10° INCONTRO - 07 DICEMBRE 2016 Sig. Vito MARONE
“A.D.
MCMVIII”- Cronaca di una sciagura -
L’incontro di questa settimana ha avuto due distinti momenti,
entrambi toccanti: il primo in cui il nostro Presidente ha voluto ricordare due
nostri soci che ci hanno lasciato ed il secondo in cui il sig. Vito Marone ha
rievocato la tragedia di Capialvo.
1° Parte -
Commemorazione di due soci defunti letta dal Presidente.
“Questa sera
voglio ricordare due nostri amici e soci che non sono più qui con noi. Non a
caso ho scelto questa settimana la massima “Un vecchio che muore è un'intera
biblioteca che brucia” che dedico idealmente a Michele ed Antonio. Significa
che ogni persona, di qualsiasi condizione sociale e culturale, quando muore,
lascia insegnamenti ed esempi che forse non riusciremmo ad apprendere dalla
lettura dei libri. E noi, di questi due amici scomparsi, cercheremo di
conservare il ricordo e l’esempio.
Michele Pepe
era sempre presente qui ai nostri incontri: uomo buono e semplice, interessato
alla storia del nostro paese che - mi raccontava - da giovane ascoltava dal
maestro Michele Cervellino il quale, nel Centro di Lettura, leggeva ai
frequentanti la storia di Oppido di Francesco Giannone. Quasi mi suggeriva di
fare altrettanto qui e sarebbe stato - sarebbe- un’ottima cosa considerati gli
insegnamenti che quella storia potrebbe dare anche a noi oppidani del 21° secolo.
Condivideva con me anche l’interesse per la genealogia delle famiglie e spesso
ne parlavamo qui insieme. Lo frequentavo per motivi professionali: aveva una
discreta azienda agricola che conduceva direttamente con la moglie Chella,
negli ultimi anni con grande sacrificio, nè lo potevano aiutare le figlie
lontane. Ne apprezzavo la serietà, la laboriosità, l’onestà. Quando nelle
vacanze veniva ad Oppido il nipotino, si metteva al suo servizio, lo
accompagnava e lo viziava; io li guardavo con tenerezza ed affetto.
Antonio
Giacinto lo conoscevo da sempre: era il mio barbiere e mio caro amico. Lo
ricordavo apprendista nella barberia di Cervellino e Caputo, quando
strimpellava la chitarra. Ho seguito poi tutta la sua carriera lavorativa,
prima nella scuola, poi nell'Ospedale. Lo ammiravo per la sua intelligenza, il
suo desiderio di conoscenza, la sua voglia di viaggiare che assecondava spesso
e volentieri. Non era un turista per caso: ovunque andasse non mancava di
visitare i luoghi di interesse storico, culturale ed artistico. Ne tornava
sempre arricchito di nuove conoscenze ed esperienze. Aveva frequentato negli
anni giovanili un corso di parrucchiere per signora a Napoli, dove aveva
risieduto per qualche mese e di questa città aveva visitato tutto quanto c'era
da vedere; era diventato una guida per i paesani che incontrava. Si teneva
aggiornato leggendo i giornali ed ascoltando i programmi culturali della radio,
con lui si poteva parlare di tutto, dall’attualità alla sinfonie di Gustav
Malher, non facili, che egli, come me, conosceva ed ammirava.
In ospedale
era divenuto amico dei medici e del personale; in campagna coltivava con
competenza e passione il suo piccolo orticello.
Spesso lo
rimproveravo benevolmente, perchè mi aveva trascinato qui all'Uni-tre, che mia
moglie già frequentava e a cui io ero riluttante ad aderire. Gli dicevo “per
colpa tua e di Mingo Lioi (che era suo e mio carissimo amico) mi trovo in quest’imbroglio
dell'Uni-tre”. Infatti da quando, prima collaborando con P. Adelmo e poi con
gli attuali miei collaboratori, mi occupo di questa nostra Associazione,
preoccupato della riuscita dei nostri incontri settimanali, mi rivolgevo a lui
ed anche solo con uno sguardo ci capivamo: mi tranquillizzavo quando mi diceva,
o mi faceva capire, “tutto bene, andiamo avanti così”.
Ora vado a
trovarlo al Cimitero, ci sono stato anche domenica scorsa e riflettevo come
stranamente il caso ha voluto che fosse sepolto vicino a P. Adelmo che non gli
era caro in vita. Pensavo come la morte - la livella, diceva Totò- appiana ogni
divergenza, acquieta divisioni e rancori, e questo è un ulteriore insegnamento
che Antonio, senza volerlo, ci ha lasciato”.
2° parte - Relazione del sig. Vito
Marone
Vito Marone
ha iniziato il racconto della terribile sciagura di Capialvo, avvenuta il
4-12-1908, ricordando la cattiva situazione igienica del paese, per la mancanza
di un acquedotto pubblico. Le poche fontane che venivano utilizzate per
attingere acqua e lavare i panni erano fuori del paese; la più vicina era
quella tuttora esistente che noi ancora chiamiamo “la fontana”. D’inverno però,
essendo anche questa ubicata fuori dal paese e in zona molto fredda, si
preferiva andare andare a Capialvo, dove scorre un corso d’acqua più lontano
dal paese, raggiungibile a mezzo di un tratturello impervio, ma luogo più riparato
e con acqua meno fredda. La mattina del 4 dicembre 2008 nove donne si erano
dato appuntamento “mpied la terra” nei
pressi della Chiesetta dell’Annunziata per andare tutte insieme, in allegra
compagnia, a lavare i panni a Capialvo. Sulla testa, come si usava, portavano
la cesta con l’occorrente: i panni da lavare, il sapone, un pezzo di pane e
forse un po’ di companatico per affrontare una giornata di duro lavoro. La più
anziana era Sciaraffia Filomena di anni 63, la più giovane Giannone Carmela di
anni 13 che andava a lavare i panni per la prima volta e non aveva portato
nulla da mangiare forse per l’estrema povertà della sua famiglia. Le altre
avevano dai 17 ai 46 anni.
Si può
immaginare l’armonia di quel gruppo di sole donne: i pettegolezzi, le risate,
qualche canto; forse la più anziana le rimproverava benevolmente e le invitava
a recitare pure qualche preghiera.
Giunte sul
posto, si misero la lavoro. Angela Maria De Felice, di anni 17 ed unica
superstite, si accorse che Carmelina Giannone era sfinita: corse allora verso
la sua cesta per prendere qualcosa da mangiare per portarla a Carmelina.
Fu quello il momento in cui una grossa frana si staccò dalla sovrastante ripa e
si abbatté sul gruppo delle donne: un atto di generosità la salvò.
I primi ad
accorrere furono i frati del Convento, vicino in linea d'aria: P. Salvatore
Zottarelli e Fra Umile, che avevano sentito il fragoroso boato, le urla di
Angela Maria e i gemiti sempre più flebili della sepolte.
Oltre le tre
donne già citate, le altre erano: Lancellotti Maria Antonia, Leone Anastasia,
Manniello Maria, Lioi Carmela, Russo Giovanna e Pepe Maria Nicola.
Accorsero dal
paese molte persone, i vigili urbani, i parenti, i Carabinieri. Lo spettacolo
che si presentò ai loro occhi era indescrivibile, si scavò anche la notte al
lume di fiaccole. Le salme furono allineate per terra, i parenti tenuti a
stento lontani.
Si consumò
così una tragedia che è rimasta indelebile nella memoria collettiva del nostro
paese e che meriterebbe un riconoscimento ufficiale con una targa da apporre
nei pressi del luogo del disastro.
G. D. F.
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