martedì 20 dicembre 2022
Natale 2022 - Festa di Auguri
Correlazione tra Parodontite, Diabete e malattie cardiovascolari
X° incontro- 14.12.2022 - Dott. Sergio Stefanile e dott.ssa Claudia Cavallo
Correlazione tra Parodontite, Diabete e malattie cardiovascolari.
La tematica , oggetto dell'incontro, è stata affrontata dai due dottori, Sergio e Claudia, che alternandosi hanno prima parlato della Parodontite, mettendone in evidenza le cause, i sintomi e la cura; poi l'hanno messa in relazione alle due patologie rappresentate dal diabete e dalle malattie cardiovascolari.
Il dott. Stefanile ha esordito definendo la parodontite come un'infiammazione dei tessuti parodontali, che determina una perdita d'attacco dei denti rispetto all'alveolo, con conseguente formazione di tasche parodontali, mobilità dentale, sanguinamento gengivale, ascessi e suppurazioni, fino alla perdita di uno o più denti.
Tale processo può essere reversibile se viene diagnosticato nelle sue prime fasi e curato adeguatamente.
Per quanto riguarda la prevenzione è molto importante effettuare una pulizia dentale professionale almeno due volte all'anno, spazzolare i denti e usare il filo interdentale giornalmente. I risciacqui antibatterici della bocca possono ridurre la formazione della placca batterica e delle malattie gengivali
L'igiene orale è molto importante anche per la salute generale dell'organismo. Secondo recenti studi la parodontite, oltre ai classici problemi alla dentatura, aumenta il rischio di subire malattie cardiovascolari e, nella gestante, di partorire prematuramente; è inoltre più grave nel paziente diabetico, affetto da morbo di Crohn o colpito da altre patologie che minano le difese immunitarie e/o i tessuti connettivi delle gengive.
La parodontite interessa a vari livelli di gravità circa tre quarti della popolazione adulta.
Il tutto, purtroppo, avviene spesso in maniera asintomatica, tanto che la parodontite può progredire ed aggravarsi senza quasi accorgersene. Purtroppo, tanto più tardivamente viene diagnosticata e tanto più la malattia è difficile da trattare; i costi ed i rischi degli interventi lievitano fino a portare, nei casi più gravi, all'irreversibilità del processo. Nello stadio più avanzato, per la perdita del suo naturale sostegno, si assiste alla caduta del dente.
Quali interventi sono utili per la prevenzione?
Il miglior mezzo di prevenzione della parodontite consiste nella pulizia regolare e accurata dei denti e degli interstizi, con l'uso non solo dello spazzolino, ma anche del filo interdentale.
Anche l'astensione dal fumo è d'aiuto, poiché le tossine in esso contenute facilitano l'azione lesiva dei batteri.
L'assicurazione sulla salute dei propri denti è completata da regolari controlli odontoiatrici, che permettono di riconoscere i segni precoci della parodontite e ad intraprendere interventi mirati.
Recenti studi hanno dimostrato che tra Parodontite e Diabete esiste un legame a doppio filo: il paziente affetto da diabete presenta rischio maggiore di sviluppare parodontite, e il paziente con diagnosi pregressa di parodontite ha più probabilità di sviluppare il diabete.
Il dott. Stefanile ha spiegato che il diabete e la parodontite sono tra loro strettamente correlati perché le alterazioni della risposta immunitaria dei tessuti gengivali che la patologia diabetica comporta sono correlate a disbiosi del biofilm batterico dentale (placca), che a sua volta determina l’insorgenza dell’infiammazione cronica responsabile della parodontite.
La dott.ssa Cavallo ha messo in evidenza come la Parodontite sia fortemente correlata alle malattie cardiovascolari:
incrementa il rischio di aterosclerosi e di rigidità arteriosa, un fenomeno che altera la normale funzione delle grandi arterie e che costituisce un fattore di rischio di malattie importanti;
può determinare sia eventi cerebrovascolari come attacco ischemico transitorio (TIA) o l’ictus, sia eventi cardiovascolari come l’angina, l’infarto e l’insufficienza cardiaca;
gli individui affetti da una parodontite che non sia quella iniziale di stadio I, hanno una maggiore probabilità di ipertensione pari al 20% (nei casi gravi la probabilità sale al 49%!).
Ad ogni modo, un trattamento parodontale non chirurgico determina importanti benefici sulla salute cardiovascolare. Infatti si riduce il rischio di infarto, migliora la funzione endoteliale, la pressione sanguigna sistolica e migliora sia il profilo lipidico che la rigidità dei vasi sanguigni.
Si comprende, quindi, quanto sia importante un corretto trattamento della Parodontite per la nostra salute!
M.R.C.
domenica 4 dicembre 2022
Fedro e l'attualità delle sue favole
IX° incontro - Prof. Rocco Basilio - Fedro e l’attualità delle sue favole - 7.12.2022 1
Brevi cenni sulla sua vita. (20/15 a.C. - 50 d.C)
Era originario della Macedonia, regione che si trova ad Est dell’Albania. Fu portato a Roma ancora adolescente come schiavo di Augusto. Questa era la sorte dei popoli vinti dai Romani, soprattutto dei più giovani che venivano assegnati ai capi militari, ai senatori, utilizzati al servizio dell’Imperatore o venduti nel mercato degli schiavi. Siccome era un giovane brillante, conosceva oltre alla sua lingua, il greco, anche la lingua latina, Augusto lo affrancò, cioè gli concesse la libertà e divenne un liberto con compiti in ambito amministrativo e anche come insegnante per i ragazzi delle famiglie povere. Scrisse favole che sono brevi racconti di fantasia aventi come protagonisti animali parlanti legati per lo più a ruoli fissi: il lupo rappresenta la cattiveria, il leone la forza, la volpe l’astuzia ecc.. Il racconto contiene un insegnamento con lo scopo pratico di proporre o denunciare determinati comportamenti umani. Viene descritto il mondo dei diseredati e degli emarginati, osservato dal punto di vista degli umili che sono soggetti e sfruttati, maltrattati dai potenti senza la possibilità di potersi un giorno liberare da questo sfruttamento. E proprio per questo le favole non presentano un progetto di cambiamento della società ma si limitano in genere all’amara denuncia dei soprusi nei confronti dei deboli che sono costretti a vivere sfruttati dai prepotenti che fanno valere non la ragione ma la legge del più forte. Come già accennato i protagonisti delle favole sono quasi sempre gli animali per il semplice motivo di evitare di essere perseguitati e citati in giudizio. Infatti era molto pericoloso parlare apertamente dei soprusi dei potenti che si sentivano presi di mira dai contenuti delle favole.
Per tali motivi Fedro fu perseguitato e denunciato dal potente e crudele prefetto del pretorio Seiano che comandava i PRETORIANI addetti alla protezione dell’imperatore Tiberio. Si salvò grazie alla sostituzione di Seiano e all’aiuto di ricchi liberti ai quali Fedro dedicò gli ultimi tre libri delle favole. Concludendo questa piccola introduzione ripeto che le favole di FEDRO sono una ALLEGORIA del modo umano, cioè indicano una cosa diversa da quella che letteralmente descrivono. Come già detto il “lupo” è una rappresentazione non del singolo uomo prepotente ma di tutti gli uomini prepotenti e così per gli altri animali delle favole. La figura del lupo è passata nei secoli come l’animale cattivo per eccellenza ed è stato utilizzato nei racconti per i bambini per es. Cappuccetto Rosso. Anche nel Vangelo di Matteo al lupo è attribuita la parte del malvagio nella frase in cui vengono riportate le parole di Gesù “vi mando come pecore in mezzo ai lupi”. Anche nella vita di S. Francesco si parla del lupo cattivo di Gubbio reso mansueto dalle parole del santo.
Voglio brevemente accennare che nello stesso periodo in cui visse Fedro, in Palestina Gesù predicava alle folle utilizzando spesso le parabole, ben42, che contenevano insegnamenti morali sotto forma di racconti: per es. il buon Smaritano, i vignaioli, il seminatore ecc., più facilmente compresibili dalle persone semplici e senza istruzione.La parabola, in genere, viene utilizzata solo dagli evangelisti nella narrazione degli episodi della vita e della predicazione di Gesù. Al di fuori dei Vangeli è difficile trovare altri testi nei quali è presente l’utilizzo di questo mezzo di comunicazione.
Ora passiamo alla lettura di alcune favole di Fedro.
IL LUPO E L’AGNELLO
In questa favola, che è tra le più conosciute di Fedro, si vuol condannare la prepotenza malvagia che con falsi motivi colpisce l’innocente.
Il lupo e l’agnello, spinti dalla sete si erano recati presso lo stesso ruscello; il lupo stava più in alto e l’agnello molto più giù. Subito il lupo, spinto da insaziabile ingordigia, inventò un pretesto per litigare: -Perché, disse, mi hai intorbidato l’acqua mentre bevevo? L’agnello tutto tremante gli rispose: - di grazia, come potrei fare ciò di cui ti lamenti, o lupo? L’acqua scorre da te verso i miei sorsi. Colpito dalla forza della verità il lupo replicò: - Sei mesi fa tu hai parlato male di me. - In verità io non ero ancora nato, rispose l’agnello. -Allora tuo padre, per Giove, ha sparlato di me. E subito lo afferra e lo sbrana ingiustamente.
Questa favola è stata ripresa dal poeta romanesco TRILUSSA (Carlo Alberto Salustri 1871-1950) nel brano che si intitola L’agnello infurbito:
Vidde, un lupo che beveva in un ruscello
dall’andra parte de la riva
l’immancabbile Agnello
-Perché nun venghi qui? – je chiese er lupo-
L’acqua in quer punto è torbida e cattiva
E un porco ce fa spesso er semicupo.
Da me che nun ce bazzica er bestiame,
er ruscello è limpido e pulito…-
L’agnello disse: -Accetterò l’invito
Quanno avrò sete e tu nun avrai fame.
LA VOLPE E L’UVA
Una volpe affamata, spiccando salti con tutte le sue forze, cercava di afferrare l’uva di un alto pergolato. Ma, poiché non riusciva a prenderla, si allontanò dicendo: non è ancora matura, non me la voglio mangiare ancora acerba.
Coloro che disprezzano a parole quelle cose che non riescono a fare debbono riferire a se stessi questo episodio.
IL CERVO ALLA FONTE
Questa narrazione insegna che le cose disprezzate tornano spesso più utili di quelle lodate.
Un cervo, dopo avere bevuto, rimase presso la fonte e nello specchio dell'acqua vide la sua immagine. E lì, mentre pieno di ammirazione lodava le corna ramose e criticava l'eccessiva sottigliezza delle zampe, atterrito dalle voci improvvise dei cacciatori, si mise a scappare per i campi e con rapida corsa sfuggì ai cani. Poi l'animale si nascose nel bosco, dove le sue corna si impigliarono tra i rami degli alberi, e, così trattenuto, fu sbranato a poco a poco dai morsi feroci dei cani.
Allora, sul punto di morire, dicono che abbia pronunciato queste parole: "Me infelice! Solo ora capisco quanto mi siano state utili le cose che disprezzavo, e quanto danno mi abbiano recato quelle che lodavo!"
I DIFETTI DEGLI UOMINI
Il padre Giove ci ha caricati di una bisaccia con due tasche: la tasca posta dietro le spalle è piena dei propri difetti, mentre quella posta davanti, molto più pesante, è ricolma dei difetti degli altri. Per questo motivo non vediamo i nostri difetti, ma appena gli altri sbagliano immediatamente li condanniamo.
La morale di questa favola è molto chiara: siamo indulgenti con noi stessi ma molto inflessibili nel vedere e giudicare i comportamenti degli altri.
Anche nel Vangelo c’è scritto che vediamo la pagliuzza negli occhi degli altri e non vediamo la trave nei nostri occhi.
IL GALLETTO E LA PERLA
Un galletto mentre razzolava in un letamaio in cerca di cibo trovò una perla. Pieno di meraviglia esclamò: In quale posto molto vile giaci tu che sei di così grande valore! Se ti avesse trovato qualcuno esperto del tuo valore immediatamente saresti tornata al tuo antico splendore. Il fatto che ti abbia trovato io che preferisco di più il cibo non è di nessun giovamento né a me, né a te.
Racconto questa favola per coloro che non mi comprendono.
Fedro con questa favoletta si mostra dispiaciuto perché il suo lavoro non era tenuto in nessuna considerazione da coloro che erano grandi oratori, filosofi ed eccellenti poeti.
LA VOLPE E LA CICOGNA
Non bisogna recare offesa a nessun: ma se qualcuno avrà recato offesa questa breve favola ci insegna che deve essere punito con uguale misura. ( la legge del taglione )
Si racconta che una volpe abbia invitato per prima a cena una cicogna alla quale aveva offerto un cibo liquido, posto in piatto largo e poco profondo (come le nostre vecchie spase), che la cicogna, pur avendo fame, non riuscì in nessun modo a prendere, a causa del lungo becco. La cicogna avendo a sua volta invitata la volpe pose il cibo ben triturato in una bottiglia dal lungo collo nel quale introducendo il becco mangiò a sazietà mentre la volpe si tormenta per la fame. E leccando inutilmente il collo della bottiglia si sentì dire dalla cicogna, che si accingeva a migrare,: ciascuno deve sopportare con animo sereno ciò di cui ha dato l’esempio. Come a dire: chi la fa se l’aspetti.
Nel Vangelo: non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te.
LA RANA E IL BUE
Con questa favola l’autore non vuole colpire la giusta aspirazione degli uomini a progredire ed a migliorare la propria posizione, ma vuol colpire il vizio dell’invidia che rode il fegato dell’invidioso e gli rende la vita un inferno.
Il povero che vuole imitare il potente va in rovina.
Una volta una rana vide un bue in un prato. E spinta dall’invidia per tanta grandezza gonfiò la sua pelle rugosa, poi chiese ai suoi figli se fosse diventata più grossa del bue. Quelli risposero di no. Di nuovo con uno sforzo maggiore di quello di prima richiese chi dei due fosse il più grosso. Quelli risposero che era il bue. Da ultimo molto arrabbiata con un supremo sforzo, mentre tenta di gonfiarsi, scoppiò e giacque morta.
IL CAVALLO E IL CINGHIALE
Un cinghiale rotolandosi intorbidava l’acqua con la quale il cavallo era solito spegnere la sua sete. Da ciò scaturì una lite. Il cavallo dal piede agile, adirato contro il cinghiale, chiese l’aiuto dell’uomo e portandolo in groppa ritornò dal nemico (il cinghiale). Il cavaliere dopo che ebbe ucciso con le frecce il cinghiale si tramanda che abbia detto: sono contento di averti aiutato, mosso dalle tue preghiere, infatti ho preso il cinghiale ed ho anche compreso quanto tu mi sia utile. E così lo costrinse, sebbene contro voglia, a subire il morso. Allora quello con tristezza disse: - mentre io, da pazzo, ho cercato la vendetta per un piccola cosa, ho trovato la schiavitù.
Questa favola ammonisce coloro che sono facili all’ira a sopportare un’offesa piuttosto che darsi in
Morale della favola: chi si lascia trasportare dall’ira perde la lucidità del pensiero abbassandosi al livello dei bruti con tutte le conseguenze disastrose che ne derivano-
IL LUPO E LA GRU
Sbaglia chi desidera dai malvagi la ricompensa di un beneficio prestato. Infatti sbaglia due volte: primo, perché aiuta gli indegni, in secondo luogo perché non può uscirne senza danno. UN lupo, poiché un osso divorato si era conficcato nella gola, vinto da un dolore atroce, cominciò ad adescare ad uno d uno gli animali con la promessa di una ricompensa affinché lo liberassero da quel malanno. Finalmente una gru si lasciò convincere dal giuramento e, introducendo il lungo collo nelle fauci del lupo, portò a termine la pericolosa operazione, cioè l’estrazione dell’osso. Allora la gru chiedendogli la ricompensa pattuita si sentì rispondere dal lupo: -Sei un’ingrata, tu che hai tirato fuori dalla mia bocca il tuo collo sano e salvo osi chiedermi anche la ricompensa!
LA VOLPE E IL CORVO
Colui che si compiace di essere lodato con parole non sincere di solito sconta tale vanità con vergogna e pentimento.
Un corvo, stando appollaiato in cima ad un alto albero, si accingeva a mangiare il formaggio che aveva rubato dal davanzale di una finestra. Una volpe lo vide e cominciò a dirgli: - O corvo come sono splendide le tue penne! E quanto è bello il tuo corpo e il tuo aspetto! Se tu avessi una voce pari alla tua bellezza nessun uccello sarebbe superiore a te. Ed egli, da stolto, volendo far sentire la sua voce aprì il becco e lasciò cadere il formaggio che la furba volpe afferrò con i suoi denti aguzzi. Solo allora lo stupido corvo accortosi dell’inganno incominciò a lamentarsi per la sua ingenuità e vanità.
IL LUPO E IL CANE
Quanto sia dolce la libertà lo dimostrerò brevemente con questo racconto.
Un lupo indebolito a causa della fame, per caso, incontrò un cane ben nutrito; appena si furono fermati per salutarsi scambievolmente: - Di grazia, chiese il lupo, da dove ti viene tanto splendore e con quale cibo ti sei tanto ingrassato? Io, che sono molto più forte di te, mi muoio di fame. Il cane con semplicità:- Anche tu potresti godere dello stesso mio trattamento a condizione che tu offra al mio padrone lo stesso servizio che gli offro io. –E quale sarebbe? - gli chiese. Che tu sia custode e difenda di notte la casa del padrone. Eccomi pronto: ora nel bosco soffro la neve e la pioggia conducendo una vita difficile. Quanto sarebbe per me più facile vivere al riparo in una casa e potermi saziare dicibo senza far nulla.“ Vieni, dunque, con me “. Mentre si avviano il lupo osserva il collo del cane spelacchiato a causa della catena.
-Da dove ti proviene questo, amico? - Non è niente. – Tuttavia, se vuoi, me lo devi dire.
“Affinché io appaia più feroce di giorno mi legano per farmi riposare e faccia la guardia di notte: di sera mi sciolgono e, come hai visto, vado dove mi pare. Mi si porta il pane senza che io lo chieda; il padrone mi dà le ossa del suo pranzo e i servi mi gettano i bocconi ed il companatico che ciascuno rifiuta. Così senza far niente la mia pancia si riempie. – Ma sei hai voglia di andartene lo puoi fare?
“Non del tutto”, rispose. – Goditi pure ciò che lodi, o cane. Non voglio neppure un regno se non posso essere libero di me.
In sostanza il lupo preferisce soffrire la fame ed essere libero. Fedro parla per esperienza personale.
A proposito di cani riporto il detto popolare: Chi vole esse ben guardat’ att’ d’sciun e can’ abbinghiat.
Vi è anche un racconto che mi narrava mio nonno riferito ad un padrone di Oppido che si dimenticava di portare la crusca per i cani. Al pastore che lamentava la mancanza di cibo per i cani soleva dire: scesser a gridd…. Ecc.
L’intervista ad un emigrante africano di La 7 del 29 ott.2022: in Italia ho scoperto quanto è bella la libertà, dopo le torture sofferte in Libia dalle spietate guardie dei centri di raccolta, simili ai lager nazisti.
LA VACCA, LA CAPRETTA, LA PECORA E IL LEONE
(la vacca, la capra e la pecora sono la personificazione della debolezza e della stupidità, il leone la malvagità e la prepotenza)
Mai è sicura l’alleanza con chi è più forte: lo dimostra il contenuto di questa favola.
La vacca, la capretta e la pecora, che è solita sopportare i soprusi, fecero alleanza nel bosco con il leone. Questi avevano catturato un grosso cervo e il leone, dopo ver fatto le parti, disse: - prendo io la prima parte perché sono chiamato leone, poi mi darete la seconda perché sono forte; poi mi spetta anche la terza perché sono il più forte di tutti; sarà conciato male se qualcuno oserà toccare la quarta. Così il malvagio leone si mangiò tutta la preda.
L’ASINO E IL VECCHIO PASTORE
Quando cambia l’IMPERATORE, molto spesso per i poveracci non cambia nulla se non il modo di essere di chi comanda. Che sia vero lo dimostra questa breve favola.
Un vecchio pauroso faceva pascolare in un prato il suo asinello. Atterrito dall’improvviso gridare dei nemici, esortava l’asino a fuggire per non farsi prendere. Ma quello senza fretta: “Dimmi, credi che il vincitore mi metterà due basti?” Il vecchio rispose di no. “Allora, purché mi si carichi di un solo basto, cosa mi importa chi devo servire?”.
Questa è una delle favole più pessimistiche di FEDRO, perché nega perfino la speranza di un cambiamento. Essa suona come un invito alla rassegnazione e riproduce l’atteggiamento di chi è convinto, comprese molte persone anche di oggi, che con qualunque governo le proprie condizioni non potranno migliorare.
Rocco Basilio
mercoledì 30 novembre 2022
Durante, detto Dante.
VIII° incontro - 30.11.2022
Durante, detto DANTE - Prof. Francesco Saverio Lioi
Serata culturale sulla personalità e la vita di Dante Alighieri.
1265 Nasce Dante a Firenze, nel mese di maggio nella casa di famiglia, nel sestiere di San Pier Maggiore. Il padre Alighiero Alighieri, appartenente a una famiglia di parte guelfa, è impegnato in piccole attività finanziarie, la madre è Bella di Durante degli Abati. Viene battezzato con il nome di Durante, che il poeta non userà mai, ma si servirà sempre del diminutivo Dante. Boccaccio delinea un ritratto fisico di Dante: volto lungo, naso aquilino, occhi grandi e mascelle sporgenti in un accentuato prognatismo ( sporgenza in avanti della mascella dal labro di sotto era quel di sopra avanzato). Ha modo di studiare il latino, lingua che in seguito approfondirà sotto la guida di Brunetto Latini, letterato e uomo politico fiorentino. Dell’origine della sua famiglia Dante parla più volte nella Divina Commedia (il trisavolo Cacciaguida) e per bocca di Brunetto Latini dice che i suoi avi discendono dagli antichi romani, ( la pianta in cui riviva la semenza santa di quei Romani ) ma queste erano d’altra parte le ambizioni della città di Firenze.
1270 Muore la madre Bella (un ricordo di lei in Inferno. VIII, 43; XXIII, 37-42, e Pd. XXIII, 1-3) Dante aveva appena 5 anni. Di Gabriella, detta Monna Bella degli Abati, si hanno scarse notizie. Presumibilmente apparteneva al casato fiorentino degli Abati. Il padre di Monna Bella doveva essere il giudice fiorentino Durante degli Abati, da cui il poeta avrebbe preso il nome. Sposata con Alighiero Alighieri morì quando il figlio Dante aveva cinque anni.
Boccaccio nella Vita di Dante Alighieri racconta che Monna Bella prima di partorire il poeta, in sogno, ebbe la visione profetica del figlio nato sotto un alloro nei pressi di una fonte. Quando il bambino nacque si nutrì delle foglie che cadevano dall’albero e si dissetò dell’acqua della fonte fino a trasformarsi in pavone. Il sogno venne interpretato come preannunzio della gloria poetica del bambino.
1272 Il padre Alighiero Alighieri sposa in seconde nozze Lapa Cialuffi, figlia di un ricco mercante e finanziere, la spietata e perfida noverca, madre dei fratellastri del poeta Francesco e Tana. Lapa è ipocoristico (da hypokorìzomai, chiamo con voce carezzevole), diminutivo di Giacoma o Iacopa.
1274 Primo incontro con Beatrice, figlia di Folco Portinari, esponente di una famiglia di spicco, dedita al commercio e alla finanza. Beatrice qualche anno dopo andrà sposa a Simone dei Bardi.
1277 Un atto prematrimoniale (secondo le usanze del tempo) lega Dante a Gemma Donati, bambina di una influente famiglia aristocratica. Il matrimonio avverrà tra il 1283 e il 1285. Dall’unione nasceranno i figli Pietro, Iacopo, Antonia e, forse, Giovanni.
1281 Muore il padre, Dante diventa capofamiglia. Il padre di Dante era stato un uomo di affari che aveva cercato di far prosperare i suoi interessi e aveva fatto in modo di non provocare contrasti con il mondo circostante.
1282 Dante ottiene la carica di Capitano del popolo, capo cioè del movimento di reazione al governo tirannico dei ghibellini in città, naturale rappresentante delle forze popolari.
1283 Secondo incontro con Beatrice in una Via di Firenze. (Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia) Inizia a scrivere poesie a tema amoroso, che lo faranno conoscere nell’ambiente letterario fiorentino e toscano. Per lei Dante scrive la Vita Nova. un prosimetro composto di prosa e poesie.
1283 Diviene responsabile della sua famiglia non piccola. Il padre non aveva lasciato un patrimonio considerevole, ma debiti. Non segue l’attività del padre Alighiero, cioè mercante e cambiavalute (mestiere esercitato con mezzi leciti ed illeciti), mostra totale disinteresse per il civil negozio.
1285 A 20 anni fa parte dell’esercito fiorentino, in aiuto dei senesi contro Arezzo, come feditore (feritore), cioè come componente del plotone di assalto a cavallo. Era d’obbligo per i giovani della buona società fiorentina, alla quale apparteneva, di far parte dell’esercito cittadino (Vita Nova IX 1 – 4)
1287 Breve soggiorno a Bologna, documentato dal sonetto sulla Torre Garisenda, seguendo la poetica del periodo dello stilnovismo bolognese, scrive poesie. Durante il viaggio per Bologna chiede ospitalità agli Alberti presso la rocca di Cerbaia, ma fu respinto.
Dante, istruito nell’arte della guerra, è sul campo di battaglia e partecipa all’assedio di Arezzo. E’ feditore nella battaglia di Campaldino dell’11 giugno del1287, battaglia che sancì nella piana la supremazia dei Guelfi fiorentini sui Ghibellini di Arezzo e di Caprona il 16 agosto.
1289 L’11 giugno partecipa alla battaglia di Campaldino, in cui i Guelfi fiorentini sconfiggono i Ghibellini di Arezzo
1290 Muore Beatrice. Nasce il progetto della Vita Nova, opera composta in liriche e commenti in prosa, (Prosimetro) terminata intorno al 1295, in cui celebra l’amore per la donna, La concezione della figura femminile in Dante nella Vita Nova è completamente diversa dalla donna oggetto del piacere. Dante concepisce l’amore come strumento per avvicinarsi a Dio, critica la libertà dei rapporti sessuali, simbolo di degenerazione morale. La donna non deve essere oggetto di piacere terreno, ma tramite fra uomo e Dio, deve essere colei che attraverso un amore sublimato permette agli uomini di poter entrare nella grazia divina e ricevere la salvezza eterna.
1290 Ritratto di Dante di Cimabue nella Cappella del Bargello. E’ il più bel ritratto e il più veritiero. I due si conoscevano (alcuni critici oggi parlano di stretta amicizia) e Dante frequenta la Bottega di Cimabue, dove impara l’arte del disegno, come dice nella Vita Nova. Il profilo di Dante è bello e nobile, il naso è aquilino, ma ben proporzionato. I pittori successivi hanno accentuato questo elemento spesso in modo eccessivo.
1395 Dante Guelfo bianco, ostile all’influenza del Papa nella politica fiorentina. Inizia il suo impegno in politica e si iscrive all’Arte dei Medici e degli Speziali. L’iscrizione ad un’arte era necessaria per ricoprire cariche politiche. La vita politica fiorentina in quegli’anni si polarizzava nel confronto fra le famiglie dei Cerchi, guelfi bianchi, ostili all’influenza papale in città, parte cui aderisce Dante, e dei Donati, guelfi neri, filo-papali, che chiedevano l’aiuto del Papa per il loro potere in Firenze.
1300 Guido Cavalcanti, su consiglio di Dante, che in quel periodo (fra giugno e agosto) era Priore, viene riammesso fra i cittadini di Firenze. Cavalcanti, guelfo di parte bianca, chiamato da Dante nella Vita Nova «primo amico», era stato confinato a Sarzana, (in provincia di La Spezia, dove contrasse la malaria) per la sua azione politica contro i Guelfi Neri, il cui capo era Corso Donato, durante il conflitto fra Bianchi e Neri. Dante è forse a Roma in occasione del primo Giubileo indetto da Bonifacio VIII.
1300 Fra giugno e agosto ricopre e Firenze la carica di Priore. I Priori erano rappresentanti delle Arti, chiamati in numero di sei, a guidare il comune per due mesi. Al potere in quel periodo era il partito dei Bianchi.
1301 In ottobre è inviato a Roma tra gli ambasciatori di Firenze presso papa Bonifacio VIII, per sbrogliare la questione delle lotte tra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri. Due dei tre ambasciatori fiorentini sono congedati per riferire a Firenze le volontà del Papa, Dante è trattenuto a Roma per impedire che possa adoperarsi per far fallire il piano affidato a Carlo di Valois, che entra a Firenze il 1-11 e favorisce l’ascesa dei Guelfi Neri al potere, avversari di Dante che faceva parte dei Guelfi Bianchi.. A novembre, mentre lui è lontano da Firenze, i Guelfi Neri prendono il potere a Firenze. La sua contrarietà alla politica papale verso Firenze sarà un motivo della condanna all’esilio. I Guelfi Neri, infatti, condannano all’esilio i loro avversari Guelfi Bianchi, fra cui Dante, che si trovava ancora a Roma. Nei primi tempi dell’esilio Egli scrive lettere più volte implorando il suo ritorno a Firenze, non solo ai detentori del potere, ma anche al popolo tutto. Un’epistola assai lunga inizia in questo modo: Popule mee, quid feci tibi?
Inizia a studiare i dialetti d’Italia.
Dante durante le sue missioni politiche nelle città italiane in cui era inviato, era sempre un attento indagatore e studioso del dialetto che in quel luogo si parlava. A Roma non si comportò in modo diverso. A Roma, dove affluiva gente da tutta l’Italia per il Giubileo, ebbe modo di conoscere la gente che vi affluiva non parlava allo stesso modo, aveva cadenza e pronunzia diversa pur parlando dialetti che derivavano dal latina. Così Dante comincia a rendersi conto della varietà dei volgari che si parlavano in Italia, e giudica il volgare romano un tristiloquium e tra i peggiori che lui conosca (De V.E. I,XI).
Dante aveva lottato, per una patria repubblicana ed ora si trova a dover peregrinare per tutta l’Italia ghibellina, postulando la protezione e l’ospitalità dei Principi. I primi anni dell’esilio vedono Dante impegnato con gli altri fuoriusciti fiorentini esiliati dai Guelfi Neri, costituiti dai Guelfi Bianchi e Ghibellini, i quali fanno causa comune nel progetto di rientrare a Firenze con le armi, ma furono sconfitti ogni volta, definitivamente a Lastra di Firenze il 20 luglio 1304. Dante non tornerà mai a Firenze. La collaborazione di Dante con i Ghibellini per il ritorno in patria farà definire il poeta Ghibellin fuggiasco da Ugo Foscolo.
1302 Il 27 gennaio il nuovo governo dei Guelfi Neri fiorentini emana la sentenza che lo condanna in contumacia ad una multa per baratteria (corruzione e appropriazione indebita di denaro pubblico) inique pratiche estorsive ed illeciti profitti derivati da altri incarichi pubblici. Il reato politico imputato a Dante fu l’abuso di potere nelle sue funzioni istituzionali per aver avvantaggiato i Guelfi Bianchi a danno dei Neri. Dante non si presenta al processo e rifiuta a pagare la multa di 5000 fiorini e di addossarsi reati mai commessi. A Firenze se per l’imputato, nonostante fosse stato avvisato in tutti i modi possibili, che non compariva al processo, vigeva una regola ferrea: anche se contumace, veniva equiparato a un reo confesso, Il 10 marzo una nuova sentenza lo condanna alla pena di morte sul rogo e la famiglia viene bandita da Firenze. La moglie Gemma e la figlia rimasero a Firenze, le donne non erano coinvolte nella condanna, ma non è escluso che Gemma, dopo qualche tempo, seguisse il marito.
( Dante Allegherii de sextu Sancti Petri Maioris, commisit per se vel alium baractrerias, lucra illicita, iniquas extorsiones in pecunia vel in rebus, igne comburatur sic quod moriatur, in hiis scriptis sententialiter condemnamus).
Nel 1302 a Firenze furono pronunciate 557 condanne a morte in piccola parte eseguite, perché i condannati erano fuggiti dalla città, fra i quali Dante in ambasceria a Roma, da dove gli si impedì il ritorno a Firenze. Dante apprende la notizia della condanna durante il ritorno, a Siena. Non rivedrà mai più Firenze. Dante fu condannato il 18-1-1302 per baratteria, illeciti arricchimenti ed estorsioni perché ex Priore e per aver approvato stanziamenti per azioni contro papa Bonifacio VIII. Il 10 marzo fu condannato come reo confesso per non essersi presentato al processo e non aver pagato la multa di 5000 fiorini.
Tu proverai sì come sa di sale // lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale. (Cacciaguida, Pd. XVII, 58 – 60)
Il pane e le scale altrui pur essendo elementi fisici della sofferenza che accompagnerà Dante durante l’esilio, diventano i termini fortemente allusivi di un profondo dramma psichico-morale che tormenterà sempre il poeta per venti anni .
1303. Il partito dei Bianchi fuoriusciti presso cui Dante ricopriva un ruolo direttivo trova ospitalità ad Arezzo e Forlì. Alla ricerca di protezione, frequenta anche i castelli dei conti Guidi nel Casentino. L’8 giugno 1302 partecipa alla riunione dei Guelfi bianchi e Ghibellini che si tiene a San Godenzo in Mugello, per organizzare azioni militari contro i Neri per rientrare in Firenze. Fallito il tentativo, Dante, è costretto a chiudersi a più riprese nelle terre dei Conti Guidi prima di proseguire per Verona. Uno dei, primi luoghi in cui si rifugiò fu il castello di Romena nel Casentino, dove ebbe ospitalità dai conti Guidi.
1303-04 E’ inviato dai Bianchi in missione diplomatica a Verona, presso Bartolomeo della Scala, dove resta una diecina di mesi, per il fascino della Biblioteca Capitolare di Verona, nella quale ebbe modo di sfogliare quei libri che non avrebbe trovato in nessuna altra città. Si trattiene presso gli Scaligeri per dieci mesi e unisce conoscenze letterarie e lavoro intellettuale al lavoro diplomatico per il quale era stato mandato. In modo tale gli studi veronesi non furono fine a se stessi: nasce qui l’idea del Convivio, non è neppure inverosimile che egli abbia cominciato a scriverlo a Verona. Gli incarichi diplomatici affidatogli da Bartolomeo portati a termine nelle città venete (Padova, Venezia, Treviso) ebbero il loro peso e una diretta conoscenza della varietà dei dialetti dei popoli veneti italiani, ma in nessuno di essi trovava la caratteristica di illustre. Nell’estate del 1304 si stabilisce a Bologna e lavora al Convivio e al De vulgari eloquentia.: opere nate dalla, preoccupazione di farsi conoscere come uomo di sapere e non solo come poeta d’amore dai suoi protettori che di volta in volta lo ospitavano. Il latino nel De vulgari si manifesta la volontà di farsi apprezzare come scrittore erudita e «grammaticale.»
1305 – 06. Separatosi dai compagni d’esilio di parte bianca si rifugia a Bologna, dove per vivere impartisce lezioni private di latino agli studenti di grammatica e di eloquenza. Trovò anche a Bologna un regime amico per i Bianchi. Nel 1306 però anche a Bologna si impose la fazione più radicale del guelfismo nero, ostile a Dante, che fuggì da Bologna nel mese di ottobre e si rifugiò in Lunigiana presso Moroello Malaspina, anche per un tentativo di far ritornare Gemma a Firenze. Qui si trattiene per non modicum tempus. Diventa così un exul immeritus. Invia a Firenze epistole in cui chiede il perdono dei suoi concittadini nella speranza di poter rientrare in città. Triste condizione di esule e desiderio di porvi fine, quindi, con un pentimento insincero inoltra domanda di perdono, ma dai Guelfi Neri fiorentini arrivano segnali negativi, che non accettano la domanda di perdono. La sua richiesta non viene accolta e rimane in Lunigiana con Firenze nei desideri. Tra il 1306 e 1307 alla corte dei Malaspina Dante si sente finalmente un intellettuale e un poeta e qui comincia a scrivere la Divina Commedia. Stretto rapporto tra creatività e tra vita vissuta nella Divina Ccommedia.
1906 A Sarzana sottoscrive come procuratore del Marchese Franceschino Malaspina la pace col vescovo di Luni, per dirimere annose controversie per il possesso di alcuni castelli della Lunigiana. Dante si recò nel palazzo vescovile e concluse la pace fra i contendenti.
1307 Lascia la Lunigiana per il Casentino, dove soggiorna presso i conti Guidi
1308 Vive a Lucca, finisce l’Inferno che sarà pubblicato bel 1314 ed inizia il Purgatorio. Il 31 marzo 1309 è costretto a lasciare Lucca per un editto emanato dal comune della città, anche questa volta dai Guelfi Neri. A Lucca vi era una biblioteca utile ai suoi studi
Dante è bandito da Firenze nel 1302 Bologna nel 1306 Lucca nel 1309, sempre perseguitato dai Guelfi Neri, suoi acerrimi nemici politici..
1309 A Lucca ha un’amicizia con una tal Gentucca, forse nome allegorico per indicare la parte bianca di Firenze. Va forse nella Riviera Ligure e in Alto Adige. Probabile soggiorno in Francia, forse ad Avignone, sede papale, meno probabilmente a Parigi,
1310 A luglio è a Forlì (Fori Livii tunc agens, dice Flavio Biondi), dove si riunisce ai vecchi compagni di lotta, Guelfi bianchi e Ghibellini. Trascorre forse la seconda metà dell’anno nel Casentino presso i conti Guidi , in autunno Enrico VII di Lussemburgo, re di Germania, scende in Italia accendendo le speranze di Dante nella rinascita di un impero in grado di porre fine alle accese lotte politiche nella Penisola. Scrive un’epistola , quasi un manifesto filo imperiale a tutti e ai singoli, al re d’Italia (Enrico VII) il titolo di re d’Italia era onorifico per l’Imperatore, e all’intera classe dirigente della penisola invitando tutti a una pacificazione generale resa possibile da quel sole che stava spuntando, cioè dell’Imperatore.
1311 Dante fu ospite nel castello di Poppi, presso il conte guido da Battifolle e della sua sposa Gherardesca, figlia del conte Ugolino. Sempre nel 1311 Dante scrisse una lettera ai fiorentini, chiamandoli scelleratissimi per spingerli a sottomettersi all’imperatore Enrico VII, estremo tentativo di veder riabilitato il suo ideale politico.
1311 il Comune di Firenze vara un’amnistia per i fuorusciti, esclusi i Ghibellini e una parte dei Guelfi Bianchi. Dante guelfo bianco, fu escluso perché condannato per motivi politici
1311 Probabile soggiorno a Genova, dove è in contrasto con i Doria, ghibellini signori della città. I servitori di Branca Doria bastonano Dante per vendicare l’ingiurioso trattamento riservato al loro signore nell’Inferno XXXIII 141. Branca Doria è condannato da Dante all’Inferno, nella Tolomea, zona dei traditori degli ospiti quando il Doria era ancora vivo, (e mangia e bee e dorme e veste panni) per aver ucciso il suocero a tradimento durante un banchetto. Per questo Dante viene bastonato in pubblico dai servi del Doria.
1311 – 1312 Enrico di Lussemburgo viene incoronato re d’Italia a Milano il 6 gennaio 1311, forse è presente Dante e si incontra con Enrico. Tra marzo e maggio Dante è nel Casentino. Nell’inverno 1311-1312 è a Genova dove Enrico ha posto la sua corte; nella primavera del 1312 si sposta a Pisa e si dedica alla scrittura del De Monarchia. Il 29 giugno 1312 Enrico a Roma viene incoronato Imperatore. Dante in tutte le sue opere si prefigge di essere nuovo ed originale non solo in quelle in versi, ma anche in quelle in prosa. Infatti in Monarchia I,1,3 dice: desidero intemptatas ab aliis ostendare veritates.
1313 Muore Enrico a Buonconvento presso Siena, per Dante è la fine del sogno della stabilizzazione della politica italiana ed europea. Resta a Pisa presso la corte imperiale fino a settembre.
1314 Epistola veemente ai cardinali italiani riuniti in conclave a Carpentras Avignone perché lottino per riportare a Roma la sede papale. Dante è forse a Verona presso Can Grande della Scala. I figli maschi lasciano Firenze e lo seguono a Verona. Ha sussidi da parte della famiglia e dai nipoti di Gemma Donati
1315 Firenze emana un provvedimento di amnistia con revoca del bando. L’amnistiato doveva pagare una tassa di 12 denari, presentarsi in San Giovanni vestito con un sacco, una candela in mano e chiedere perdono, stare in carcere per un certo periodo e portare per un certo tempo un particolare copricapo per essere individuati come amnistiati. Dante fu invitato ad aderire. Rifiuta di entrare in Firenze come reo confesso, perché ritiene vergognoso pagare per essere amnistiato e il sottoporsi a quella cerimonia. I ribelli condannati a morte dovevano presentarsi davanti al vicario e pagare e chiedere perdono. Dante non si presentò, e per non aver ottemperato alle disposizioni del Comune, venne condannato per la seconda volta a morte per decapitazione compresi i figli. La sentenza dice: caput spatulis amputetur. Chiunque poteva fargli del male impunemente, non solo, ma anche ucciderlo. Questa condanna espone lui e i figli maschi a nuovi pericoli. Di questo si lamenta con l’amico fiorentino in una lettera, ma dice che comunque il pane non gli sarebbe mancato, nonostante il completo distacco da Firenze. Avrebbe potuto trovare sicurezza in Lombardia presso i ghibellini di Matteo Visconti a Milano o presso Can Grande della Scala a Verona. Non conosceva Milano, a Verona era stato ai tempi di Bartolomeo. Dante continua a professarsi innocente e nel De Monarchia I,1,3 dice: desidero intemptatas ab aliis ostendare veritates.
1315 Finisce il Purgatorio, iniziato a Lucca tra il 1308 e 1309.
1316 - 1319 Dante a Verona ospite di Can Grande della Scala scrive il Paradiso, che terminerà a Ravenna.
1319 – 1321 A Ravenna Dante dispone di una casa e ricompone la famiglia , anche per la tranquillità economica, in quanto il figlio Pietro ottiene il rettorato di due chiese, cosa che lui non poteva avere perché schierato contro il partito del papa. A Ravenna è circondato dai figli Pietro e Antonio e dalla moglie Gemma.
Corrispondenza con Giovanni del Virgilio con un’epistola di forma oraziana,e di ispirazione virgiliana (Le quattro Egloghe) in cui lo studioso bolognese ed umanista esprime il rincrescimento perché la Commedia non fosse scritta in latino, ma in lingua volgare (nec margaritas pròfliga prodigus apris), non gettare prodigamente le perle ai cinghiali, gli dice Del Virgilio, che apprezzava molto Dante e lo invitava a Bologna per avere la corona di poeta. Dante risponde, chiamandosi Titiro, che sua gloria sarebbe stata cingere l’alloro poetico nella sua città natale, nel suo bel San Giovanni, per il suo poema in volgare. Nel XXV, 1 ss. del Paradiso Dante non solo pensa a un suo ritorno a Firenze, ma anche al riconoscimento come poeta:
Se mai continga che ‘l poema sacro // al quale ha posto mano e cielo e terra sì che m’ha fatto per più anni macro // vinca la crudeltà che fuor mi serra del bello ovile ov’io dormii agnello, // nimico ai lupi che li danno guerra con altra voce omai, con altro vello // ritornerò poeta ; ed in sul fonte del mio battesmo prenderò ‘l cappello
E’ l’esordio del canto che riporta il lettore dal cielo alla terra, sposta l’obiettivo da Dante personaggio del poema a Dante poeta nella umana speranza della incoronazione poetica e del conseguente ritorno in patria con la caduta dei Neri . Forte è il rilievo psicologico-autobiografico con la nostalgia elegiaca di Firenze, del bell’ovile. L’insistenza su San Giovanni mostra come una persona esule da molti anni possa restare legata a molti e simboli che nel frattempo, per coloro che in città hanno continuato a vivere, hanno perso di valore. Dante è stato tolto a Firenze, ma Firenze non è stata tolta a Dante: l’ha portata sempre con sé.
Nel 1321 viene mandato da Guido Novello in una missione diplomatica per risolvere problemi di confine a Venezia, e per evitare una guerra. Venezia era alleata di Forlì e Rimini, la guerra sarebbe stata fatale per Ravenna. Durante il ritorno, attraversando le paludi di Comacchio, si ammala di malaria, Muore a Ravenna dopo il tramonto, viene seppellito nella chiesa dei francescani, nella quale ebbe funerali solenni, voluti da Guido Novello. Il Paradiso è concluso, ma divulgato solo a livello locale. Saranno i figli Pietro e Jacopo i primi a farlo conoscere.
I manoscritti dell’Accademia della Crusca
Una traduzione della Divina Commedia
L’Accademia della Crusca possiede il manoscritto della prima traduzione integrale della Divina Commedia, presentata nel corso della Tornata accademica su Dante del 26 – 10 – 202. L’autore della traduzione, il toscano Agostino Biagi (1882 – 1957) fu frate francescano missionario in Cina agli inizi del 900. Uscito dai frati è stato pastore protestante evangelico a Avellino e a Genova .antifascista e insegnante e di cinese ed altre ,lingue i9n Italia. ha donato la traduzione e una serie di altre opere r documenti ( molte dei quali traduzioni dal e in cinese) in tal numero che l’Accademia ha potuto istituire il Fondo Biagi. La traduzione della Divina Commedia non è opera di un cinese, ma di un italiano, e già questo è un qualcosa di straordinario. Missionario in Cina, torna in Italia ed esce dall’Ordine francescano e diventa pastore evangelico. Biagi ha dedicato buona parte della sua vita alla straordinaria traduzione in cinese della Divina Commedia, da lui mai pubblicata. E’ stata scoperta fra le carte di famiglia dalla sua pronipote l’on. Genovese Mara Carocci. Già, parlamentare del Partito democratico. L’on. Carocci ne ha fatto dono all’Accademia della Crusca insieme ad altre carte e traduzioni in cinese e dal cinese che lo zio Agostino Biagi aveva fatto. Il tutto è a disposizione di dantisti e sinologi. E’ stata la novità più singolare dell’anno dantesco . Quella che sembra essere la prima traduzione integrale in cinese ed in versi del poema è l’opera di un italiano Agostino Biagi, rinvenuta fra le carte di famiglia alla morte della madre dell’on. Mara Carocci. Nella normalità si traduce nella propria lingua madre. Biagi è partito dalla lingua madre ed è arrivato nella sua seconda lingua. Rgli in Cina ha imparato il cinese e conseguito il titolo per insegnarlo. Antifascista della prima ora, tenuto d’occhio per le sue idee filocomuniste , è sempre vissuto stentatamente insegnando cinese ed altre lingue. Biagi ha portato Dante in Cina prima di ogni altro.
Le 21 rose della Costituente
VII° incontro - Le 21 rose della Costituente - Prof.ssa Angelica De Felice - 23.11.2022
Vorrei iniziare questa chiacchierata ponendovi una domanda: c’è un momento storico, della storia del nostro Paese o della storia mondiale, in cui avreste voluto essere presenti? Che avreste voluto vivere? Io ci ho pensato diverse volte e, da appassionata di storia, i momenti per me sono tanti, ma ce n’è uno che spicca su tutti. Proprio questo momento descritto perfettamente da Pietro Calamandrei:
” Io mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del Fascismo, il 2 giugno 1946: questo popolo, che da 25 anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la prima volta in cui andò a votare dopo un periodo di orrori. Io ero a Firenze, queste file di gente disciplinata davanti alle sezioni, disciplinata e lieta perché avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio Paese, del nostro Paese, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro Paese”.
Il 2 giugno del 1946. Un giorno importantissimo per la nostra storia repubblicana. Per usare un termine moderno, può essere definito un “election day”. Come racconta Calamandrei, gli italiani furono chiamati a votare: dopo vent’anni poterono nuovamente esprimere la propria opinione, disporre delle proprie sorti, delle sorti del nostro Paese.
La prima cosa per cui furono chiamati a decidere fu quale forma di governo dare al Paese; così, attraverso un referendum istituzionale, si doveva scegliere tra monarchia e repubblica. Vinse la repubblica, anche se per pochi voti.
Il 2 giungo del ’46, inoltre, gli italiani furono chiamati ad eleggere l’Assemblea Costituente, un organo legislativo i cui membri avevano l’onore e l’onere di scrivere la nuova Carta Costituzionale italiana perché lo Statuto Albertino non era più adatto alla nuova veste repubblicana. La Costituente, formata da 556 membri, si insediò il 25 giugno 1946 e lavorò fino al dicembre del ’47. La nuova Costituzione verrà votata il 22 dicembre e il 27 firmata dall’allora presidente della Repubblica Enrico De Nicola; entrerà in vigore il 1° gennaio 1948.
Il 2 giugno 1946 fu anche una giornata fondamentale per quanto riguarda la politica al femminile perché, non furono chiamati a votare solo gli italiani, ma anche le italiane che, per la prima volta nella storia del nostro Paese, poterono esercitare il diritto di voto attivo e passivo. Si compiva, quindi, nella storia d’Italia, il suffragio universale.
Bisogna fare un passo indietro, però, perché bisogna specificare che la legge che dava il diritto di voto alle donne italiane era il Decreto legislativo Luogotenenziale n° 23 del 1 Febbraio 1945. Questa legge, però, concedeva soltanto il diritto di voto attivo, cioè la possibilità per le donne di eleggere, ma non di essere elette. Una dimenticanza cui si pose subito rimedio con il Decreto Legislativo Luogotenenziale n ° 74 del 10 Marzo 1946 che sancì, definitivamente, anche il diritto di potersi candidare e, quindi, essere elette. Si fece giusto in tempo perché nella primavera del ’46, tra Marzo e Aprile, si svolsero in alcune regioni italiane le elezioni amministrative, cui molte donne parteciparono ottenendo anche un buon risultato.
Il raggiungimento di questo importante traguardo nel cammino verso l’emancipazione femminile era il frutto di lunghe battaglie che, in Italia, si intensificarono nel periodo post – bellico e furono portate avanti da associazioni come l’ UDI (Unione donne italiane) o il CIF (Centro italiano femminile) che si riunirono in un comitato pro – voto. Questo risultato, però, fu raggiunto perché le donne si erano conquistate sul campo questo loro diritto e, ora più che mai, non si poteva non riconoscerlo e accettarlo.
Molti dirigenti politici avevano paura che l’estensione del voto alle donne avrebbe favorito l’astensionismo, ma dovettero ricredersi perché la partecipazione fu, invece, massiccia. Dovettero, quindi, accettare qualcosa che avrebbe dovuto essere scontato da tempo e riconoscere, inoltre, che nel delicato periodo storico che stavano vivendo, in un momento di “Ricostruzione”, le donne furono il fulcro della rinascita morale, civile, sociale del nostro Paese.
Grazie all’impegno profuso nell’associazionismo e alle battaglie politiche e civili, il 2 Giugno del ’46, furono elette all’Assemblea Costituente 21 donne. Quante di queste 21 donne conosciamo? Certo, alcune sono un po’ più famose di altre perché ricoprirono delle cariche istituzionali, come Nilde Iotti, o Lina Merlin, famosa per aver abolito le case di tolleranza, la famosa «Legge Merlin». Altre le conosciamo perché legate a uomini politici importanti, come Rita Montagnana, moglie di Togliatti. E le altre? Eppure tutte hanno dato un contributo fondamentale alla vita politica e civile italiana, sono state le pioniere della vita politica italiana al femminile. Ecco, il mio intento, questa sera, è quello di celebrarle, ma anche di dare un piccolo contributo per la loro conoscenza per evitare che cadano nell’oblio.
Su 226 candidate solo 21 entrarono a far parte dell’Assemblea Costituente. Di costoro, 9 appartenevano alla Democrazia Cristiana, risultato che rappresentò, rispetto alle candidature, il maggior successo, 9 al Partito Comunista, 2 al Partito Socialista e 1 al Fronte dell’Uomo Qualunque, un partito affermatosi negli anni successivi alla guerra e che aveva riscosso, per qualche tempo, un certo successo. Delle 21 donne, cinque entrarono a far parte della Commissione dei 75, contribuendo direttamente alla stesura della proposta di Costituzione. Furono scelte perché avevano partecipato direttamente alla Resistenza: Angela Gotelli, Maria Agamben Federici, Nilde Iotti, Angela Merlin, Teresa Noce.
In alcune foto d’epoca, le vediamo immortalate nel giorno di insediamento dell’Assemblea Costituente, I visi sereni e composti che quelle donne ostentano con fierezza stanno a testimoniare una novità dirompente per la democrazia e per il costume del nostro Paese. La mimica di quei volti, l’intensità di quegli sguardi, l’espressività del portamento parlano da soli. Loro sono lì, colte nell’attimo di un passaggio storico, consapevoli di essere protagoniste, ma disinvolte, leggere, festose. Tutte indossano un fiore bianco appuntato sul petto.
Al di là delle divisioni politiche, queste donne ebbero delle matrici comuni sia di ordine culturale sia generazionale. Anzitutto individuano anagraficamente tre generazioni: la prima, delle nate a fine Ottocento, ebbe la possibilità di vivere gli ultimi anni dello stato liberale prima dell’avvento del regime; la seconda generazione risale al primo quindicennio del secolo, mentre l’ultima agli anni del Fascismo. La più giovane è Teresa Mattei 25 anni, la più anziana è Angela Merlin.
Le donne della prima generazione parteciparono alla vita politica anche senza diritto di voto, come Rita Montagnana che si iscrisse al Partito Socialista nel 1915, seguita da Angela Merlin e Teresa Noce nel 1919; come Angela Guidi che si iscrisse al PPI nello stesso anno. In seguito, alcune scapparono all’estero mentre altre, soprattutto le cristiane, si impegnarono nell’Azione Cattolica. Quelle della seconda generazione vissero la dittatura fascista: le comuniste si rifugiarono fuori dall’Italia, mentre le cattoliche entrarono nella FUCI, l’organizzazione degli universitari che sarebbe stata l’ambiente di formazione della futura classe dirigente cattolica. La guerra di liberazione le riunì tutte.
Geograficamente provenivano da tutta la penisola e la maggior parte di loro era sposata e con figli, a testimoniare che l’attività politico era consentito anche alle madri di famiglia. Avevano tutte studiato conseguendo un diploma di scuola superiore se non il titolo universitario: fra di loro c’erano 14 laureate. Molte erano figlie d’arte, come Elisabetta Conci, ma non si può certo dire che rimasero all’ombra degli uomini: possedevano ciascuna un’intensa vocazione e una passione politica interiore che permisero loro di superare anche gli ostacoli più duri.
Sicuramente, aldilà delle differenze politiche, nella formazione politica di tutte fu determinante la partecipazione alla Resistenza. Alcune furono combattenti di prima linea, come Laura Bianchini, Teresa Mattei e Nilde Iotti; altre si impegnarono nella seconda linea come crocerossine e staffette tra i partigiani: Maria Federici e Angela Guidi a Roma, Lina Merlin a Milano; altre ancora vissero con coraggio la loro resistenza in carcere e poi al confino, come Elettra Pollastrini, Adele Bei, Maria Maddalena Rossi, Lina Merlin, Rita Montagnana e Teresa Noce.
Non fu facile mettere insieme tutte quelle teste. Ma oltre allo scontro tra partiti, tra ideologie, ci fu anche uno scontro di genere tra le donne che avevano acquisito i diritti politici da poco e che cercavano in tutti i modi di difenderlo e di aprire la strada ad altri diritti. Una delle battaglie che unì trasversalmente molte di loro, ad esempio, fu quella inerente all’accesso delle donne alle cariche pubbliche e alla Magistratura.
Si occuparono non solo di tematiche tipicamente “femminili”, come la famiglia e il principio di parità di genere, ma anche temi non direttamente collegati alla condizione della donna, come il sistema scolastico, il diritto di proprietà, il diritto al lavoro, ecc.
Adele Bei: 1904- 1976, Cantiano (Pesaro). Comunista. Contadina, militante, esule, partigiana, carcerata, confinata, sindacalista, costituente, parlamentare.
Nel 1948 entrò di diritto in Senato, come la legge prevedeva per tutti coloro che erano stati in carcere per almeno cinque anni durante il Fascismo. Si occupò di lavoro (sindacalista) e donne (sostenne la legge sul divieto di licenziamento di chi sta per sposarsi). L’impegno parlamentare finisce nel 1963 a chiusura della III Legislatura, ma non finisce il suo attivismo politico.
Bianca Bianchi: 1914 – 2000, Vicchio (Firenze). Socialista (una delle due socialiste alla Costituente, insieme alla Merlin). Laureata in Lettere e Filosofia e poi Pedagogia. Partecipò alla Resistenza. Il 2 giugno, gli elettori premiano le idee, l’impegno e il carattere di Bianca Bianchi: viene eletta alla Costituente e designata segretaria di presidenza, insieme a Teresa Mattei. Viene eletta nel ‘48 nella I legislatura. Tra le altre cose, si impegnò a favore di una legge per la tutela dei figli illegittimi. Il partito non la ricandiderà più e lei torna alla sua passione di sempre: la scuola. Ci sarà una piccola parentesi come assessora al Comune di Firenze negli anni ‘70.
Laura Bianchini: 1903 – 1983, Castenedolo (Brescia). Democristiana. Laureata in Magistero all’Università Cattolica di Milano, docente.
Durante la Resistenza è coordinatrice di un giornale clandestino «Il ribelle» e fa parte de «Le fiamme verdi», formazione partigiana autonoma di ispirazione cattolica.
Nel ‘44 la DC le affidò il compito di organizzare i primi Gruppi di difesa della donna (GDD). Fu eletta alla Costituente, ma cessò la sua attività politica nel ‘52.
Elisabetta Conci: 1895 – 1965, Trento. Democristiana. Laureata in Filosofia. Figlia di Enrico Conci, senatore.
Eletta alla Costituente, fa parte della Commissione dei 18, che aveva l’incarico di integrare e armonizzare gli articoli prodotti dalle tre Sottocommissioni prima che essi venissero presentati all’Assemblea.
In seguito, sarà eletta deputata nelle prime quattro legislature, fin quando una grave malattia la costringerà a lasciare il Parlamento nel 1965. Tra le varie leggi, è cofirmataria di una proposta di legge a sostegno dei giovani meritevoli che non possono portare avanti gli studi.
Filomena Delli Castelli: 1916 – 2010, Città Sant’Angelo (Pescara). Democristiana
Laureata in Lettere all’Università Cattolica di Milano. Entra nella Resistenza da crocerossina, prendendosi cura dei profughi.
Viene eletta alla Costituente e, poi, nel ‘48 nella I legislatura e farà parte della commissione Istruzione e Arte. Farà parte anche della II legislatura perché ripescata al posto di un collega che sarà nominato giudice della Corte Costituzionale. È stata anche sindaca di Montesilvano.
Maria Agamben Federici:
1899- 1984, L’Aquila. Democristiana. Laureata in Lettere alla Sapienza di Roma, lavora come insegnante all’estero nelle scuole che hanno adottato il metodo Montessori.
Aderisce alla Resistenza romana e si occupa dell’assistenza ai reduci, ai perseguitati, ai profughi e alle donne in difficoltà. Un lavoro di cura alle persone fragili che la accompagnerà per tutta la vita.
Dal 1945 al 1950 presiede il CIF (Centro italiano femminile) che insieme all’Udi formerà un unico grande fronte per l’estensione del diritto di voto alle donne. Viene eletta alla Costituente e farà parte della Commissione dei 75. Sarà un punto di riferimento per le costituenti democristiane e si batterà per la tutela e la dignità delle donne nella famiglia, ma soprattutto per l’accesso delle donne alle cariche pubbliche e alla Magistratura. Questa la vedrà scontrarsi con gli uomini del suo stesso partito e fare, invece, fronte comune con le altre costituenti, come la Iotti e la Gotelli. Sarà eletta solo nella I legislatura.
Maria De Unterrichter Jervolino: 1902 – 1975, Ossana (Trento). Democristiana. Laureata in Lettere e Filosofia alla Sapienza. Sposa Angelo Raffaele Jervolino, fondatore del PPI e poi della DC, la loro sarà una delle cinque coppie all’interno della Costituente (Rita Montagnana e Palmiro Togliatti; Angela Maria Guidi e Mario Cingolani; Nadia Gallico e Velio Spano; Luigi Longo e Teresa Noce).
Alla Costituente, farà parte della Commissione dei Trattati internazionali dove segue la delicata trattativa con l’Austria sull’Alto Adige per tutelare gli abitanti di lingua tedesca sul territorio.
Viene eletta nelle successive tre legislature e sarà sottosegretaria all’istruzione in tre governi. Nel 1963 lascia la politica attiva, ma continua ad occuparsi di cultura e istruzione.
Nadia Gallico Spano: 1916 – 2006, Tunisi. Comunista. Inizia gli studi di chimica a Roma, ma dopo due anni deve tornare a Tunisi per paura di persecuzioni: la sua famiglia è di religione ebraica, anche se non praticante, e i suoi fratelli sono militanti.
A Tunisi conosce Velio Spano, esponente di primo piano del PCI, cui anche lei è iscritta. A causa della sua attività antifascista, sarà condannata a sei anni di carcere.
Sarà tra le fondatrici dell’UDI, di cui sarà anche presidente. Si occupa delle donne, in particolar modo sarde.
Il 2 giungo del ‘46, nel giorno in cui compie 30 anni, viene eletta alla Costituente. Nei lavori dell’Assemblea, la sua attenzione è rivolta alla famiglia, al sostegno delle donne, alla parità dei ruoli e alla battaglia per l’eliminazione della vergognosa doppia N che marchia i figli illegittimi. Farà parte delle prime due legislature, ma nel 1964, dopo la morte del marito, lascerà la politica attiva, pur continuando ad occuparsi di iniziative , soprattutto a sostegno delle donne.
Angela Gotelli: 1905 – 1996, Albareto (Parma). Democristiana
Laureata in Lettere classiche all’Università di Genova. All’indomani dell’8 settembre, entra nella Resistenza, un lavoro di supporto e fiancheggiamento a chi combatte.
Alla Costituente entrerà solo in seguito nella Commissione dei 75, in sostituzione di un collega e farà parte della Prima sottocommissione dedicata ai «Diritti e doveri dei cittadini». Anche lei, come la Agamben Federici e la Iotti, sosterrà la legge sull’accesso alle donne nella Magistratura.
Sarà eletta nelle prime tre legislature e numerose saranno le proposte di legge avanzate in dieci anni di vita parlamentare, tutte concentrate sull’assistenza, la scuola, ecc. Parallelamente all’attività parlamentare, dal 1951 al 1958, è sindaca di Albareto, il suo paese di origine.
Angela Maria Guidi Cingolani: 1896 – 1991, Roma. Democristiana. Laureata in Lingue e Letterature slave all’Università di Napoli, ma prima di finire gli studi si occupò di assistenza (profughi della Prima guerra mondiale), delle condizioni delle lavoratrici (diventa ispettrice del lavoro presso il ministero dell’economia nazionale). Sposa Mario Cingolani, già deputato del Partito Popolare. Insieme daranno un contributo concreto alla lotta antifascista.
Una delle sue battaglie principali fu quella per l’estensione del diritto di voto alle donne, infatti, fece parte del comitato pro - voto. Grazie a questo, approda alla Costituente. Sarà eletto anche il marito. Si occuperà principalmente di lavoro. Farà parte della I legislatura nel ‘48 e tra anni più tardi sarà la prima donna ad essere nominata sottosegretaria all’Industria e al commercio, nel VII governo De Gasperi.
Dal ‘53, non proseguirà l’esperienza politica in Parlamento, ma si dedicherà all’impegno amministrativo, diventando prima cittadina di Palestrina, nel Lazio.
Leonilde Iotti: 1920 – 1999, Reggio Emilia. Comunista. Laureata in Lettere all’Università Cattolica di Milano.. Partecipa alla Resistenza come staffetta portando documenti, volantini, medicinali, cibo. Diventa responsabile dei Gruppi di difesa della donna della sua regione e scrive sulla rivista «Noi donne».
Nel Marzo del 1946 diventa consigliera comunale del Comune di Reggio Emilia e a Giugno viene candidata ed eletta all’Assemblea Costituente. Qui, non solo entra a far parte della Commissione dei ‘75, ma diventa anche membro della Prima Sottocommissione dedicata ai «Diritti e doveri dei cittadini», il cuore della Carta costituzionale. Nella stessa sottocommissione, lavora Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista, con cui inizierà una relazione. Alcuni punti di cui si occuperà nella Sottocommissione: l‘uguaglianza morale e giuridica dei coniugi; l’uguaglianza giuridica dei figli legittimi e illegittimi; la protezione della maternità; cose che poi saranno alla base della riforma del diritto di famiglia del ‘75.
La carriera politica della Iotti può essere divisa in due parti: prima e dopo la morte di Togliatti, nel 1964. Soltanto dopo la morte del segretario verrà accettata fino in fondo e ne verranno riconosciute le qualità e lo spessore. La sua autorevolezza è sancita dall’elezione , al primo scrutinio, alla Presidenza della Camera dei Deputati, nel 1979. la prima donna a ricoprire tale carica. Carica che guiderà fino all’Aprile del 1992.
Teresa Mattei: 1921 – 2013, Genova (toscana di adozione). Comunista. Proveniente da una famiglia borghese in cui fin dall’infanzia respira i valori di pace e democrazia, fin da subito diventa attiva tanto che a 16 anni va in missione a Nizza a portare soldi e messaggi ai fratelli Rosselli. Viene intercettata ed arrestata. In seguito, mentre frequentava il blasonato liceo Michelangiolo di Firenze, viene espulsa da tutte le scuole del Regno perché si ribella alle leggi razziali. Solo grazie all’intervento di Calamandrei, potrà finire il liceo e poi iscriversi all’università, laureandosi in Lettere e filosofia.
Milita nel PCI e partecipa alla Resistenza. È tra le prime aderenti all’UDI. Viene candidata dal partito ed eletta alla Costituente. A 25 anni, la più giovane eletta. La più giovane ma non la più timida. Nell’Assemblea, la Mattei fece sentire la sua voce su diversi temi, molti inerenti sempre all’emancipazione femminile. Durante una discussione inerente all’accesso delle donne alla magistratura, seppe tenere a bada un suo collega che ne era contrario. <<Signorina, le vuole ammettere le donne alla magistratura! Ma non sa che in certi giorni del mese le donne non ragionano?>>. <<No! Ma so che molti uomini come lei non ragionano tutti i giorni del mese!>>.
Partecipò solo alla I legislatura perché dal ‘48 in poi i rapporti con il partito si incrinarono, prima per motivi personali (la sua relazione con Bruno Sanguinetti, sposato con tre figli e separato) e, in seguito, per motivi politici: nel ‘55 critica aspramente la politica sovietica e venne, quindi, radiata per dissenso politico.
Angelina Livia Merlini: 1887 – 1979, Pozzonovo (Padova). Socialista. Laureata in lingue e letterature straniere. Insegna, ma rifiutandosi di prestare giuramento di fedeltà al regime fascista, viene confinata in Sardegna. Dopo essere tornata dal confino, si trasferisce a Milano, dove si impegna nella lotta antifascista, accanto a personalità come Sandro Pertini, e fa parte dei GDD.
Dopo la Liberazione, entra nella direzione del partito e viene candidata all’Assemblea Costituente. Fa parte della Commissione dei 75. Nella terza sottocommissione si occupa delle garanzie economico – sociali per l’esistenza della famiglia. elabora e ottiene l’introduzione al primo comma dell’articolo 3 dell’inciso “senza distinzioni di sesso”. Dopo la Costituente, sarà eletta nelle prime tre legislature. Il suo nome è legato alla legge n° 75 del 20 febbraio 1958, quella inerente all’abolizione delle case chiuse. Fu cofirmataria anche di altre leggi: la legge 1064 che elimina la doppia NN per i figli illegittimi e la legge che cancella la clausola di nubilato nei contratti di lavoro.
Angiola Minella: 1920 – 1988, Torino. Comunista. Laureata in Lettere all’Università di Torino, anche se voleva iscriversi a Medicina, ma la mamma glielo vietò. Durante gli studi aveva frequentato anche un corso da crocerossina che le servirà durante la Resistenza, diventando una partigiana combattente.
Diventa una delle colonne del PCI, contribuisce alla fondazione dell’UDI e, dopo una breve parentesi di assessora al Comune di Savona, viene eletta alla Costituente.
È una delle promotrici dei «treni della felicità», un’operazione destinata ad aiutare i bambini colpiti maggiormente durante la guerra.
Successivamente, sarà eletta alla Camera (I e III legislatura) e al Senato (dal ‘63 al ‘72). Si occuperà, principalmente, di sanità. Fu, però, anche la prima firmataria di una legge sulla costituzione di asili – nido, necessari per le donne lavoratrici. Per la legge, però, bisognerà aspettare il ‘71.
Rita Montagnana: 1895 – 1979, Torino. Comunista. A 14 anni, inizia a lavorare ed è nel mondo del lavoro che matura una coscienza politica che la porterà ad iscriversi al Partito Socialista. Le ragioni dei lavoratori, la conquista di orari e retribuzioni adeguati, la battaglia per le lavoratrici improntano l’impegno di una vita. Nel 1921, con la scissione di Livorno, aderisce al neonato PCI.
Il suo valore e l’esperienza politica, però, saranno offuscate dalle vicende personali: una donna che ha vissuto da protagonista la vita pubblica della prima metà del ‘900 sarà relegata al ruolo di «moglie di Togliatti». Avranno un figlio, ma la loro famiglia non avrà pace perché con l’avvento delle leggi fascistissime saranno costretti a rifugiarsi a Mosca. Viaggeranno anche in altri Paesi, come la Francia e la Spagna, dove durante la Guerra civile combatteranno a fianco dei Repubblicani contro Franco. Dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, tornano in Italia. Rita entra nella direzione del PCI, dirige il settore femminile e fonda l’UDI. Viene eletta alla Costituente, ma il suo profilo non è ritenuto adatto per nessuna delle commissioni. Viene eletta al Senato nella I legislatura.
Maria Nicotra Verzotto: 1913 – 2007, Catania. Democristiana. Sin da giovane, si avvicina all’associazionismo cattolico. Non frequenta l’università e, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, si offre di lavorare come infermiera nella Croce Rossa a Catania, rivelandosi capace e utile tanto da guadagnarsi la medaglia d’oro al valore civile. La forte sensibilità sociale e la fede cattolica orientano le sue scelte nell’esperienza politica.
Viene eletta alla Costituente ed è una delle Costituenti più riservate: di poche parole, ma parlano le sue azioni, a partire dalle importanti commissioni di inchiesta di cui è stata componente, durante le varie legislature. Eccone alcune: Commissione parlamentare sulle condizioni dei detenuti nei penitenziari; Commissione sulla miseria in Italia sui mezzi per combatterla. Fu cofirmataria di diverse proposte di legge, come quella per la protezione degli scolari dalla tubercolosi o quella per la realizzazione di case popolari da assegnare alle famiglie che vivevano in baracche, ecc. Emerge quindi la sua inclinazione ai temi legati all’assistenza.
Teresa Noce: 1900 – 1980, Torino. Comunista. . Sindacalista. «Rivoluzionaria professionale», così viene definita ed è un titolo decisamente indovinato per una donna dalla vocazione battagliera come poche che ha vissuto sul campo le tragedie del XX secolo, ha contribuito alla fondazione del PCI, ha fatto sentire la sua voce, prima alla Costituente e poi in Parlamento. Insieme al suo marito, Luigi Longo, da cui avrà tre figli, è costretta a fuggire all’estero in diverse città (Mosca, Parigi, ecc.). In seguito, sia lei che il marito verranno arrestati e lei sarà internata nel campo di concentramento di Rieucros e poi in altri campi. Tutto finisce nel ‘45 con la Liberazione.
Prima ancora di entrare alla Costituente, è una delle promotrici dei «treni della felicità».
Alla Costituente, fa parte della Commissione dei 75 e della Terza Sottocommissione che si occupa delle garanzie economico – sociali per l’esistenza della famiglia.
Viene eletta nelle legislature del ‘48 e del ‘53. É la prima firmataria della legge sulla maternità, n° 860 del 1950. Non mancano siparietti divertenti, come quando, in una discussione sul periodo di riposo retribuito, Teresa zittisce un luminare della medicina il quale affermava che la donna potesse riprendere a lavorare dopo 15 – 20 giorni. Gli dice: <<Lei ha partorito? No! Quindi non ha nemmeno mai allattato! Allora, taccia!>>.
Ottavia Penna Buscemi: 1907 – 1986, Caltagirone. Fronte dell’Uomo Qualunque. Di famiglia aristocratica, era una donna controcorrente, tanto da non nascondere la propria fede monarchica nel cuore della nascente Repubblica. La sensibilità di Ottavia e l’amore per la sua terra, la spingono ad aiutare i suoi conterranei che, durante la guerra, erano ridotti in povertà, senza lavoro, senza mezzi e con un orizzonte incerto.
La necessità di provare a dare un contributo per migliorare la società la spinge ad accettare la proposta di Giannini, fondatore di questo movimento antipolitico e populista, Fronte dell’Uomo Qualunque, e quindi a candidarsi alla Costituente.
Si mantenne sempre distante dalla politica dei partiti e anche con le altre 20 Costituenti legò poco. Addirittura il 28 giungo del ‘46 fu candidata al Quirinale e Giannini, con un’azione certamente provocatoria, fece confluire su di lei tutti i voti dei qualunquisti e così prese 32 voti.
Elettra Pollastrini: 1908 – 1990, Rieti. Comunista. Diplomata alla scuola tecnica.
Per motivi economici, e non solo, la sua famiglia si trasferì in Francia dove si avvicinò al Partito Comunista. Venne a contatto con diversi esuli, tra cui Teresa Noce. È difficile immaginare la forza e la temerarietà di questa donna, che provò l’esperienza dei campi di concentramento, e che mise in gioco tutto per seguire gli ideali di democrazia e libertà. La candidatura alla Costituente fu quindi, scontata e più che meritata. Il suo temperamento venne fuori anche nelle successive attività parlamentari o nelle varie manifestazioni, tutte improntate verso il miglioramento dei lavoratori e delle donne.
Maria Maddalena Rossi:1906 – 1995, Pavia. Comunista. Laureata in chimica
Partecipa alla Resistenza e per questo viene arrestata e confinata nel Pesarese. La pluralità degli interessi coltivati dalla Rossi e delle battaglie condotte in trent’anni di politica, nazionale e locale, ne fa una delle Costituenti intellettualmente più vivaci. Si è occupata di parità di genere, accoglienza dei bambini nel dopoguerra (procedure di adozione più agibili), risarcimento delle vittime di stupro (le marocchinate), tutela dell’ambiente e sviluppo turistico sostenibile.
Vittoria Titomanlio: 1899 – 1988, Barletta. Democristiana. Diplomata all’Istituto Magistrale. I lavoratori artigiani da un lato, la scuola dall’altro, l’importanza dell’autonomia regionale anche per il Mezzogiorno, il faro della fede cattolica. Le priorità per Vittoria Titomanlio sono ben delineate e per esse si spende nel corso di una lunga vita parlamentare (sarà, infatti, eletta in quattro legislature della Repubblica 1948, 1953, 1958, 1963). Durante i suoi 20 anni in Parlamento, fece parte di diverse Commissioni e fu firmataria o cofirmataria di 350 progetti di legge (introduzione del casco obbligatorio per le moto, nel 1967).
Attraverso piccoli cenni biografici, ho cercato di raccontare esperienze di sacrificio, eroismo, dedizione, sofferenza, prigionia, passione e forza di volontà e, soprattutto, ho voluto dare l’immagine di un’umanità esemplare, incarnata in persone reali: le nostre 21 rose della Costituente. Donne che hanno certamente operato in una fase storica fuori dall’ordinarietà e che ci hanno fornito un ottimo esempio di chi ha ostinatamente tradotto in fatti concreti gli ideali.
Ho cercato di raccontare queste 21 vite, diverse tra loro ma convergenti in un unico scopo: realizzare, con la parità tra cittadine e cittadini, la libertà e la dignità di ogni essere umano.
Angelica De Felice
Borragine, piantaggine e altre erbe benefiche
6° Incontro – 16/11/2022 – Dott.ssa Giuseppina Masotti e gli Erboristi di Pietragalla
“ Borragine, piantagine e altre erbe benefiche”
Appuntamento annuale, sempre gradito e molto interessante, con gli Erboristi di Pietragalla guidati dalla dottoressa Giuseppina Masotti che inizia la sua relazione sostenendo che in quasi tutte le erbe e frutti vi sono principi attivi che possono essere estratti per uso diverso.
Conosciamo tutti il liquore Limoncello, ma molti altri sono ricavati con estrazione di principi attivi dalla frutta mediante macerazione in alcool.
Per estrarre i principi attivi dalle erbe, invece, ci si serve dell’olio, in particolare dell’olio di oliva ricavando prodotti utili denominati Oleoliti.
La dottoressa ne elenca alcuni descrivendo la loro preparazione e specificando le proprietà delle erbe utilizzate, il periodo della loro raccolta, le parti utilizzate ed il metodo di conservazione.
Ha parlato delle seguenti erbe o bacche e degli Oleoliti con esse preparati:
IPERICO, utile per le scottature e le ferite, Bacche di ALLORO, che si raccolgono in questo periodo, efficace contro i dolori reumatici, ELICRISO, che cura le malattie dell’apparato respiratorio, CALENDULA e LAVANDA, per la cura della pelle, LIGUSTRO, pianta profumata molto diffusa che cura la cellulite, LILLA’, efficace antirughe.
Ha poi passato la parola alla sig.ra Donatina MARONE che ha trattato della BORRAGINE, pianta alimurgica diffusa e utilizzata nei nostri paesi soprattutto in cucina e per preparare tisane e infusi. Contiene la vitamina C, sostanze antiossidanti e principi attivi utili per l’apparato respiratorio e per curare i reumatismi .
La signora Maria COLANGELO ha parlato del ROSMARINO, pianta molto diffusa, con fioritura sia primaverile che autunnale, sempreverde perenne che si diffonde per talea. Molto utilizzata in cucina, se ne ricavano anche Oleoliti e infusi. Contiene principi attivi molto interessanti utili per rinforzare la memoria, per la circolazione del sangue, l’igiene orale, contro la caduta dei capelli, per lenire artrosi e reumatismi.
Chiude la serata il sig. Tonino TANTOTERO, sempre presente ai nostri appuntamenti annuali, profondo conoscitore di piante ed erbe, soprattutto del nostro territorio. Ha parlato della PIANTAGINE ( plantago) pianta alimurgica diffusa ma poco conosciuta, che si può consumare cruda nelle insalate o cotta. E’ un ottimo cicatrizzante per le ferite e per le punture degli insetti, regola le funzioni intestinali. I cataplasmi curano le vene varicose e la tisana che se ne ricava è efficace contro il colesterolo ed i disturbi dell’apparato digerente.
Si chiude così una bella serata durante la quale abbiamo ascoltato cose interessanti ed utili ma che ci ha dato anche l’occasione di salutare gli amici di Pietragalla , la dottoressa Masotti, gli altri erboristi che hanno tenuto le relazioni ed anche le altre persone che li hanno accompagnati.
Il culto delle tombe e il valore della memoria
5° Incontro - 09/11/2022 - Prof. Franco SCARFIELLO
Il cinema come rappresentazione
" Il cinema come rappresentazione"
Il Dr.Nicola Baccelliere, studioso ed operatore nel campo cinematografico ha iniziato la sua conferenza raccontando la nascita del cinema che comunemente è fatta risalire al 28/12/1895 quando, in un caffè di Parigi, i fratelli Lumière proiettarono le prime immagini in movimento.
Erano scene da essi girate di operai in uscita dalla fabbrica di pellicole della loro famiglia e dell'arrivo di un treno nella stazione di Parigi. Erano riprese solo frontali, con una inquadratura fissa e senza parlato. La visione era collettiva e cioè molte persone insieme potevano guardare la stessa pellicola. Nello stesso periodo di tempo in America Edison aveva inventato un sistema diverso di visione accessibile ad una sola persona per volta e quindi una invenzione che non ebbe nessun seguito.
Ma come si gira una scena cinematografica? il Dottor Baccelliere mostra intanto un piccolo attrezzo utilizzato nelle riprese, il ciak che serve a numerare le singole scene riprese ed a sincronizzare queste, che sono mute, con il parlato ed agevolando il lavoro di montaggio.
Per rendere comprensibile quanto detto viene organizzato un piccolo set cinematografico: quattro soci si siedono intorno ad un tavolo e simulano una partita a carte. Il regista Dottor Baccelliere dà l'avvio alla ripresa con il ciak e due suoi giovani collaboratori riprendono la scena, uno le sole immagini e l'altro il parlato dei quattro.
Mentre i due tecnici montano questo breve filmato il Dottor Baccelliere proietta un video del quale egli ha scritto il soggetto e curato la regia. Il titolo è " Richiamo" e racconta la storia di un uomo che ha perso la moglie e vive in estrema solitudine. Esce di casa e, in macchina, dopo aver acquistato il solito mazzo di fiori, si dirige verso il Cimitero. Dà un passaggio ad una giovane ed avvenente signora che cerca inutilmente di avviare un colloquio con lui. Giunto al Cimitero, si inginocchia sulla tomba della moglie, depone il mazzo di fiori e scoppia in un pianto irrefrenabile. alleviando il peso insopportabile del suo dolore. Gli interpreti sono tutti di Oppido: l'ottimo Canio Lancellotti ( operaio Stellantis) nel ruolo del protagonista, Manola Rotunno nel ruolo dell'occasionale compagna di viaggio e le altre comparse. La musica è del maestro Teodosio Bevilacqua e le riprese del giovane Angelo De Luca.
Alla fine viene proiettato il video appena girato della partita a carte