20° incontro - 21/03/2018 – PROF. F. S. LIOI
“Un grido lungo 200 anni:
terra ai contadini”— 2a parte
“Il 1900: il grido continua”
Il Prof. Lioi ha tenuto la seconda conferenza
sulle vicissitudini che hanno caratterizzato oltre due secoli di lotte da parte
dei contadini finalizzate all’ottenimento dei terreni che, dopo la feudalità,
dovevano essere assegnati ai contadini. Ma, come abbiamo potuto ascoltare nel
corso della prima relazione tenuta il 10 gennaio scorso, le cose, almeno fino
alla fine dell’ottocento non andarono proprio come sperato. Questa sera il
prof. Lioi ci ha raccontato quanto accaduto successivamente.
Dopo cinquant’anni dall’Unità d’Italia lo Stato accentratore e
l’oppressione economica del Nord condannano ancora una volta il Mezzogiorno al
sottosviluppo e accrescono il divario fra le due cosiddette Italie. In
Basilicata predomina ancora la ricca borghesia agraria, padrona della terra e
usurpatrice di terre demaniali che mal coltiva o non coltiva affatto. Esiste
anche la piccola borghesia, quella dei servizi, dei professionisti e dei
piccoli possidenti. Borghesia agraria e borghesia sociale, con intento
fortemente conservatore, da buoni amici si dividono i compiti: i latifondisti
si fanno eleggere per il Parlamento nazionale e la piccola borghesia sociale
opera nei consigli comunali e provinciali. Ai ceti subalterni, contadini e
braccianti, viene negato ogni diritto, sono sfruttati ed immiseriti dal potere
economico e da quello politico.
Nel 1902 Ettore Ciccotti, di Potenza,
socialista, pur appartenendo alla borghesia agraria, (la famiglia possedeva a
Oppido la masseria detta Ciccotti), portò alla Camera dei deputati, la
questione della Basilicata.
Dopo ripetuti dibattiti parlamentari, Giuseppe
Zanardelli, presidente del Consiglio dei Ministri, decise di visitare la
regione. La trovò senza strade, senza boschi, senza case coloniche, immense
distese incolte bruciate dal sole, monti brulli con centri abitati appollaiati
sulle loro cime in preda alle frane, e da per tutto un silenzio che gravava come
un incubo, anche e specialmente là dove in altri tempi erano fiorite ricche
città.
La legge che fu promulgata in seguito a questo
viaggio ebbe un dibattito parlamentare travagliato e difficile. Il Governo, pur
intervenendo per la prima volta a favore di una regione del Sud, intendeva
mantenere inalterato il divario tra il Nord e il Sud. La somma prevista dalla
legge da spendere in venti anni era inferiore alle tasse che nello stesso
periodo la regione avrebbe pagato: furono costruite alcune strade, le ferrovie
ofantine e qualche edificio pubblico, senza risolvere il problema della
regione, che fu conosciuta, almeno di nome, da tanti parlamentari.
Francesco Saverio Nitti e Ettore Ciccotti non
votarono la legge perché la ritennero insufficiente per risolvere i problemi
della provincia, non basta, essi dissero, riconoscere uno stato di fatto, ma
occorre portare definitivamente la provincia sulla linea delle altre. Ciccotti
provocatoriamente in un suo discorso alla Camera disse: «abbandonate questa Provincia a se stessa, ma con le sue risorse, pur
così scarse come sono, fate che i suoi milioni, con cui contribuisce per tasse
ed imposte, rimangono ad essa e che provveda da sé alla propria rigenerazione!»
La legge fu ritenuta valida e votata dagli altri parlamentari lucani. Non
vi furono risultati concreti e si scatenò una massiccia emigrazione che privò
la Lucania della forza lavoro dei giovani e tante giovani mogli dei loro mariti. La Grande Guerra del 1915-18 priva la Basilicata di 7479 giovani.
Dei 2191, che ritornano nei loro paesi, molti sono mutilati ed invalidi, gli
altri, non trovano lavoro: tutto come
prima. I galantuomini tengono ancora stretta nelle loro mani la proprietà
agraria e le Amministrazioni locali, perpetrando arbitri e soprusi, sono sempre
dalla parte del più forte.
Cosa succede a Oppido?
Si innalza per la terza volta, di nuovo, il
grido: terra ai contadini. Ad Oppido era
stata fondata dall’arciprete don Antonio Locantore una cooperativa di lavoro
per ottenere della terra da lavorare nel latifondo del Trigneto, proprietà dei
conti Lehon che vivevano a Parigi. Ai contadini che
occupano i terreni, si oppongono i grossi agrari, i quali sorretti dalle forze
dell’ordine, fanno valere i loro diritti sulla loro proprietà privata. Nelle
zone coltivabili, si sperimenta la colonizzazione con famiglie marchigiane o
umbre, ma dopo due anni la colonizzazione con mezzadri di altre regioni fallì
per la mancanza di infrastrutture.
Era opinione comune che la Basilicata avesse
grandi potenzialità non sfruttate per incapacità imprenditoriale dei suoi
abitanti, ma che potesse assicurare condizioni di vita migliori alla propria
popolazione e potrà anche albergare stabilmente gente di altre regioni a patto
di conseguire la messa in valore di quelle parti del suo vasto territorio che
più si prestano ad un’agricoltura intensiva.
La Basilicata fu divisa in 18 zone agricole in
funzione delle possibilità di immigrazione e del miglioramento fondiario dei
terreni. Palmira-Oppido fu inserita nella seconda zona che comprendeva anche i
comuni di Acerenza, Tolve e San Chirico Nuovo. Furono, inoltre, istituite Cattedre
Ambulanti di Agricoltura che si proponevano anche di avviare la trasformazione
agraria di alcune zone della Basilicata, chiamando coloni da altre regioni. Il resoconto finale di questi esperimenti fu di un generale
fallimento. Alcune famiglie però sono rimaste nelle nostre zone.
Le spinte eversive contro la borghesia agraria
durante il ventennio fascista erano una costante in tutte le regioni d’Italia,
non solo in Basilicata. I fanti che avevano combattuto nelle trincee durante la
guerra provenivano quasi tutti dal ceto contadino, era naturale dunque che
questi, ritornati a casa, chiedessero un fazzoletto di terra per sfamare la
famiglia, ma questa era nelle mani
della borghesia latifondistica, che osteggiava con risolutezza una simile
richiesta. Il governo fascista si trovò di fronte all’esigenza di garantire la
pace sociale nelle campagne e di neutralizzare le spinte eversive contro la
borghesia agraria, che era la sua
maggiore sostenitrice.
Dopo varie proposte di legge il problema di una più equa distribuzione della terra fu risolto
con la legge Mussolini del 1928, secondo la quale il latifondo non doveva
essere frazionato. Dalle nostre
parti ci fu la creazione del grosso latifondo di Calle gestito da una famiglia
di piemontesi: l’azienda Turati di oltre 5000 ettari che fu smembrata dalla
riforma agraria.
La seconda guerra mondiale diede lavoro ai
giovani lucani schierandoli nei campi di battaglia, da dove molti non tornarono
a casa. I reduci trovarono la situazione economica delle loro famiglie
aggravata e quella degli agrari ancor più consolidata. Si impose per la quarta
volta l’imperativo grido, quello scritto sui muri dai nostri padri: terra ai
contadini.
I problemi maggiori da risolvere nel dopo
guerra nel mondo rurale sono:
1 – la conduzione dei terreni a mezzadrie
nell’Italia centrale;
2 – la persistenza del latifondo nel
Mezzogiorno.
Nella seconda metà degli anni ’40,
nell’immediato dopoguerra, quando si vedevano le scritte in rosso sui muri:
terra ai contadini, frequenti sono le agitazioni e le proteste da parte del
bracciantato agricolo, guidato dal sindacato comunista. Si adottava il sistema
dell’occupazione collettiva delle terre incolte. A Oppido ci furono occupazioni
di terreni incolti, tenuti a pascolo, nelle proprietà del Lancieri, i quali
mandarono notte tempo i loro foresi con i trattori ad arare i terreni occupati
e i contadini furono costretti ad un passo indietro, ma il loro capo, Antonio Papà,
non depose le armi e la lotta continuò aspra.
Fu il Governo De Gasperi prima con il lodo e poi con la Riforma Agraria a
combattere il latifondo improduttivo e ad estendere la piccola proprietà
contadina. La Riforma Agraria, almeno dalle nostre parti, partorirà il classico
topolino, cioè sarà un fallimento totale (Borgo Taccone dimostra ciò a chiare
lettere).
Fino agli anni 50 la struttura della famiglia
rimane stabile con il rispetto dell’autorità e dei ruoli. L’emigrazione dalla
campagna nella città germina modifiche strutturali e relazionali. Inizialmente
l’emigrazione mirava con le rimesse ad acquistare terreni o a costruirsi una
casa, rimaneva costante il legame con la parentela e con il paese, in seguito
la finalità dell’emigrazione subisce un cambiamento: essa non è più finalizzata
al rientro in paese d’origine, né all’accrescimento della proprietà, ma al
cambiamento della propria personale condizione di vita, nell’ottica di un
miglioramento che attiene al lavoro, alla propria qualifica professionale, al
proprio livello di istruzione: questo significa fare il biglietto senza
ritorno.
Il timido tentativo di industrializzazione che
si tentò di attuare nelle quasi prive di infrastrutture località del
Mezzogiorno non risolvette né la disoccupazione né l’emigrazione.
La industrializzazione realizzata nel
Meridione negli anni ‘60/70 del secolo scorso è stata definita senza sviluppo e
con espressioni come cattedrali nel deserto perché si vedeva e si vede ancora
il Sud vocato solo all’agricoltura e al turismo, e naturalmente
all’emigrazione: alle industrie del Nord serviva mano d’opera a basso costo,
che poteva venire solo dal Sud. Il turismo doveva servire come mercato dei
prodotti del nord, al quale ritornava il denaro che i turisti spendevano. I
poli industriali creati in Basilicata per la maggior parte sono falliti, vedi
polo di Ferrandina, di Tito, e dove sono rimasti hanno innalzato sì il reddito
ed il numero di occupati, ma hanno creato anche problemi ambientali, per una
gestione mal condotta e per la scarsa applicazione delle norme di sicurezza. Lo Stato è stato latitante lasciando il
Sud privo delle infrastrutture necessarie per una crescita razionale.
Il Nord ha avuto sempre necessità di mano
d’opera, che, a buon mercato, ha trovato al Sud, e i meridionali, invece di
prendere il piroscafo a Napoli per le Americhe, hanno preso il treno del sole o
della speranza per il Nord Italia o per il Nord Europa.
Tentativi falliti di industrializzazione,
resistenza della tradizione, degrado del territorio, povertà e arretratezza
della popolazione, una certa letteratura che trovava nell’immobilismo la sua
linfa vitale determinarono la causa dello
stato di arretratezza dei lucani.
Il miracolo economico degli anni ’60 che portò
l’Italia fra le grandi nazioni europee, ebbe come base il serbatoio di mano
d’opera a buon mercato costituito della gente del sud, pronta a trasferirsi al
nord, abbandonando case e terreni assegnati dalla Riforma agraria. Tra i due
censimenti del 1951 e del 1971 dal Sud emigrarono verso il Nord 4 milioni di
persone.
Quattro milioni di persone che hanno
indubbiamente contribuito in maniera determinante allo sviluppo del Nord ed
all’esodo ed al depauperamento del Sud.
Sintesi a cura di D.M.