21° INCONTRO –16 MARZO 2016 Rev.do D. Giuseppe
GRECO
“Locantore: perseguitato di Oppido Lucano”
Il relatore, Don Giuseppe
Greco, nella relazione odierna ha parlato delle vicende concernenti la nomina di
Don Antonio Locantore a Parroco di Oppido, allora Palmira.
Alla fine del 1912, quando fu
bandito il concorso per le parrocchie di Oppido e per quella di Cancellara, insieme
ad altri sacerdoti, tra cui quelli di Oppido, presentò la sua domanda di
partecipazione anche Don Antonio Locantore, giovane sacerdote nato a
Montescaglioso il 24 gennaio 1887. Per diversi motivi il concorso fu espletato solo nell’aprile del 1913.
L’Arcivescovo Anselmo Pecci nominò vincitore Don Antonio Locantore il 15 aprile
e dispose l’emanazione della Bolla “in di
lui favore” in data 22 aprile 1913.
Prima ancora della pubblicazione della Bolla di nomina una
petizione di oltre cento cittadini di Montescaglioso “implorava che il detto Sacerdote fosse lasciato in quel comune…”
Alcuni giorni dopo il sindaco di Palmira si premura di far pervenire una
lettera al Prefetto di Potenza e l’altra all’Arcivescovo di Acerenza. In
entrambe esprime la sua preoccupazione per un malumore che serpeggia nella
popolazione e “che potrebbe domani
degenerare in seria agitazione per la nomina del titolare della Parrocchia di
Palmira”…
Dello stesso tono la lettera
inviata il giorno successivo all’Arcivescovo, con la quale il Sindaco faceva
notare che “ la cagione del fermento
promana dalla preferenza del forastiero – che verrebbe giustificato dall’aver
conseguito il primo posto nella graduatoria – ai tre compaesani…”
Nel contempo all’indirizzo del
nuovo Arciprete in Montescaglioso giungono lettere minatorie ed una cartolina
anonima nella quale lo si accusa di aver vinto il concorso con minacce,
imbrogli e sotterfugi. A questo riguardo Don Antonio esprime all’Arcivescovo tutto
il suo dispiacere facendo anche intendere che avrebbe volentieri rinunciato
all’incarico, rimanendo al suo paese, come del resto chiedevano i suoi
concittadini.
Evidentemente quella nomina non
era ciò che desideravano le famiglie notabili del paese.
Mons.
Pecci comprese bene che bisognava far decantare la situazione, tanto che Don
Antonio giunse nella sua parrocchia solo all’inizio dell’estate del 1913.
Animato da forte dinamismo iniziò subito a prendersi cura non solo delle anime ma
anche della chiesa materiale. Diede inizio ai lavori alla chiesa madre ed al
santuario di Belvedere, lavori che proseguirono anche negli anni successivi,
1919, 1920, quando provvide alla riparazione a all’accordatura del piccolo
organo a canne del Santuario e nel 1922 ordinò la costruzione di due scale per
il campanile.
“Il suo impegno principale, però, lo profuse nel culto del SS.mo
Sacramento, precisò l’orario delle messe e fondò la Congrega del SS.mo Sacramento.
Notevole fu la cura pastorale di D. Antonio Locantore per la Congrega e questa
concorse in maniera esemplare al rifiorire della vita cristiana e della pietà eucaristica
nella Parrocchia. Le frequenti riunioni con i Confratelli e le Consorelle
riuscirono a diffondere notevolmente il culto eucaristico. Ai primi Confratelli
si unirono ben presto numerosi altri, dedicandosi a questa esperienza di fede
per tutta la vita.
D. Antonio allargò la partecipazione alla Congrega anche alle donne che si
iscrissero numerose. Né D. Antonio si limitò a queste attività di ordine
liturgico, ma impegnò le sue energie anche in attività di carattere
assistenziale e caritativo”.
Una bella strofa della Storia di Teresa Calabrese dice:
Scia a cunfessà tutt’i malati,
lu prima addummanne: chè tenite?
Si era ricco gli dacia conforto.
si era povre facia la caritaie!
“Tra i gesti di carità più delicati - e non pochi - che ancora oggi lo
ricordano con viva riconoscenza, bisogna rammentare l’assistenza ai figli dei
combattenti della prima guerra mondiale, particolarmente agli orfani di quell’immane
tragedia. D. Antonio raccoglieva questi fanciulli e fanciulle per tutta la
giornata, o gran parte di essa, in casa sua, nel largo della Via Gradelle;
amorevolmente dava loro da mangiare e non di rado li puliva così come una madre
fa con i propri figli. Grande fu la riconoscenza di molte mamme, ma non mancò
chi rispose con ingratitudine”.
Anche a questa situazione fa riferimento la Storia con una punta di amara
ironia:
Ri guideve pure l’hanno cundannato,
gli hanno rinnuto lu bene ricevuto
Pure gli flgli ni gli ha tenuti,
quanno gli hanno purtati tutti
spurcati,
ind’a ri mani soje gli ha
‘nginteluti,
doppi ri begli cose gli ha ‘mbarate!
Lu giorno la tavola ha preparato,
quanne ri mamme fore sonne sciute,
Pi’ no gli fa scì p'ind‘a ri strate,
ind’a la casa soje gli ha tenuti.
Per
tutta riconoscenza proprio alcuni reduci e combattenti si resero protagonisti
di un deprecando gesto nei confronti di D. Antonio nel giorno del Corpus Domini
del 1922, quando cercarono di strappare dalle mani del parroco l’ostensorio d’argento.
Aggredito con un coltello dal priore della congrega dell’Assunta che reclamava
una precedenza nella processione, D. Antonio non si sarebbe salvato senza l’intervento
dei circostati.
Erano, questi, episodi isolati o malumori che
covavano fin dal suo arrivo a Palmira circa dieci anni prima? La goccia che
fece traboccare il vaso fu l’iniziativa intrapresa da D. Antonio di dare un
pezzo di terra a quei contadini che, rientrati dal servizio alla Patria durante
la prima guerra mondiale, chiedevano un lavoro ed un pezzo di pane. Fondò una
cooperativa di lavoro ed ottenne l’assegnazione di terreni incolti di proprietà
dei conti Lehon di Parigi.
Immediata fu la reazione dei grandi latifondisti
che servendosi di alcuni facinorosi, compirono atti vandalici nei confronti del
Locantore che fu costretto a fuggire attraverso una finestra che dava sue tetti
e trovare riparo in casa di persone amiche. Ma ben presto, anche in seguito a
delazioni, fu individuato il suo rifugio, fu prelevato ed affidato ad una
persona che su di un calesse lo condusse a Genzano, presso la casa del parroco
del posto. L’indomani mattina Don Antonio si recò ad Acerenza per mettere a
conoscenza dei fatti l’Arcivescovo per poi tornare presso i suoi a
Montescaglioso. Ma D. Antonio non era persona da arrendersi così facilmente ai
soprusi e pretese ed ottenne, “sufficientemente scortato dalla forza dell’ordine
il ritorno nella sua parrocchia di Palmira”, dove rimase fino al 1925, quando,
eletto Canonico nel Capitolo Cattedrale, fu trasferito a Potenza, dove rimase
fino alla morte.
Storia
triste, incredibile ma vera, che ha tenuto a bocca aperta tutto l’uditorio che
alla fine ha ringraziato Don Giuseppe con un caloroso applauso.
D.M.