giovedì 14 marzo 2019

18° incontro - 27/02/2019 –prof. francesco scarfiello
“Cefalonia: l’eccidio”
Il prof. Scarfiello ha svolto un’interessante ed avvincente ricostruzione di quelli che furono i fatti che coinvolsero i soldati italiani della Divisione “Acqui” di stanza a Cefalonia. Dopo una rapida citazione degli antefatti che portarono all’orribile eccidio, come il “25 luglio 1943”, il “Memorandum del Quebec”, il “Piano Achse” e, ovviamente, l’”armistizio dell’otto settembre 1943”, il relatore si è soffermato sulla difficilissima e quasi impossibile scelta del Gen. Gandin, comandante della Divisione Acqui, sul da farsi all’indomani dell’armistizio. Gandin, che aveva certamente a cuore la salvezza dei suoi “11.500 figli di mamma”, soffrì drammaticamente le scarse e ambigue direttive degli alti Comandi da un lato e le pressioni sempre più minacciose e ultimative dei tedeschi. La situazione, già di per sé estremamente difficile e delicata, fu fortemente aggravata da continui episodi di indisciplina da parte di un gruppo di ufficiali propensi allo scontro con i tedeschi, fidando nel favorevole rapporto di forze iniziale di 6 a 2 a favore degli italiani. Certamente il Gen. Gandin, consapevole di tutti gli altri elementi di svantaggio, come l’assoluta mancanza di copertura aerea, per i primi sei giorni di trattative, fu il simbolo vivente del più grande tormento interiore. Sei giorni di trattative sempre più minacciose e ultimative e sei giorni di scontri violenti, più due giorni di fucilazioni: così si risolse la terribile vicenda di Cefalonia che costò un elevato ed imprecisato numero di morti. La conta varia a seconda delle fonti. Sicuramente i caduti furono migliaia, ma certo meno di 9.000 su 11.500, come fu in un primo momento pubblicato.
Secondo i dati della sezione “Albo d’oro” del Ministero della difesa, i caduti di Cefalonia furono 1.914, con il tragico tributo di sangue di ben 324 ufficiali (su 525 in tutto) fucilati, compreso il Gen. Gandin e tra essi anche il compaesano giovane sottotenente Vito La Sala, che, seppur ricoverato per un attacco di malaria, fu prelevato con la forza con altri sette suoi colleghi e subito fucilato per ritorsione. Oggi, nelle pubblicazioni più attendibili, le vittime variano tra 1.800 e 3.000, ma sono cifre molto approssimative, perché ancora non sono presenti alcuni nomi segnalati dalle famiglie.
Ma ciò che più colpisce della terribile strage non è tanto il pur elevato numero di morti, quanto le atrocità commesse, ignorando tutte le norme internazionali sul trattamento dei prigionieri di guerra arresisi e inermi.

Tutta la vicenda maturò, fu condotta e portata a termine sotto la spinta spietata di due sentimenti: il tradimento e la vendetta, in barba a tutte le convenzioni di Ginevra.
F. S.

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