giovedì 29 ottobre 2015

3° INCONTRO – 28-10-2015 prof. VINCENZO GUGLIELMUCCI
“Processo alle monache di clausura”
-Provocazione a commettere reati avvenuta in Genzano la notte del 26/27 giugno 1867-

Dopo una breve presentazione dell’oratore da parte del Prof. Scarfiello, Il Prof. Vincenzo Guglielmucci, insegnante di chimica e biologia presso il Liceo scientifico “E. Majorana” di Genzano di Lucania, prende la parola per illustrare l’episodio annunciato dal titolo. Preventivamente illustra i luoghi, oggi in parte modificati, in cui si svolsero i fatti, narra brevemente come si giunse alla costruzione del monastero di monache clarisse ad opera della fondatrice delle Chiariste, Aquilina di Monteserico, con bolla del Vescovo Roberto di Acerenza nel 1321 ed all’istituzione dell’ordine delle Chiariste, monache di clausura, con l’approvazione di Papa Giovanni XXII nel 1327.
All’epoca dei fatti, la notte del 26/27 giugno 1867, il convento ospitava sedici suore e cinque converse.
In seguito alla proclamazione del Regno d’Italia, la legge Mancini del 17 febbraio 1861 sancì la soppressione degli ordini religiosi e la confisca delle loro proprietà, prescrivendo che ad ogni frate o suora ridotti allo stato laicale sia fornito un sussidio governativo. Quando venne loro ingiunto di abbandonare il monastero, le suore si opposero, rifiutano il sussidio ed anzi, godendo dell’interesse di famiglie facoltose del paese riuscirono ad evitare la chiusura del convento
La notte tra il 26 e 27 giugno del 1867, verso la mezzanotte, la popolazione fu svegliata dal suono prolungato delle campane del convento. Intervennero le autorità comunali e la guardia nazionale, fu riportata la calma ed il pretore rimandò tutto ad un chiarimento da tenersi il giorno successivo. Furono convocate tutte le suore, compresa la badessa. Fioccarono numerose ipotesi, anche tendenziose, per spiegare il suono delle campane nel cuore della notte. Molti sospettarono che quell’azione fosse un segnale di rivolta delle religiose verso le autorità essendo state colpite nei propri interessi dalla legge sull’incameramento dei beni ecclesiastici.
Durante l’interrogatorio, però, le suore si giustificarono dicendo di aver udito dei colpi nelle vicinanze del deposito dell’argenteria della chiesa. Nessuno credette a questa tesi, e non vi credette neanche il Pretore E. Sapia che archiviò il tutto.
Ci fu però chi da questo episodio ne trasse buon vantaggio. Due sacerdoti, un monaco ed un prete, uno di Genzano e l’altro di Avigliano persuasero la badessa che non era prudente custodire nel convento il tesoretto di gioielli e denaro e consigliarono di depositarlo presso due persone di fiducia, senza che alcuno sapesse nulla. Così due ignare serve portarono due recipienti, apparentemente ricolmi di cenere, ma che sotto celavano il tesoro del convento presso le abitazioni dei detti sacerdoti. Quando dopo alcuni anni la Badessa reclamò i beni presso i due sacerdoti questi dichiararono di non aver ricevuto nulla se non cenere per il bucato. A nulla valsero le proteste delle derubate che per motivi di prudenza avevano sempre dichiarato alle autorità di non possedere denaro e tanto meno oggetti preziosi. D’altronde anche le due serve, in buona fede, affermarono di aver consegnato solo bracieri ricolmi di cenere per il bucato.
Si cercò di mantenere segreto l’accaduto, ma il fatto, ben presto, fu di dominio pubblico.
Col passare degli anni la comunità  di suore si assottigliò sempre più fino all’estinzione nel 1905. Il convento fu chiuso e così rimase a lungo.

La serata si è chiusa con congratulazioni e applausi al Prof. Guglielmucci. 

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