sabato 18 gennaio 2020

13° incontro prof. F.S.Lioi - Il bombardamento della città di Potenza

UNITRE --- OPPIDO  LUCANO

Lezione di Francesco Saverio Lioi il 15-1-2020
Il Bombardamento di Potenza dell’8 e 9 settembre del 1943.


Preliminari: Battaglia di El ALAMEIN. Lapide commemorativa:  MANCO’ LA FORTUNA, NON IL CORAGGIO.
Prima battaglia. Luglio 1942.  Rommel attacca la linea difensiva anglo-americana contro il gen. Auchintekc. Mese di logoramento senza vincitore.
Seconda battaglia 23 ottobre - 4 novembre 1942. Le truppe anglo americane comandate da Bernard  Montgomery attaccano El Alamein  conquistando la depressione di El Quattara. Rommel, inferiore per numero di uomini e mezzi (due nazioni dell’Asse contro 7 nazioni, USA, Inghilterra ecc.) resiste soprattutto per i campi minati, chiamati I giardini del Diavolo, ma dovette cedere per mancanza di approvvigionamento e scarsezza di rifornimenti, rimase con 102 carri armati. Il 3 novembre Rommel aveva solo 35 carri armati operativi. Il 4 nov. Ordina la ritirata che segnò una svolta nella guerra. Wiston Churchill dichiarò: "Ora questa non è la fine, non è nemmeno l’inizio della fine, ma forse la fine dell’inizio".

La lotta degli anglo-americani dall’Africa si spostò in Italia. La volpe del deserto, il gen. Rommel, era stato sconfitto  a El Alamein: tedeschi e alleati si diressero verso l’Italia. La prima isola che gli alleati anglo-americani incontrarono nella loro avanzata verso l’Italia fu Pantelleria, sulla quale con la quasi totalità delle forze dislocate nel Mediterraneo, in tredici giorni di bombardamenti  scaricarono, su 83 kmq, 17 mila tonnellate  di esplosivo. L’esercito italiano non fu passivo, ma reagì con fermezza: gli aerosiluranti italiani affondarono otto piroscafi e una petroliera, molti mezzi navali alleati rimasero danneggiati in modo tale da non essere adoperati, gli anglo-americani persero oltre un centinaio di aerei e altri 250 prima dello sbarco in Sicilia. Intanto l’offensiva aerea anglo-americana si andava intensificando su tutta l’Italia insulare e meridionale, mirando ad operazioni risolutive di conquista dell’Italia intera, mentre i tedeschi aumentavano la loro presenza in Italia con divisioni provenienti da ogni parte del Mediterraneo. Cadeva così il progetto illusorio dell’Italia fascista  della guerra lampo ed  in casa d’altri e prendeva sempre più luogo la possibilità della guerra in casa propria, che avrebbe visto la distruzione di tante città e la lotta civile della resistenza degli italiani contro altri italiani, ma soprattutto contro i tedeschi che avevano invaso l’Italia. Nacquero i Comitati di Liberazione nazionale, ne nacque uno anche a Oppido. Stava iniziando per l’Italia un periodo di distruzione delle città, cadeva il mito dell’arroganza fascista. Da Pantelleria gli Alleati passarono in Sicilia, ove trovarono un’accanita resistenza da parte dell’esercito italiano. Un giornalista americano, corrispondente di guerra, così scrive nel suo giornale:«La lotta in Sicilia ha assunto un accanimento inaudito e i difensori dell’isola si battono quanto mai risolutamente, non retrocedendo ove è possibile, neppure di un centimetro». Il 22 giugno 1943 gli Alleati prendono Palermo e, con gravi perdite anche da parte loro, sbarcano nella penisola. Persero un terzo degli effettivi di 15 divisioni, furono catturati o distrutti 400 carri armati, 63 cannoni, 96 mezzi di sbarco, furono abbattuti 650 aerei. La difesa della Sicilia aveva adempiuto ad una importante funzione di logoramento delle forze avversarie, facendo coinvolgere verso la isola quasi la totalità delle forze angloamericane disponibili nel Mediterraneo; aveva altresì impedito che esse potessero gravitare, in tutto o in parte, verso altri settori, che avrebbero potuto avere una maggiore importanza per gli Angloamericani agli effetti di una più sollecita definizione della guerra.
Il 25 luglio del 1943, nel frattempo, il Gran Consiglio del Fascismo, per la prima volta in venti anni di regime, sfiduciò il Duce, il quale nella notte tra il 25 e 26, rassegnò nelle mani di Vittorio Emanuele III le dimissioni da capo del Governo. Nell’uscire dalla residenza reale, a Roma, fu arrestato e portato in una località di montagna. Il governo venne affidato al Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio.
Il 3 settembre del 1943 fu firmato l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati a Cassibile in Sicilia. Il 13 ottobre 1943 Badoglio dichiara guerra alla Germania.
Dopo l’armistizio in Italia giunsero numerose Divisioni dell’esercito tedesco, quelle sconfitte in Africa  e quelle stanziate nel Mediterraneo orientale, per contrastare l’avanzata degli Alleati che dalla Sicilia risalivano lungo la penisola. Nel giugno del '43 era transitata per Potenza la divisione tedesca di Hermann Goering, con mezzi cingolati, diretta in Sicilia per opporsi allo sbarco degli alleati che già si erano insediati su Pantelleria. Parte di questa divisione rimane a Potenza ed installa una stazione radio nella Villa di Santa Maria, di fronte alla Caserma degli Allievi Ufficiali. A settembre colonne di soldati tedeschi in ritirata, dopo la conquista della Sicilia da parte degli Alleati, ritornano a Potenza e depredano una città già stremata. Ma in Italia giungono non solo i Tedeschi cacciati dalla Sicilia, ma da ogni parte del Mediterraneo, ovunque chiedono ai militari italiani la consegna delle armi, che gli Italiani rifiutano. Non è necessario ricordare cosa avvenne a Cefalonia, ove fu passato per le armi un nostro concittadino, il ten. La Sala. Nel Nord Italia, invece, Mussolini, liberato dai Tedeschi, instaura la Repubblica Sociale di Salò, che diventa uno stato vassallo della Germania. Mussolini avrebbe voluto la capitale di questo stato fantoccio per i Tedeschi, con tutti i crismi di un grande stato che avrebbe vinto la guerra in poco tempo per il Duce, a Roma o a Milano, ma Hitler non glielo permise. Il risultato fu la lotta fratricida fra i partigiani italiani e l’esercito dei repubblichini; i Tedeschi si arrogano il diritto di portare a compimento ogni loro arbitrio.
Perché gli Alleati nel loro avanzare in Italia verso Roma e il Nord, ormai sotto l’oppressione tedesca, bombardavano le città italiane anche dopo l’armistizio? Il bersaglio non erano le città italiane e i civili indifesi, ma i Tedeschi in esse stanziati. La lotta è stata dura. La cacciata dei tedeschi dall’Italia del Sud ha causato distruzioni e vittime civili. Non tocca a noi in questa sede dire se eticamente ciò è ammissibile: la guerra ha comportato tali devastanti disastri. La distruzione più illustre consumata dagli alleati è stata senza dubbio quella della Badia di Montecassino, patrimonio, ebbe a dire un ufficiale americano, non solo dell’Italia, ma del mondo. A ricostruirla, a guerra finita, furono gli stessi americani. Potenza rientra nel destino comune di molte città del Sud Italia in preparazione della avanzata alleata dalla Sicilia verso Roma. Nello stesso giorno del bombardamento di Potenza vengono bombardate Salerno, Capua, Avellino, Auletta, Eboli, Battipaglia, Formia, Gaeta .
Potenza è stata bersaglio di un bombardamento necessario per gli alleati oltre che contro i Tedeschi presenti in città, anche per gli snodi ferroviari, per le sedi militari, la Scuola Allievi Ufficiali, il deposito del 48° Reggimento di Fanteria, per ostacolare le manovre delle truppe tedesche che si trovavano a Potenza. La città era rimasta completamente sguarnita di unità dell’esercito italiano che nel frattempo si era disciolto e sbandato. A questo periodo fa riferimento il nostro canto popolare Lu sbandamiènte. La VII Armata, di stanza a Potenza nella primavera del 1943, si era trasferita a Francavilla Fontana per seguire il Re Vittorio Emanuele III che da Roma era fuggito verso Brindisi.  A Potenza aveva sede il Quartier Generale della VII Armata dell’esercito italiano ed il comando delle truppe stanziate in Calabria, Puglia, Basilicata e Campania, sotto il comando del Generale Aurisio. Costui, dopo la fuga del Re da Roma verso Brindisi, segue il re  e trasferisce il comando dell’Armata a Francavilla Fontana, abbandonando Potenza, sede del Quartiere Generale, all’invasione dei Tedeschi. A Potenza rimane il colonnello Giuseppe Faggin con un piccolo contingente militare, con il compito di resistere anche con le armi ad eventuali assalti da parte tedesca. Il generale Aurisio era ben consapevole delle condizioni in cui versava il colonnello, ma continuamente via telefono inviava a Faggin ordini di resistere ai Tedeschi che imponevano la resa e la consegna delle armi. Faggin, non per i continui comandi del generale, ma per sua convinzione e per salvare l’onore delle armi italiane, non ha nessuna intenzione di resa e di consegnare le armi all’ormai nemico tedesco. Per le vie della Città, dice Tommaso Pedio, si incontrano solo tedeschi. L’esercito italiano, dopo la fuga a Francavilla del gen. Aurisio, è sbandato, i soldati cercano scampo dai Tedeschi, i quali li avrebbero portati nei campi di concentramento in Germania, con la fuga. Il col. Giuseppe Faggin sottrae una trentina di militari ai rastrellamenti dei Tedeschi e si rifugia in una galleria, ove pone il suo comando e  per non consegnare le armi. I tedeschi chiedono ancora una volta di consegnare le armi e arrendersi, Faggin, volendo fino all’ultimo salvare l’onore delle armi italiane, oppone netto rifiuto, né i soldati si presentano a una delle uscite della galleria. Il colonnello nell’impossibilità di resistere,  comanda ai soldati di cercare di fuggire in un modo o nell’altro e,  , dopo un ultimo confronto con i Tedeschi, essendosi reso conto della situazione ormai senza via di uscita che  non poteva resistere agli assalti tedeschi né poteva calpestare il suo onore di soldato, esce fuori dalla Galleria e punta la pistola contro il suo capo. I Tedeschi a loro volta fanno saltare la galleria, massacrando militari e civili che si trovavano dentro. La città di Potenza, oggi, ha dedicato alla memoria del colonnello Giuseppe Faggin, l’intestazione di una lunga e scenografica scala del centro.
 Le bombe alleate erano contro i movimenti delle truppe tedesche, ma cadevano su una città ormai stremata: tutti cercavano riparo nelle gallerie delle Calabro-lucane e dello Ferrovie dello stato che ancora oggi attraversano il sottosuolo della città. I Tedeschi ostruirono le entrate, i rifugiati rischiano di fare la morte dei topi. Durante i giorni atroci  di bombardamento i cittadini  vivono   nel panico di morire schiacciati sotto le macerie, tutti sono alla ricerca di un riparo sicuro o di scappare nella campagna, nei paesi vicini al capoluogo. Potenza non ha ripari antiaerei che possano resistere alle bombe. La commissione tecnica del comitato provinciale di protezione antiaerea fa delle ricerche per individuare ricoveri utilizzabili in caso di bombardamento. Un solo fabbricato risulta avere un ricovero sicuro, la Banca d’Italia, la quale nel suo caveau può ospitare 84 persone. Nessun altro edificio ha un  ricovero sicuro. Nel luglio del 1943 l’ingegnere capo del comune Binetti scrive: «Praticamente allo stato attuale, la città di Potenza, pur essendo luogo strategico di rilevante importanza al punto da dar sede al comando della VII Armata, è sprovvisto totalmente di ricoveri». Nell’agosto del '43 vengono scavate delle gallerie   a forma di cunicolo lunghe da 60 ai 90 metri ad U per garantire due uscite. Il grosso non solo dei Potentini, ma anche dei militari che erano rimasti in città dopo l’esodo del generale Aurisio con la VII Armata verso Francavilla Fontana, trova scampo nelle gallerie ferroviarie. Nel settembre del 1943 la Basilicata, ma soprattutto la città di Potenza, vive sotto il terrore dei bombardamenti americani e della presenza dei tedeschi, senza poter far nulla né contro quelli, né contro questi.
I giorni 8 e 9 settembre 1943 sono nefasti per la città, portano morte, distruzione, fame, paura. I cacciabombardieri degli alleati  scaricano quintali di esplosivo sulla città per ostacolare le manovre delle truppe tedesche che stazionano e impediscono la loro avanzata. Le bombe cadono sulle sedi dei comandi militari, sulla caserma della Scuola Allievi Ufficiali, sul deposito del 48° Reggimento di fanteria, sul Museo Provinciale (descrizione dei danni causati al Museo nell’Uva puttanella di Rocco Scotellaro), sull’Ospedale San Carlo, ove si era stanziato il Comando Tedesco, sulle abitazioni private di Santa Maria, di Porta Salsa, di Via Addone, sulla Cattedrale. I danni sono ingenti, materiali e disastrosi per la città, mortali per i cittadini: si contano 187 vittime, di cui 37 militari e un numero imprecisato di feriti. Sono inferte ferite alle strade, alle case, alle scuole, alle chiese. «Sfregi consegnati alla memoria lucana con poche paginette, ha scritto Gino Agnesi. Nessuna ditta politica era intervenuta a che le macerie prendessero parola». Infatti le macerie di una città martoriata, le oltre 500 vittime dopo 10 giorni di bombe, (come dice Tommaso Pedio «I morti, tra militari e civili, sono oltre cinquecento! Le vittime sono prevalentemente civili, ( In  La Basilicata negli ultimi cento anni, p. 137) di cui la maggior parte civili innocenti, non hanno mai avuto chi rivolgesse loro un saluto, chi ricordasse che il loro sacrificio è servito per la liberazione di tutti». Si fanno commemorazioni per le due vittime dei Tedeschi a Matera, e le 500 dei dieci giorni di bombardamenti di Potenza chi mai le ha ricordate? Ma quelle sono state vittime dell’odiato tedesco, queste... beh! di queste è bene non parlare! Il vescovo mons. Bertazzoni si salvò protetto da un’arcata che resse all’urto delle bombe, si ritirò in seguito in una casa di campagna nella contrada Sant’Antonio la Macchia. Fino al 1950 ha dimorato in un’aula del Liceo Classico, che allora era ubicato nel Palazzo Loffredo, ove oggi vi è il Museo Nazionale. Ogni mattina ritornava in città per portare conforto con la parola e con l’aiuto ad una città del tutto sguarnita di difese contraeree e rimasta abbandonata a se stessa. Per giorni si visse negli improvvisati rifugi e nelle gallerie fra mille difficoltà: la mancanza d’acqua, di viveri, di condizioni igieniche accettabili. «La stessa oscurità della galleria, ha scritto Angela Olita in  "Bombardieri a pace fatta" simboleggia la totale sospensione della civiltà, la regressione a uno stato di natura in cui si è preda solo degli istinti e della disperazione. La vicinanza con quelli che sarebbero concittadini, amici, è solo fisica: ognuno ha il proprio personale dolore da coltivare, mentre cerca solo di sopravvivere. Vengono meno i segni della distinzione sociale, ma viene meno anche la comprensione. Si è vicini, ma estraniati l’uno dall’altro: è la solitudine totale». Questo stato di cose dura quasi due settimane. Le bombe cadono  su rione Addone perché nell’Albergo Moderno, sito in via Pretoria, aveva sede il 10° corpo d’Armata.  L’8 settembre vengono bombardati Palazzo Loffredo, il rione Addone, la Cattedrale. La mattina seguente, verso le dieci viene colpito il palazzo delle scuole elementari  di Via del Popolo, dove sono acquartierati i soldati della VII Armata. Bombe in Piazza Prefettura, a Santa Maria. I bombardamenti continuano per dodici giorni, alla stessa ora, Ogni notte centinaia di aerei sorvolano la città lasciando delle tracce. I morti alla fine dei bombardamenti sono oltre 500, dice Tommaso Pedio.
 Mi viene in mente a questo punto un verso dell’Iliade:  
 Nove giorni volarono per il campo Acheo le frecce divine.
Per Potenza possiamo dire:
Per dodici giorni caddero sulla città  le bombe alleate.
Solo all’entrata in Potenza dei canadesi gli Alleati smettono le incursioni aeree. Le persone grandicelle ricorderanno che anche a Oppido in quei giorni cadde qualche bomba e di sera si andava a dormire sotto gli ulivi. Per Potenza quelli furono giorni terribili.
Sulla città, infatti, continuano a cadere bombe fino al 20 settembre, giorno in cui entrano in Potenza le truppe corazzate della Prima Divisione canadese dell’VIII armata britannica. Il gerarchismo nazi-fascista ha così fine. I canadesi trovano una città distrutta, affamata, semivuota. I Potentini si sono trasferiti nelle campagne o nei paesi limitrofi, ove era più facile provvedere alle necessità. I pochi rimasti in città non accolgono i nuovi arrivati come liberatori, per loro i canadesi sono venuti per  sostituirsi nell’occupazione del territorio ai precedenti occupanti. Li accolgono con sospetto, con distacco nei primi giorni, per poi cambiare atteggiamento nel loro confronto. La gente teme questi nuovi invasori, venuti come liberatori. Con i canadesi arrivano in città anche soldati di colore e marocchini; la gente ha paura, le donne rimangono chiuse in casa, per aver fama questi nuovi invasori-liberatori di essere grandi stupratori. I canadesi però non portano in città la normalità, i problemi causati dalla guerra non sono risolti. Le condizioni materiali del capoluogo rimangono disastrose anche per l’esercito degli occupanti: le ferrovie sono inutilizzabili, gli acquedotti e la rete fognaria danneggiati e in molte parti a cielo aperto, l’ospedale inservibile, la città un ammasso di macerie, gli alloggi mancano del tutto, si stanno diffondendo epidemie di ogni tipo. La situazione è tale che impedisce anche agli alleati di prendere decisioni a favore della popolazione. Nel novembre del '43 il commissario governativo scrive al comando alleato: Le condizioni igieniche ed edilizie non sono le più soddisfacenti per l’alloggiamento di un forte contingente di truppe, gli edifici pubblici, come le scuole, sono occupati da 250 famiglie di sinistrati, si sono contati 100 casi di tifo, l’acqua potabile è razionata.  Potenza e la Basilicata rimasero sotto il Governo Militare del Territorio Occupato (AMGOT) con a capo il Maggiore Ernest Howell.

                                                                               F.S.Lioi







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