domenica 5 giugno 2016

21° INCONTRO –16 MARZO 2016 Rev.do D. Giuseppe GRECO
“Locantore: perseguitato di Oppido Lucano”
Il relatore, Don Giuseppe Greco, nella relazione odierna ha parlato delle vicende concernenti la nomina di Don Antonio Locantore a Parroco di Oppido, allora Palmira.
Alla fine del 1912, quando fu bandito il concorso per le parrocchie di Oppido e per quella di Cancellara, insieme ad altri sacerdoti, tra cui quelli di Oppido, presentò la sua domanda di partecipazione anche Don Antonio Locantore, giovane sacerdote nato a Montescaglioso il 24 gennaio 1887. Per diversi motivi il concorso fu espletato solo nell’aprile del 1913. L’Arcivescovo Anselmo Pecci nominò vincitore Don Antonio Locantore il 15 aprile e dispose l’emanazione della Bolla “in di lui favore” in data 22 aprile 1913.
         Prima ancora della pubblicazione della Bolla di nomina una petizione di oltre cento cittadini di Montescaglioso “implorava che il detto Sacerdote fosse lasciato in quel comune…” Alcuni giorni dopo il sindaco di Palmira si premura di far pervenire una lettera al Prefetto di Potenza e l’altra all’Arcivescovo di Acerenza. In entrambe esprime la sua preoccupazione per un malumore che serpeggia nella popolazione e “che potrebbe domani degenerare in seria agitazione per la nomina del titolare della Parrocchia di Palmira”…
Dello stesso tono la lettera inviata il giorno successivo all’Arcivescovo, con la quale il Sindaco faceva notare che “ la cagione del fermento promana dalla preferenza del forastiero – che verrebbe giustificato dall’aver conseguito il primo posto nella graduatoria – ai tre compaesani…”
Nel contempo all’indirizzo del nuovo Arciprete in Montescaglioso giungono lettere minatorie ed una cartolina anonima nella quale lo si accusa di aver vinto il concorso con minacce, imbrogli e sotterfugi. A questo riguardo Don Antonio esprime all’Arcivescovo tutto il suo dispiacere facendo anche intendere che avrebbe volentieri rinunciato all’incarico, rimanendo al suo paese, come del resto chiedevano i suoi concittadini.
Evidentemente quella nomina non era ciò che desideravano le famiglie notabili del paese.
         Mons. Pecci comprese bene che bisognava far decantare la situazione, tanto che Don Antonio giunse nella sua parrocchia solo all’inizio dell’estate del 1913. Animato da forte dinamismo iniziò subito a prendersi cura non solo delle anime ma anche della chiesa materiale. Diede inizio ai lavori alla chiesa madre ed al santuario di Belvedere, lavori che proseguirono anche negli anni successivi, 1919, 1920, quando provvide alla riparazione a all’accordatura del piccolo organo a canne del Santuario e nel 1922 ordinò la costruzione di due scale per il campanile.
“Il suo impegno principale, però, lo profuse nel culto del SS.mo Sacramento, precisò l’orario delle messe e fondò la Congrega del SS.mo Sacramento.
Notevole fu la cura pastorale di D. Antonio Locantore per la Congrega e questa concorse in maniera esemplare al rifiorire della vita cristiana e della pietà eucaristica nella Parrocchia. Le frequenti riunioni con i Confratelli e le Consorelle riuscirono a diffondere notevolmente il culto eucaristico. Ai primi Confratelli si unirono ben presto numerosi altri, dedicandosi a questa esperienza di fede per tutta la vita.
D. Antonio allargò la partecipazione alla Congrega anche alle donne che si iscrissero numerose. Né D. Antonio si limitò a queste attività di ordine liturgico, ma impegnò le sue energie anche in attività di carattere assistenziale e caritativo”.
Una bella strofa della Storia di Teresa Calabrese dice:
Scia a cunfessà tutt’i malati,
lu prima addummanne: chè tenite?
Si era ricco gli dacia conforto.
si era povre facia la caritaie!
“Tra i gesti di carità più delicati - e non pochi - che ancora oggi lo ricordano con viva riconoscenza, bisogna rammentare l’assistenza ai figli dei combattenti della prima guerra mondiale, particolarmente agli orfani di quell’immane tragedia. D. Antonio raccoglieva questi fanciulli e fanciulle per tutta la giornata, o gran parte di essa, in casa sua, nel largo della Via Gradelle; amorevolmente dava loro da mangiare e non di rado li puliva così come una madre fa con i propri figli. Grande fu la riconoscenza di molte mamme, ma non mancò chi rispose con ingratitudine”.
Anche a questa situazione fa riferimento la Storia con una punta di amara ironia:
Ri guideve pure l’hanno cundannato,
gli hanno rinnuto lu bene ricevuto
Pure gli flgli ni gli ha tenuti,
quanno gli hanno purtati tutti spurcati,
ind’a ri mani soje gli ha ‘nginteluti,
doppi ri begli cose gli ha ‘mbarate!
Lu giorno la tavola ha preparato,
quanne ri mamme fore sonne sciute,
Pi’ no gli fa scì p'ind‘a ri strate,
ind’a la casa soje gli ha tenuti.
         Per tutta riconoscenza proprio alcuni reduci e combattenti si resero protagonisti di un deprecando gesto nei confronti di D. Antonio nel giorno del Corpus Domini del 1922, quando cercarono di strappare dalle mani del parroco l’ostensorio d’argento. Aggredito con un coltello dal priore della congrega dell’Assunta che reclamava una precedenza nella processione, D. Antonio non si sarebbe salvato senza l’intervento dei circostati.
Erano, questi, episodi isolati o malumori che covavano fin dal suo arrivo a Palmira circa dieci anni prima? La goccia che fece traboccare il vaso fu l’iniziativa intrapresa da D. Antonio di dare un pezzo di terra a quei contadini che, rientrati dal servizio alla Patria durante la prima guerra mondiale, chiedevano un lavoro ed un pezzo di pane. Fondò una cooperativa di lavoro ed ottenne l’assegnazione di terreni incolti di proprietà dei conti Lehon di Parigi.
Immediata fu la reazione dei grandi latifondisti che servendosi di alcuni facinorosi, compirono atti vandalici nei confronti del Locantore che fu costretto a fuggire attraverso una finestra che dava sue tetti e trovare riparo in casa di persone amiche. Ma ben presto, anche in seguito a delazioni, fu individuato il suo rifugio, fu prelevato ed affidato ad una persona che su di un calesse lo condusse a Genzano, presso la casa del parroco del posto. L’indomani mattina Don Antonio si recò ad Acerenza per mettere a conoscenza dei fatti l’Arcivescovo per poi tornare presso i suoi a Montescaglioso. Ma D. Antonio non era persona da arrendersi così facilmente ai soprusi e pretese ed ottenne, “sufficientemente scortato dalla forza dell’ordine il ritorno nella sua parrocchia di Palmira”, dove rimase fino al 1925, quando, eletto Canonico nel Capitolo Cattedrale, fu trasferito a Potenza, dove rimase fino alla morte.
         Storia triste, incredibile ma vera, che ha tenuto a bocca aperta tutto l’uditorio che alla fine ha ringraziato Don Giuseppe con un caloroso applauso.
D.M.