18° incontro - 27/02/2019 –prof.
francesco scarfiello
“Cefalonia: l’eccidio”
Il prof. Scarfiello ha svolto un’interessante ed avvincente
ricostruzione di quelli che furono i fatti che coinvolsero i soldati italiani
della Divisione “Acqui” di stanza a Cefalonia. Dopo una rapida citazione degli
antefatti che portarono all’orribile eccidio, come il “25 luglio 1943”, il “Memorandum
del Quebec”, il “Piano Achse” e, ovviamente, l’”armistizio dell’otto settembre
1943”, il relatore si è soffermato sulla difficilissima e quasi impossibile
scelta del Gen. Gandin, comandante della Divisione Acqui, sul da farsi all’indomani
dell’armistizio. Gandin, che aveva certamente a cuore la salvezza dei suoi “11.500
figli di mamma”, soffrì drammaticamente le scarse e ambigue direttive degli
alti Comandi da un lato e le pressioni sempre più minacciose e ultimative dei
tedeschi. La situazione, già di per sé estremamente difficile e delicata, fu
fortemente aggravata da continui episodi di indisciplina da parte di un gruppo
di ufficiali propensi allo scontro con i tedeschi, fidando nel favorevole
rapporto di forze iniziale di 6 a 2 a favore degli italiani. Certamente il Gen.
Gandin, consapevole di tutti gli altri elementi di svantaggio, come l’assoluta
mancanza di copertura aerea, per i primi sei giorni di trattative, fu il simbolo
vivente del più grande tormento interiore. Sei giorni di trattative sempre più
minacciose e ultimative e sei giorni di scontri violenti, più due giorni di
fucilazioni: così si risolse la terribile vicenda di Cefalonia che costò un
elevato ed imprecisato numero di morti. La conta varia a seconda delle fonti.
Sicuramente i caduti furono migliaia, ma certo meno di 9.000 su 11.500, come fu
in un primo momento pubblicato.
Secondo i dati della sezione “Albo d’oro” del Ministero della
difesa, i caduti di Cefalonia furono 1.914, con il tragico tributo di sangue di
ben 324 ufficiali (su 525 in tutto) fucilati, compreso il Gen. Gandin e tra
essi anche il compaesano giovane sottotenente Vito La Sala, che, seppur
ricoverato per un attacco di malaria, fu prelevato con la forza con altri sette
suoi colleghi e subito fucilato per ritorsione. Oggi, nelle pubblicazioni più
attendibili, le vittime variano tra 1.800 e 3.000, ma sono cifre molto
approssimative, perché ancora non sono presenti alcuni nomi segnalati dalle
famiglie.
Ma ciò che più colpisce della terribile strage non è tanto il
pur elevato numero di morti, quanto le atrocità commesse, ignorando tutte le
norme internazionali sul trattamento dei prigionieri di guerra arresisi e
inermi.
Tutta la vicenda maturò, fu condotta e portata a termine sotto
la spinta spietata di due sentimenti: il tradimento e la vendetta, in barba a
tutte le convenzioni di Ginevra.
F. S.
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