martedì 24 ottobre 2017

3° INCONTRO - 18/10/2017 - PROF. VINCENZO GUGLIELMUCCI

" Analisi di documenti storici sul brigantaggio relativi al nostro territorio"

Il nostro socio Franco Scarfiello ha presentato il relatore della serata il Prof. Vincenzo Guglielmucci lodandone la meticolosità nelle ricerche d'archivio per i libri che scrive, come nel caso dell'ultimo suo lavoro " Ingiongiolo"
Ha preso quindi la parola il Prof. Guglielmucci ribadendo quanto ha sempre sostenuto anche in precedenti incontri che i briganti non vanno considerati eroi: erano dei fuorilegge, autori di delitti spesso efferati ai quali, in alcuni casi possono essere riconosciute attenuanti, ma mai potranno completamente essere assolti.
Ha ricordato poi come Carmine Crocco, il più famoso dei briganti lucani, già pregiudicato, fu arruolato nelle truppe partecipanti all'insurrezione antiborbonica  dell'agosto 1860 con la promessa che, alla costituzione del nuovo stato, gli sarebbe stata condonata la condanna. Promessa non mantenuta che spinse Crocco a darsi alla macchia e al brigantaggio.
Si è soffermato a lungo sull'arrivo a Oppido nel dicembre 1860 di tre strani personaggi che si spacciavano per ricchi mercanti di bestiame. Presero alloggio presso la taverna tenuta dall'aviglianese Vito Masi e risultarono poi essere: Crocco, Ninco-Nanco e Amati, con i quali a detta del taverniere fu visto pure Ingiongiolo. Questi briganti furono gli autori del sequestro del giovane massaro Rocco Mancuso di Domenico, avvenuto il 27 dicembre 1860, condotto in una masseria in contrada Serra della Battaglia a Genzano e liberato il 6 gennaio successivo dopo il pagamento di 1.700 ducati per il riscatto. Seguì un lungo processo durante il quale furono incriminati, oltre gli autori del sequestro, anche componenti di famiglie benestanti del posto: La Sala, Caronna, Alicchio, De Lorenzo ed altri, come manutengoli.
Gerardo De Felice detto Ingiongiolo si dette al brigantaggio nel luglio 1862: fu un brigante astuto, intelligente, coraggioso. Manteneva buoni rapporti con i proprietari di masserie ed i contadini che lo proteggevano ed a cui assicurava protezione. Pur autore di molti delitti non era particolarmente feroce e sanguinario ma non tollerava  e puniva con la morte i delatori e i traditori.
E purtroppo fu vittima di un inaspettato tradimento da parte del vaccaro Michele Caprio di Genzano legato a lui da comparaggio, coadiuvato da 4 giumentari di Spinazzola, tutti custodi di bestiame per conto di ricchi proprietari di Spinazzola e di Genzano, nel bosco La Piana in territorio di Vaglio.
Nella notte tra il 20 e il 21 ottobre 1866, Ingiongiolo e il suo compagno Viuncenzo Saponara, sfiniti e affamati, si diressero verso la pagliaia in cui dormivano Caprio ed i 4 giumentari ritenendoli fidati e disponibili. Riconosciuti, vennero invece accolti a fucilate e finiti poi in modo atroce con pugnali, colpi di scure e calci di fucile.
Gli uccisori corsero subito a Vaglio per notificare la morte dei due banditi e rivendicare il loro diritto alla riscossione della cospicua taglia e degli altri benefici posti dalle autorità sulla testa dei due briganti.
Il barbaro assassinio ed il tradimento che ne fu la causa, anche se a danno di due briganti, lasciò sgomenta ed indignata gran parte della popolazione di Palmira e dei paesi vicini, tanto che il Caprio, compare di Ingiongiolo, additato come traditore e ritenendosi fatto segno ad eventuale vendetta, fu costretto ad allontanarsi dal suo paese.
Al termine della seguitissima relazione del Prof. Guglielmucci è intervenuto il socio novantacinquenne Donato Mancuso, nipote del rapito Rocco Mancuso ad opera dei banditi ed ha fornito ulteriori dettagli sull'episodio riguardante la sua famiglia al quale si ritiene non fosse del tutto estraneo lo stesso Ingiongiolo.


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