UNITRE --- OPPIDO
LUCANO
Lezione
di Francesco Saverio Lioi il 15-1-2020
Il Bombardamento di Potenza dell’8
e 9 settembre del 1943.
Preliminari: Battaglia di El
ALAMEIN. Lapide commemorativa: MANCO’ LA FORTUNA, NON IL CORAGGIO.
Prima battaglia. Luglio
1942. Rommel attacca la linea difensiva
anglo-americana contro il gen. Auchintekc. Mese di logoramento senza vincitore.
Seconda battaglia 23 ottobre
- 4 novembre 1942. Le truppe anglo americane comandate da Bernard Montgomery attaccano El Alamein conquistando la depressione di El Quattara.
Rommel, inferiore per numero di uomini e mezzi (due nazioni dell’Asse contro 7
nazioni, USA, Inghilterra ecc.) resiste soprattutto per i campi minati,
chiamati I giardini del Diavolo, ma dovette cedere per mancanza di approvvigionamento e scarsezza di rifornimenti, rimase con 102 carri armati. Il
3 novembre Rommel aveva solo 35 carri armati operativi. Il 4 nov. Ordina la
ritirata che segnò una svolta nella guerra. Wiston Churchill dichiarò: "Ora
questa non è la fine, non è nemmeno l’inizio della fine, ma forse la fine
dell’inizio".
La lotta degli
anglo-americani dall’Africa si spostò in Italia. La volpe del deserto, il gen.
Rommel, era stato sconfitto a El
Alamein: tedeschi e alleati si diressero verso l’Italia. La prima isola che gli
alleati anglo-americani incontrarono nella loro avanzata verso l’Italia fu Pantelleria,
sulla quale con la quasi totalità delle forze dislocate nel Mediterraneo, in
tredici giorni di bombardamenti
scaricarono, su 83 kmq, 17 mila tonnellate di esplosivo. L’esercito italiano non fu
passivo, ma reagì con fermezza: gli aerosiluranti italiani affondarono otto piroscafi
e una petroliera, molti mezzi navali alleati rimasero danneggiati in modo tale
da non essere adoperati, gli anglo-americani persero oltre un centinaio di
aerei e altri 250 prima dello sbarco in Sicilia. Intanto l’offensiva aerea
anglo-americana si andava intensificando su tutta l’Italia insulare e
meridionale, mirando ad operazioni risolutive di conquista dell’Italia intera,
mentre i tedeschi aumentavano la loro presenza in Italia con divisioni
provenienti da ogni parte del Mediterraneo. Cadeva così il progetto illusorio
dell’Italia fascista della guerra lampo
ed in casa d’altri e prendeva sempre più
luogo la possibilità della guerra in casa propria, che avrebbe visto la
distruzione di tante città e la lotta civile della resistenza degli italiani
contro altri italiani, ma soprattutto contro i tedeschi che avevano invaso
l’Italia. Nacquero i Comitati di Liberazione nazionale, ne nacque uno anche a
Oppido. Stava iniziando per l’Italia un periodo di distruzione delle città,
cadeva il mito dell’arroganza fascista. Da Pantelleria gli Alleati passarono in
Sicilia, ove trovarono un’accanita resistenza da parte dell’esercito italiano.
Un giornalista americano, corrispondente di guerra, così scrive nel suo
giornale:«La lotta in Sicilia ha assunto un accanimento inaudito e i difensori
dell’isola si battono quanto mai risolutamente, non retrocedendo ove è
possibile, neppure di un centimetro». Il 22 giugno 1943 gli Alleati prendono
Palermo e, con gravi perdite anche da parte loro, sbarcano nella penisola. Persero
un terzo degli effettivi di 15 divisioni, furono catturati o distrutti 400
carri armati, 63 cannoni, 96 mezzi di sbarco, furono abbattuti 650 aerei. La
difesa della Sicilia aveva adempiuto ad una importante funzione di logoramento
delle forze avversarie, facendo coinvolgere verso la isola quasi la totalità
delle forze angloamericane disponibili nel Mediterraneo; aveva altresì impedito
che esse potessero gravitare, in tutto o in parte, verso altri settori, che
avrebbero potuto avere una maggiore importanza per gli Angloamericani agli
effetti di una più sollecita definizione della guerra.
Il
25 luglio del 1943, nel frattempo, il Gran Consiglio del Fascismo, per la prima
volta in venti anni di regime, sfiduciò il Duce, il quale nella notte tra il 25
e 26, rassegnò nelle mani di Vittorio Emanuele III le dimissioni da capo del
Governo. Nell’uscire dalla residenza reale, a Roma, fu arrestato e portato in
una località di montagna. Il governo venne affidato al Maresciallo d’Italia Pietro
Badoglio.
Il
3 settembre del 1943 fu firmato l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati a
Cassibile in Sicilia. Il 13 ottobre 1943 Badoglio dichiara guerra alla
Germania.
Dopo
l’armistizio in Italia giunsero numerose Divisioni dell’esercito tedesco,
quelle sconfitte in Africa e quelle
stanziate nel Mediterraneo orientale, per contrastare l’avanzata degli Alleati
che dalla Sicilia risalivano lungo la penisola. Nel giugno del '43 era transitata
per Potenza la divisione tedesca di Hermann Goering, con mezzi cingolati, diretta in Sicilia per opporsi allo sbarco degli alleati che già si erano
insediati su Pantelleria. Parte di questa divisione rimane a Potenza ed
installa una stazione radio nella Villa di Santa Maria, di fronte alla Caserma
degli Allievi Ufficiali. A settembre colonne di soldati tedeschi in ritirata,
dopo la conquista della Sicilia da parte degli Alleati, ritornano a Potenza e
depredano una città già stremata. Ma in Italia giungono non solo i Tedeschi
cacciati dalla Sicilia, ma da ogni parte del Mediterraneo, ovunque chiedono ai militari
italiani la consegna delle armi, che gli Italiani rifiutano. Non è necessario
ricordare cosa avvenne a Cefalonia, ove fu passato per le armi un nostro concittadino,
il ten. La Sala. Nel Nord Italia, invece, Mussolini, liberato dai Tedeschi,
instaura la Repubblica Sociale di Salò, che diventa uno stato vassallo della
Germania. Mussolini avrebbe voluto la capitale di questo stato fantoccio
per i Tedeschi, con tutti i crismi di un grande stato che avrebbe vinto la
guerra in poco tempo per il Duce, a Roma o a Milano, ma Hitler non glielo
permise. Il risultato fu la lotta fratricida fra i partigiani italiani e l’esercito
dei repubblichini; i Tedeschi si arrogano il diritto di portare a compimento
ogni loro arbitrio.
Perché
gli Alleati nel loro avanzare in Italia verso Roma e il Nord, ormai sotto
l’oppressione tedesca, bombardavano le città italiane anche dopo l’armistizio?
Il bersaglio non erano le città italiane e i civili indifesi, ma i Tedeschi in
esse stanziati. La lotta è stata dura. La cacciata dei tedeschi dall’Italia del
Sud ha causato distruzioni e vittime civili. Non tocca a noi in questa sede
dire se eticamente ciò è ammissibile: la guerra ha comportato tali devastanti
disastri. La distruzione più illustre consumata dagli alleati è stata senza
dubbio quella della Badia di Montecassino, patrimonio, ebbe a dire un ufficiale
americano, non solo dell’Italia, ma del mondo. A ricostruirla, a guerra finita,
furono gli stessi americani. Potenza rientra nel destino comune di molte città
del Sud Italia in preparazione della avanzata alleata dalla Sicilia verso Roma.
Nello stesso giorno del bombardamento di Potenza vengono bombardate Salerno,
Capua, Avellino, Auletta, Eboli, Battipaglia, Formia, Gaeta .
Potenza
è stata bersaglio di un bombardamento necessario per gli alleati oltre che contro
i Tedeschi presenti in città, anche per gli snodi ferroviari, per le sedi
militari, la Scuola Allievi Ufficiali, il deposito del 48° Reggimento di
Fanteria, per ostacolare le manovre delle truppe tedesche che si trovavano a
Potenza. La città era rimasta completamente sguarnita di unità dell’esercito
italiano che nel frattempo si era disciolto e sbandato. A questo periodo fa
riferimento il nostro canto popolare Lu
sbandamiènte. La VII Armata, di stanza a Potenza nella primavera del 1943, si
era trasferita a Francavilla Fontana per seguire il Re Vittorio Emanuele III
che da Roma era fuggito verso Brindisi. A Potenza aveva sede il Quartier Generale
della VII Armata dell’esercito italiano ed il comando delle truppe stanziate in
Calabria, Puglia, Basilicata e Campania, sotto il comando del Generale Aurisio.
Costui, dopo la fuga del Re da Roma verso Brindisi, segue il re e trasferisce il comando dell’Armata a Francavilla
Fontana, abbandonando Potenza, sede del Quartiere Generale, all’invasione dei
Tedeschi. A Potenza rimane il colonnello Giuseppe Faggin con un piccolo
contingente militare, con il compito di resistere anche con le armi ad eventuali
assalti da parte tedesca. Il generale Aurisio era ben consapevole delle
condizioni in cui versava il colonnello, ma continuamente via telefono inviava
a Faggin ordini di resistere ai Tedeschi che imponevano la resa e la consegna
delle armi. Faggin, non per i continui comandi del generale, ma per sua
convinzione e per salvare l’onore delle armi italiane, non ha nessuna
intenzione di resa e di consegnare le armi all’ormai nemico tedesco. Per le vie
della Città, dice Tommaso Pedio, si incontrano solo tedeschi. L’esercito
italiano, dopo la fuga a Francavilla del gen. Aurisio, è sbandato, i soldati
cercano scampo dai Tedeschi, i quali li avrebbero portati nei campi di
concentramento in Germania, con la fuga. Il col. Giuseppe Faggin sottrae una
trentina di militari ai rastrellamenti dei Tedeschi e si rifugia in una
galleria, ove pone il suo comando e per
non consegnare le armi. I tedeschi chiedono ancora una volta di consegnare le
armi e arrendersi, Faggin, volendo fino all’ultimo salvare l’onore delle armi
italiane, oppone netto rifiuto, né i soldati si presentano a una delle uscite
della galleria. Il colonnello nell’impossibilità di resistere, comanda ai soldati di cercare di fuggire in un
modo o nell’altro e, , dopo un ultimo
confronto con i Tedeschi, essendosi reso conto della situazione ormai senza via
di uscita che non poteva resistere agli
assalti tedeschi né poteva calpestare il suo onore di soldato, esce fuori dalla
Galleria e punta la pistola contro il suo capo. I Tedeschi a loro volta fanno
saltare la galleria, massacrando militari e civili che si trovavano dentro. La
città di Potenza, oggi, ha dedicato alla memoria del colonnello Giuseppe
Faggin, l’intestazione di una lunga e scenografica scala del centro.
Le bombe alleate erano contro i movimenti
delle truppe tedesche, ma cadevano su una città ormai stremata: tutti cercavano
riparo nelle gallerie delle Calabro-lucane e dello Ferrovie dello stato che ancora
oggi attraversano il sottosuolo della città. I Tedeschi ostruirono le entrate,
i rifugiati rischiano di fare la morte dei topi. Durante i giorni atroci di bombardamento i cittadini vivono nel panico di morire schiacciati sotto le
macerie, tutti sono alla ricerca di un riparo sicuro o di scappare nella
campagna, nei paesi vicini al capoluogo. Potenza non ha ripari antiaerei che
possano resistere alle bombe. La commissione tecnica del comitato provinciale
di protezione antiaerea fa delle ricerche per individuare ricoveri utilizzabili
in caso di bombardamento. Un solo fabbricato risulta avere un ricovero sicuro,
la Banca d’Italia, la quale nel suo caveau può ospitare 84 persone. Nessun altro
edificio ha un ricovero sicuro. Nel
luglio del 1943 l’ingegnere capo del comune Binetti scrive: «Praticamente allo stato attuale, la città di
Potenza, pur essendo luogo strategico di rilevante importanza al punto da dar sede
al comando della VII Armata, è sprovvisto totalmente di ricoveri».
Nell’agosto del '43 vengono scavate delle gallerie a forma di cunicolo lunghe da 60 ai 90 metri
ad U per garantire due uscite. Il grosso non solo dei Potentini, ma anche dei
militari che erano rimasti in città dopo l’esodo del generale Aurisio con la
VII Armata verso Francavilla Fontana, trova scampo nelle gallerie ferroviarie.
Nel settembre del 1943 la Basilicata, ma soprattutto la città di Potenza, vive
sotto il terrore dei bombardamenti americani e della presenza dei tedeschi,
senza poter far nulla né contro quelli, né contro questi.
I
giorni 8 e 9 settembre 1943 sono nefasti per la città, portano morte,
distruzione, fame, paura. I cacciabombardieri degli alleati scaricano quintali di esplosivo sulla città
per ostacolare le manovre delle truppe tedesche che stazionano e impediscono la
loro avanzata. Le bombe cadono sulle sedi dei comandi militari, sulla caserma
della Scuola Allievi Ufficiali, sul deposito del 48° Reggimento di fanteria,
sul Museo Provinciale (descrizione dei danni causati al Museo nell’Uva puttanella di Rocco Scotellaro),
sull’Ospedale San Carlo, ove si era stanziato il Comando Tedesco, sulle abitazioni
private di Santa Maria, di Porta Salsa, di Via Addone, sulla Cattedrale. I danni
sono ingenti, materiali e disastrosi per la città, mortali per i cittadini: si
contano 187 vittime, di cui 37 militari e un numero imprecisato di feriti. Sono
inferte ferite alle strade, alle case, alle scuole, alle chiese. «Sfregi
consegnati alla memoria lucana con poche paginette, ha scritto Gino Agnesi.
Nessuna ditta politica era intervenuta a che le macerie prendessero parola».
Infatti le macerie di una città martoriata, le oltre 500 vittime dopo 10 giorni
di bombe, (come dice Tommaso Pedio «I morti, tra militari e civili, sono oltre
cinquecento! Le vittime sono prevalentemente civili, ( In La
Basilicata negli ultimi cento anni, p. 137) di cui la maggior parte civili
innocenti, non hanno mai avuto chi rivolgesse loro un saluto, chi ricordasse che
il loro sacrificio è servito per la liberazione di tutti». Si fanno
commemorazioni per le due vittime dei Tedeschi a Matera, e le 500 dei dieci
giorni di bombardamenti di Potenza chi mai le ha ricordate? Ma quelle sono
state vittime dell’odiato tedesco, queste... beh! di queste è bene non parlare!
Il vescovo mons. Bertazzoni si salvò protetto da un’arcata che resse all’urto
delle bombe, si ritirò in seguito in una casa di campagna nella contrada
Sant’Antonio la Macchia. Fino al 1950 ha dimorato in un’aula del Liceo
Classico, che allora era ubicato nel Palazzo Loffredo, ove oggi vi è il Museo
Nazionale. Ogni mattina ritornava in città per portare conforto con la parola e
con l’aiuto ad una città del tutto sguarnita di difese contraeree e rimasta
abbandonata a se stessa. Per giorni si visse negli improvvisati rifugi e nelle
gallerie fra mille difficoltà: la mancanza d’acqua, di viveri, di condizioni
igieniche accettabili. «La stessa
oscurità della galleria, ha
scritto Angela Olita in "Bombardieri a pace fatta" simboleggia la totale sospensione della
civiltà, la regressione a uno stato di natura in cui si è preda solo degli
istinti e della disperazione. La vicinanza con quelli che sarebbero
concittadini, amici, è solo fisica: ognuno ha il proprio personale dolore da
coltivare, mentre cerca solo di sopravvivere. Vengono meno i segni della
distinzione sociale, ma viene meno anche la comprensione. Si è vicini, ma
estraniati l’uno dall’altro: è la solitudine totale». Questo stato di cose
dura quasi due settimane. Le bombe cadono su rione Addone perché nell’Albergo Moderno, sito in via Pretoria, aveva sede il 10° corpo d’Armata. L’8 settembre vengono bombardati Palazzo
Loffredo, il rione Addone, la Cattedrale. La mattina seguente, verso le dieci viene
colpito il palazzo delle scuole elementari
di Via del Popolo, dove sono acquartierati i soldati della VII Armata.
Bombe in Piazza Prefettura, a Santa Maria. I bombardamenti continuano per
dodici giorni, alla stessa ora, Ogni notte centinaia di aerei sorvolano la
città lasciando delle tracce. I morti alla fine dei bombardamenti sono oltre
500, dice Tommaso Pedio.
Mi viene in mente a questo punto un verso
dell’Iliade:
Nove
giorni volarono per il campo Acheo le frecce divine.
Per
Potenza possiamo dire:
Per dodici giorni caddero sulla
città le bombe alleate.
Solo all’entrata in Potenza dei canadesi gli Alleati smettono le incursioni aeree. Le
persone grandicelle ricorderanno che anche a Oppido in quei giorni cadde
qualche bomba e di sera si andava a dormire sotto gli ulivi. Per Potenza quelli
furono giorni terribili.
Sulla
città, infatti, continuano a cadere bombe fino al 20 settembre, giorno in cui
entrano in Potenza le truppe corazzate della Prima Divisione canadese dell’VIII
armata britannica. Il gerarchismo nazi-fascista ha così fine. I canadesi trovano
una città distrutta, affamata, semivuota. I Potentini si sono trasferiti nelle
campagne o nei paesi limitrofi, ove era più facile provvedere alle necessità. I
pochi rimasti in città non accolgono i nuovi arrivati come liberatori, per loro
i canadesi sono venuti per sostituirsi
nell’occupazione del territorio ai precedenti occupanti. Li accolgono con
sospetto, con distacco nei primi giorni, per poi cambiare atteggiamento nel loro
confronto. La gente teme questi nuovi invasori, venuti come liberatori. Con i
canadesi arrivano in città anche soldati di colore e marocchini; la gente ha
paura, le donne rimangono chiuse in casa, per aver fama questi nuovi
invasori-liberatori di essere grandi stupratori. I canadesi però non portano in
città la normalità, i problemi causati dalla guerra non sono risolti. Le
condizioni materiali del capoluogo rimangono disastrose anche per l’esercito
degli occupanti: le ferrovie sono inutilizzabili, gli acquedotti e la rete
fognaria danneggiati e in molte parti a cielo aperto, l’ospedale inservibile,
la città un ammasso di macerie, gli alloggi mancano del tutto, si stanno
diffondendo epidemie di ogni tipo. La situazione è tale che impedisce anche
agli alleati di prendere decisioni a favore della popolazione. Nel novembre del '43 il commissario governativo scrive al comando alleato: Le condizioni igieniche ed edilizie non sono le più soddisfacenti per
l’alloggiamento di un forte contingente di truppe, gli edifici pubblici, come le
scuole, sono occupati da 250 famiglie di sinistrati, si sono contati 100 casi di
tifo, l’acqua potabile è razionata. Potenza e la
Basilicata rimasero sotto il Governo Militare del Territorio Occupato (AMGOT)
con a capo il Maggiore Ernest Howell.
F.S.Lioi