venerdì 1 aprile 2016

23° INCONTRO 30 marzo 2016 Sig. VITO MARONE
“Felicia:
cronaca di un viaggio straordinario”

L’incontro di questa sera è dedicato alla meravigliosa avventura di una donna di Oppido, Felicia Muscio, che, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, insieme alla figlioletta Rosa, quattro anni e poco più, offre una prova di attaccamento alla famiglia affrontando un avventuroso viaggio da Oppido fino in Cile, per raggiungere il marito, che era emigrato in quella terra circa quattro anni prima.
La Storia ce la racconta Vito Marone che ha studiato il fatto, ricercato notizie e visitati i luoghi della vicenda. Felicia Muscio è una lucana di Oppido che alla fine del XIX secolo lasciò il paese per un indicibile viaggio in Sud America, per nave e poi attraverso le Ande con mezzi di fortuna su muli e carretti, e ancora per mare verso il lunghissimo nord del Cile, per raggiungere il marito nella lontana Iquique. Avvolta in un’ampia coperta, su un sentiero stretto e ripido, Rosa è a dorso di una mula. Fa freddo, benché sia estate. Intorno a lei, la roccia dell’arido paesaggio andino mostra qua e là le chiazze abbaglianti di nevi perenni. Rosa è un fagotto in braccio alla mamma, e si lascia trasportare con l’indolenza di una precoce rassegnazione alle vicende della vita. Non ha ancora cinque anni. Va a raggiungere il papà che l’aspetta in un paese dal nome strano, così diverso dai nomi dei paesi che ha lasciato da ormai più di un mese. Iquique. Chissà quanti giorni ci vorranno ancora per quella meta lontana.
Sembrava già tanto lungo il viaggio da Oppido a Napoli. Ma il mare! Quel mare sembrava non voler finire mai. Quanti giorni, settimane, prima di poter ridiscendere dalla nave!
Più di un mese per Mar del Plata, e non era che una tappa di questo percorso interminabile. Poi con mezzi di fortuna fino a San Martín de los Andes, il confine andino dove finisce la ferrovia e l’Argentina. Là, un mulattiere propone alla mamma di accompagnarle di là dalle Ande, a Los Andes del Cile. Sono già tre giorni almeno che, insieme alla mamma, la bimba viaggia sul dorso di una mula che ora la culla ora la fa sobbalzare lungo la Cruce de los Andes, sentieri tortuosi, ripidi, polverosi, ponti stretti che passano su baratri e precipizi da far paura anche alle bestie e non sa che, dopo questo viaggio, non sarà ancora finita: dal confine a Santiago e Valparaíso, le attende non meno di due settimane di carretto e poi, dal porto, mamma e figlia dovranno prendere ancora una nave per il lungo nord cileno: altre mille miglia fino a Iquique.
Una storia che potrebbe chiamarsi Dagli Appennini alle Ande… Perché dagli appennini lucani parte questa vicenda, dai monti di Oppido che allora – siamo alla fine dell’Ottocento – si chiamava Palmira (il nome che il paese ebbe per pochi decenni, dal 1863 al 1933).
Nonna Felicia Muscio e la piccola Rosa impiegarono due mesi per arrivare a Iquique.
Poi l’incontro con il marito e le altre vicende che portarono quest’ultimo ad Oppido, nella speranza di trovare migliori condizioni di vita rispetto a quelle che aveva lasciato alla sua partenza. E invece qui trovò la morte.
A Felicia Muscio, alla sua avventura, il sindaco della città di Iquique, Jorge Soria, volle che si dedicasse un simbolo concreto, che fosse, oltre che l’emblema dell’emigrazione lucana, un riconoscimento del contributo dato dai nostri corregionali allo sviluppo e all’economia della città: un grande monumento realizzato dal maestro Antonio Masini, “Felicia de los Andes, che oggi si staglia a Iquique, di fronte all’oceano.
Il pubblico presente ha seguito con vivo interesse ed attenzione la narrazione, tributando al relatore un caloroso applauso.

D.M.

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