14° INCONTRO - 28/01/2015 – PROF.
ROCCO BASILIO
“LA TERZA ETA’ NELLA POESIA”
Il
Prof. Rocco Basilio ha intrattenuto brillantemente i presenti spiegando,
attraverso scritti illustri, come si affrontava, come era considerata nel
passato e come è stata descritta nella storia la terza età.
Ha percorso un cammino attraverso il
tempo, scegliendo sette brani che esprimono sentimenti comuni a tutti gli
uomini, che parlano di bontà, di gioia, di sofferenza, di dolore, ma anche del
sogno di ritornare bambini e della speranza di una vita migliore nell’al di là.
-Il
primo, tratto dalle “Metamorfosi” di
Ovidio, racconta la storia di due vecchietti, Filemone e Bauci, due anziani
coniugi, poverissimi ma generosi, che non indugiano ad ospitare due viandanti,
Giove e Mercurio che, sotto mentite spoglie, cercavano un luogo per riposare. Tutti
li avevano rifiutati: solo quei due vecchietti li ospitarono nella loro povera e
misera capanna. Quando gli dei si rivelarono, chiesero ai due vecchietti di
seguirli lungo il pendio della montagna affinché potessero salvarsi dalla
punizione che avrebbero ricevuto i loro vicini. Quando si voltarono verso la
valle videro che una palude l’aveva avvolta, solo la loro povera casa era
rimasta in piedi, trasformata in un tempio ricoperto di oro e di marmi. Gli dei
chiesero allora ai due vecchietti di esprimere un desiderio: ”Chiediamo di essere sacerdoti e guardiani
del vostro tempio… ci porti via la stessa ora: non voglio vedere la tomba di
mia moglie e neanche essere sepolto da lei”. Morirono insieme, mentre l’un
l’altra si dicevano: “Addio, amore”.
-Il
secondo brano è tratto dal Vangelo di
Luca- Ci racconta di Simeone, l’uomo giusto, vissuto leggendo i libri sacri,
convinto dell’avvento del Messia. Gli era stato rivelato dallo Spirito Santo
che avrebbe goduto della conoscenza del Messia prima di morire. Si recò nel tempio,
dove incontrò la sacra famiglia e, nonostante il peso degli anni, prese tra le
sue braccia Gesù, riconobbe e contemplò con i propri occhi il Messia e chiese
al Signore la grazia di congedare il “proprio servo”, felice di andarsene da
questa vita in pace.
Il
terzo brano è il sedicesimo sonetto tratto dal “Canzoniere”di Pretrarca: “Movesi
il vecchierel canuto e bianco”.
Il poeta offre un paragone tra se
stesso ed un vecchio che, sul finire
della sua esistenza terrena, trascinando il
vecchio corpo, si
allontana dalla sua famiglia e si reca in
pellegrinaggio a Roma per contemplare l’immagine
di Cristo impressa sul velo della Veronica.
Mentre il vecchio si muove spinto da
un desiderio religioso, egli (il poeta) cerca nei volti di altre donne
l’immagine della sua amata Laura,
contrapponendosi così, con gran tormento personale, alla ricerca spirituale
dell’anziano pellegrino.
Il
quarto brano è una riflessione sul “Canto
notturno di un pastore errante dell’Asia” di G. Leopardi.
In questa lirica il poeta offre una visione
triste della realtà, descrive la felicità, la gioia, la vita, ma egli vede una
realtà dolorosa ed affida le sue riflessioni a un pastore, un uomo semplice
e ingenuo proveniente da una terra lontana il quale analizza filosoficamente la
sua infelicità e quella universale, facendosi portavoce dell’assillo e dello
sgomento provati da ogni uomo di fronte a un’esistenza dolorosa di cui non si
comprende il significato. La luna è, ad un tempo, bella e così vicina da
invitare al dialogo, ma anche distante, gelida e muta: infatti, non risponde
mai agli angosciosi interrogativi posti dal pastore, apparendo totalmente indifferente
alle sofferenze dell’uomo.
Il
quinto brano è un sonetto di U.Foscolo-
“La sera” La
sera, come
termine della giornata che porta il
riposo, si configura per il poeta
come un’immagine di morte, intesa come “fatal quïete”, meritato riposo alle fatiche
del vivere. La
discesa delle ombre notturne dona ristoro a chi le contempla dopo
le angosce del giorno, e porta l’autore a pacate riflessioni su un riposo e una
pace più lunghi, quelli legati alla morte, vista come la fine naturale di tutti
i patimenti mondani. È una pausa di raccoglimento e di pace: la morte non è più
vista come nemico al quale opporre un tentativo di ribellione, “…dorme quello spirto guerrier ch’entro
mi rugge…” ma come
ricerca dell’eterno, della “fatal
quïete” che lo rasserena liberandolo dalla paura della morte stessa.
Il
sesto brano è “La Mia sera” di G.Pascoli In questa poesia il poeta crea un
parallelismo tra il temporale e la pace della sera, paragonando al temporale la
sua travagliata vita piena di sofferenze e di dolori (Il giorno fu pieno di lampi…) ed alla sera, i momenti tranquilli
della sua vita (ma ora verranno le
stelle…che pace la sera).
La natura viene quasi umanizzata: “Si devono aprire le stelle” come i fiori
a profumare l’aria. “E’ quell’infinita
tempesta finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora
e d’oro”.
“La
parte sì piccola i nidi nel giorno non l’ebbero intera”. Né il poeta ha avuto la felicità in gioventù, ma la sera
che gridi che voli. Suoni di campane …”e
mi dicono, Dormi! Mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi! mi
sembrano canti di culla … sentivo mia madre… poi nulla… sul far della sera”.
Il
settimo brano, una poesia di D. Gaetano De Rosa, Perla rara-preziosa, ci invita a fare delle riflessioni sulla vita.
Quando verrà/la mia ora/senza bagaglio
alcuno/partire dovrò. Partire./Ma una perla rara, preziosa/(un vero tesoro)/con
me porterò/La fede./La fede./Vale la pena/per essa/la vita/donare./Tutto per
tutto./Per comperar/quella perla./Per acquistar quel tesoro./La Vita Eterna.
La serata si è chiusa con
congratulazioni e applausi a Rocco.