lunedì 19 dicembre 2016



10° INCONTRO - 07 DICEMBRE 2016 Sig. Vito  MARONE

“A.D. MCMVIII”- Cronaca di una sciagura -

L’incontro di questa settimana ha avuto due distinti momenti, entrambi toccanti: il primo in cui il nostro Presidente ha voluto ricordare due nostri soci che ci hanno lasciato ed il secondo in cui il sig. Vito Marone ha rievocato la tragedia di Capialvo.

1° Parte - Commemorazione di due soci defunti letta dal Presidente.
“Questa sera voglio ricordare due nostri amici e soci che non sono più qui con noi. Non a caso ho scelto questa settimana la massima “Un vecchio che muore è un'intera biblioteca che brucia” che dedico idealmente a Michele ed Antonio. Significa che ogni persona, di qualsiasi condizione sociale e culturale, quando muore, lascia insegnamenti ed esempi che forse non riusciremmo ad apprendere dalla lettura dei libri. E noi, di questi due amici scomparsi, cercheremo di conservare il ricordo e l’esempio.
Michele Pepe era sempre presente qui ai nostri incontri: uomo buono e semplice, interessato alla storia del nostro paese che - mi raccontava - da giovane ascoltava dal maestro Michele Cervellino il quale, nel Centro di Lettura, leggeva ai frequentanti la storia di Oppido di Francesco Giannone. Quasi mi suggeriva di fare altrettanto qui e sarebbe stato - sarebbe- un’ottima cosa considerati gli insegnamenti che quella storia potrebbe dare anche a noi oppidani del 21° secolo. Condivideva con me anche l’interesse per la genealogia delle famiglie e spesso ne parlavamo qui insieme. Lo frequentavo per motivi professionali: aveva una discreta azienda agricola che conduceva direttamente con la moglie Chella, negli ultimi anni con grande sacrificio, nè lo potevano aiutare le figlie lontane. Ne apprezzavo la serietà, la laboriosità, l’onestà. Quando nelle vacanze veniva ad Oppido il nipotino, si metteva al suo servizio, lo accompagnava e lo viziava; io li guardavo con tenerezza ed affetto.
Antonio Giacinto lo conoscevo da sempre: era il mio barbiere e mio caro amico. Lo ricordavo apprendista nella barberia di Cervellino e Caputo, quando strimpellava la chitarra. Ho seguito poi tutta la sua carriera lavorativa, prima nella scuola, poi nell'Ospedale. Lo ammiravo per la sua intelligenza, il suo desiderio di conoscenza, la sua voglia di viaggiare che assecondava spesso e volentieri. Non era un turista per caso: ovunque andasse non mancava di visitare i luoghi di interesse storico, culturale ed artistico. Ne tornava sempre arricchito di nuove conoscenze ed esperienze. Aveva frequentato negli anni giovanili un corso di parrucchiere per signora a Napoli, dove aveva risieduto per qualche mese e di questa città aveva visitato tutto quanto c'era da vedere; era diventato una guida per i paesani che incontrava. Si teneva aggiornato leggendo i giornali ed ascoltando i programmi culturali della radio, con lui si poteva parlare di tutto, dall’attualità alla sinfonie di Gustav Malher, non facili, che egli, come me, conosceva ed ammirava.
In ospedale era divenuto amico dei medici e del personale; in campagna coltivava con competenza e passione il suo piccolo orticello.
Spesso lo rimproveravo benevolmente, perchè mi aveva trascinato qui all'Uni-tre, che mia moglie già frequentava e a cui io ero riluttante ad aderire. Gli dicevo “per colpa tua e di Mingo Lioi (che era suo e mio carissimo amico) mi trovo in quest’imbroglio dell'Uni-tre”. Infatti da quando, prima collaborando con P. Adelmo e poi con gli attuali miei collaboratori, mi occupo di questa nostra Associazione, preoccupato della riuscita dei nostri incontri settimanali, mi rivolgevo a lui ed anche solo con uno sguardo ci capivamo: mi tranquillizzavo quando mi diceva, o mi faceva capire, “tutto bene, andiamo avanti così”.
Ora vado a trovarlo al Cimitero, ci sono stato anche domenica scorsa e riflettevo come stranamente il caso ha voluto che fosse sepolto vicino a P. Adelmo che non gli era caro in vita. Pensavo come la morte - la livella, diceva Totò- appiana ogni divergenza, acquieta divisioni e rancori, e questo è un ulteriore insegnamento che Antonio, senza volerlo, ci ha lasciato”.

2° parte - Relazione del sig. Vito Marone
Vito Marone ha iniziato il racconto della terribile sciagura di Capialvo, avvenuta il 4-12-1908, ricordando la cattiva situazione igienica del paese, per la mancanza di un acquedotto pubblico. Le poche fontane che venivano utilizzate per attingere acqua e lavare i panni erano fuori del paese; la più vicina era quella tuttora esistente che noi ancora chiamiamo “la fontana”. D’inverno però, essendo anche questa ubicata fuori dal paese e in zona molto fredda, si preferiva andare andare a Capialvo, dove scorre un corso d’acqua più lontano dal paese, raggiungibile a mezzo di un tratturello impervio, ma luogo più riparato e con acqua meno fredda. La mattina del 4 dicembre 2008 nove donne si erano dato appuntamento “mpied la terra” nei pressi della Chiesetta dell’Annunziata per andare tutte insieme, in allegra compagnia, a lavare i panni a Capialvo. Sulla testa, come si usava, portavano la cesta con l’occorrente: i panni da lavare, il sapone, un pezzo di pane e forse un po’ di companatico per affrontare una giornata di duro lavoro. La più anziana era Sciaraffia Filomena di anni 63, la più giovane Giannone Carmela di anni 13 che andava a lavare  i panni per la prima volta e non aveva portato nulla da mangiare forse per l’estrema povertà della sua famiglia. Le altre avevano dai 17 ai 46 anni.
Si può immaginare l’armonia di quel gruppo di sole donne: i pettegolezzi, le risate, qualche canto; forse la più anziana le rimproverava benevolmente e le invitava a recitare pure qualche preghiera.
Giunte sul posto, si misero la lavoro. Angela Maria De Felice, di anni 17 ed unica superstite, si accorse che Carmelina Giannone era sfinita: corse allora verso la sua cesta per prendere qualcosa da mangiare per portarla a Carmelina.  Fu quello il momento in cui una grossa frana si staccò dalla sovrastante ripa e si abbatté sul gruppo delle donne: un atto di generosità la salvò.
I primi ad accorrere furono i frati del Convento, vicino in linea d'aria: P. Salvatore Zottarelli e Fra Umile, che avevano sentito il fragoroso boato, le urla di Angela Maria e i gemiti sempre più flebili della sepolte.
Oltre le tre donne già citate, le altre erano: Lancellotti Maria Antonia, Leone Anastasia, Manniello Maria, Lioi Carmela, Russo Giovanna e Pepe Maria Nicola.
Accorsero dal paese molte persone, i vigili urbani, i parenti, i Carabinieri. Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi era indescrivibile, si scavò anche la notte al lume di fiaccole. Le salme furono allineate per terra, i parenti tenuti a stento lontani.
Si consumò così una tragedia che è rimasta indelebile nella memoria collettiva del nostro paese e che meriterebbe un riconoscimento ufficiale con una targa da apporre nei pressi del luogo del disastro.
G. D. F.



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