giovedì 29 gennaio 2015

14° INCONTRO - 28/01/2015 – PROF. ROCCO BASILIO
“LA TERZA ETA’ NELLA POESIA”
            Il Prof. Rocco Basilio ha intrattenuto brillantemente i presenti spiegando, attraverso scritti illustri, come si affrontava, come era considerata nel passato e come è stata descritta nella storia la terza età.
Ha percorso un cammino attraverso il tempo, scegliendo sette brani che esprimono sentimenti comuni a tutti gli uomini, che parlano di bontà, di gioia, di sofferenza, di dolore, ma anche del sogno di ritornare bambini e della speranza di una vita migliore nell’al di là.
            -Il primo, tratto dalle “Metamorfosi” di Ovidio, racconta la storia di due vecchietti, Filemone e Bauci, due anziani coniugi, poverissimi ma generosi, che non indugiano ad ospitare due viandanti, Giove e Mercurio che, sotto mentite spoglie, cercavano un luogo per riposare. Tutti li avevano rifiutati: solo quei due vecchietti li ospitarono nella loro povera e misera capanna. Quando gli dei si rivelarono, chiesero ai due vecchietti di seguirli lungo il pendio della montagna affinché potessero salvarsi dalla punizione che avrebbero ricevuto i loro vicini. Quando si voltarono verso la valle videro che una palude l’aveva avvolta, solo la loro povera casa era rimasta in piedi, trasformata in un tempio ricoperto di oro e di marmi. Gli dei chiesero allora ai due vecchietti di esprimere un desiderio: ”Chiediamo di essere sacerdoti e guardiani del vostro tempio… ci porti via la stessa ora: non voglio vedere la tomba di mia moglie e neanche essere sepolto da lei”. Morirono insieme, mentre l’un l’altra si dicevano: “Addio, amore”.
            -Il secondo brano è tratto dal Vangelo di Luca- Ci racconta di Simeone, l’uomo giusto, vissuto leggendo i libri sacri, convinto dell’avvento del Messia. Gli era stato rivelato dallo Spirito Santo che avrebbe goduto della conoscenza del Messia prima di morire. Si recò nel tempio, dove incontrò la sacra famiglia e, nonostante il peso degli anni, prese tra le sue braccia Gesù, riconobbe e contemplò con i propri occhi il Messia e chiese al Signore la grazia di congedare il “proprio servo”, felice di andarsene da questa vita in pace.
            Il terzo brano è il sedicesimo sonetto tratto dal “Canzoniere”di Pretrarca: “Movesi il vecchierel canuto e bianco”.
Il poeta offre un paragone tra se stesso ed un vecchio che, sul finire della sua esistenza terrena, trascinando il vecchio corpo, si allontana dalla sua famiglia e si reca in pellegrinaggio a Roma per contemplare l’immagine di Cristo impressa sul velo della Veronica.
Mentre il vecchio si muove spinto da un desiderio religioso, egli (il poeta) cerca nei volti di altre donne l’immagine della sua amata Laura, contrapponendosi così, con gran tormento personale, alla ricerca spirituale dell’anziano pellegrino.
            Il quarto brano è una riflessione sul “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di G. Leopardi.
In questa lirica il poeta offre una visione triste della realtà, descrive la felicità, la gioia, la vita, ma egli vede una realtà dolorosa ed affida le sue riflessioni a un pastore, un uomo semplice e ingenuo proveniente da una terra lontana il quale analizza filosoficamente la sua infelicità e quella universale, facendosi portavoce dell’assillo e dello sgomento provati da ogni uomo di fronte a un’esistenza dolorosa di cui non si comprende il significato. La luna è, ad un tempo, bella e così vicina da invitare al dialogo, ma anche distante, gelida e muta: infatti, non risponde mai agli angosciosi interrogativi posti dal pastore, apparendo totalmente indifferente alle sofferenze dell’uomo.
            Il quinto brano è un sonetto di U.Foscolo- “La sera” La sera, come termine della giornata che porta il riposo, si configura per il poeta come un’immagine di morte, intesa come “fatal quïete”, meritato riposo alle fatiche del vivere. La discesa delle ombre notturne dona ristoro a chi le contempla dopo le angosce del giorno, e porta l’autore a pacate riflessioni su un riposo e una pace più lunghi, quelli legati alla morte, vista come la fine naturale di tutti i patimenti mondani. È una pausa di raccoglimento e di pace: la morte non è più vista come nemico al quale opporre un tentativo di ribellione, “dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge…” ma come ricerca dell’eterno, della “fatal quïete” che lo rasserena liberandolo dalla paura della morte stessa.
            Il sesto brano è “La Mia sera” di  G.Pascoli In questa poesia il poeta crea un parallelismo tra il temporale e la pace della sera, paragonando al temporale la sua travagliata vita piena di sofferenze e di dolori (Il giorno fu pieno di lampi…) ed alla sera, i momenti tranquilli della sua vita (ma ora verranno le stelle…che pace la sera).
La natura viene quasi umanizzata: “Si devono aprire le stelle” come i fiori a profumare l’aria. “E’ quell’infinita tempesta finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d’oro”.
“La parte sì piccola i nidi nel giorno non l’ebbero intera”. Né il poeta ha avuto la felicità in gioventù, ma la sera che gridi che voli. Suoni di campane …”e mi dicono, Dormi! Mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi! mi sembrano canti di culla … sentivo mia madre… poi nulla… sul far della sera”.
            Il settimo brano, una poesia di D. Gaetano De Rosa, Perla rara-preziosa, ci invita a fare delle riflessioni sulla vita. Quando verrà/la mia ora/senza bagaglio alcuno/partire dovrò. Partire./Ma una perla rara, preziosa/(un vero tesoro)/con me porterò/La fede./La fede./Vale la pena/per essa/la vita/donare./Tutto per tutto./Per comperar/quella perla./Per acquistar quel tesoro./La Vita Eterna.

La serata si è chiusa con congratulazioni e applausi a Rocco.

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