripreso conoscenza.

Era il 10 settembre del 1898. Aveva 60 anni.

La sua tomba si trova a Vienna, nella Cripta Imperiale, accanto a quelle del marito e del figlio.

Nel suo diario SISSI si augurava di morire "improvvisamente, rapidamente e se possibile all'estero"

In un certo senso, dunque, si può dire che il suo intimo desiderio del come e dove abbandonare la vita sia stato esaudito.

E Lucheni?

L’attentatore fu bloccato da quattro passanti, non molto lontano dal luogo dell'attentato, in attesa del sopraggiungere della polizia. Al commissario che lo interrogava, chiedendogli il motivo del suo gesto, pare abbia risposto: «Perché sono anarchico. Perché sono povero. Perché amo gli operai e voglio la morte dei ricchi».

Luchéni venne processato e condannato all'ergastolo.

Al giudice, il quale gli rinfacciava di avere ucciso una donna sola e disperata, Luchéni rispose di non averlo saputo e di avere, invece, sempre creduto che Elisabetta fosse una donna realizzata, ricca e felice.

Morì in prigione nel 1910, molto probabilmente suicida, anche se vi è il sospetto che possa essere stato strangolato con la cintura alla quale fu trovato appeso nella sua cella CURIOSITA’

La sua testa fu recisa e poi conservata in un contenitore di formalina e mostrata agli ospiti illustri dell'Hôtel Métropole quali i rivoluzionari ed uomini politici Lenin, Vjačeslav Michajlovič Molotov e Georgij Maksimilianovič Malenkov.

Nel 1998, nel centenario dell'assassinio, fu regalata dal Governo svizzero all'Istituto di patologia di Vienna.

 


lunedì 8 gennaio 2024

Pier Paolo Pasolini: il cinema e la pittura, alcuni esempi

XI°  incontro - 10 gennaio 2024 - Dott. Nicola Baccelliere

"Pier Paolo Pasolini: il cinema e la pittura, alcuni esempi"

Serata dedicata a Pier Paolo Pasolini, un artista completo e innovativo, considerato tra i maggiori intellettuali italiani del Novecento.

Studioso osservatore della realtà italiana del secondo dopoguerra, Pasolini è stato anche un personaggio al centro di polemiche e scandali, a causa delle sue idee radicali e della sua omosessualità. La sua tragica morte all'idroscalo di Ostia rimane un mistero ancora oggi.

Con Nicola Baccelliere, Promotore culturale e  Documentarista, Esperto di Cinema, abbiamo fatto un viaggio tra ciò che egli chiama "fulgorazione figurativa", con focus sul film "Il Vangelo secondo Matteo" che ha girato quasi completamente in Basilicata. I Sassi di Matera, in particolare, hanno offerto figurativamente uno scenario di forte evidenza.

La versatilità culturale di Pasolini si è espressa in diversi campi, lasciando contributi anche come pittore, romanziere, linguista, traduttore e saggista.

Ha inserito nei suoi film alcuni riferimenti specifici all'arte pittorica che Nicola, con maestria, ci ha mostrato e ci ha aiutato a decodificare.

Grazie, Nicola per la brillante trattazione!

 

SINTESI DELL'INCONTRO

 In data 10/01/2024, alle ore 18:30, presso la biblioteca comunale di Oppido Lucano, ospite dell'Unitre, sezione locale, grazie all'invito della Presidente, prof.ssa Rosanna Cimadomo, ho tenuto una conferenza dal titolo "Pier Paolo Pasolini: il cinema e la pittura, alcuni esempi". 

 L'incontro è stato un'occasione di approfondimento dei principali riferimenti artistici presenti nella filmologia pasoliniana. 

Partendo dall'analisi del dipinto di Diego Velázquez, Las Meninas, presente nel suo mediometraggio Che cosa sono le nuvole? (ITA, 1968) l'incontro ha affrontato le principali caratterizzazioni visive di matrice artistica che il regista friulano chiamava “fulgorazioni figurative”.                  

Più dettagliatamente, nei suoi film, abbiamo analizzato le opere presenti, in modo più o meno diretto, di grandi pittori quali  Rosso Fiorentino, El Greco, Pontormo e soprattutto Piero della Francesca, che ci riporta al suo film Il vangelo secondo Matteo (ITA 1964), in larga parte girato in Basilicata.

  Il seminario è proseguito con la visione e l'analisi di alcuni estratti lucani del film ed è continuato con un proficuo confronto con il pubblico pervenuto. 

 Ringraziando i membri del direttivo e i soci dell'Unitre di Oppido Lucano, resto a disposizione con entusiasmo per altri incontri tematici.

                               dott. Nicola Baccelliere